CHE OVERDOSE DI VITA A NAPOLI di Sergio Pent

CHE OVERDOSE DI VITA A NAPOLI CHE OVERDOSE DI VITA A NAPOLI Gli eroi randagi di Montesano NELCORPO DI NAPOLI Giuseppe Montesano Mondadori pp.276 L. 29.000 E' un modo tutto speciale di rappresentare l'emarginazione, l'indigenza, il disagio, un'arte che i napoletani hanno gradualmente trasformato in spettacolo aperto e in continua mutazione generazionale. E' uno spettacolo corale, collettivo, improntato ad una condizione sociale che è vita in fermento, battuta pronta, comunione di gioie e sofferenze, all'insegna di una mentalità conosciuta coi termini di «chiagne e fotte»: il napoletano - è un classico del pubblico tam-tam piange e ti frega, e trasforma in mito nazionale anche i difetti, sull'onda di una perenne arte di arrangiarsi che rappresenta ormai quasi un corso di laurea. La nostra stessa identità nazionale - all'estero - sovente si identifica in questa babele di vitalità espresse ai massimi livelli, dalla musica allo spettacolo, dalla pizza al malaffare, ma come se tutto fosse un unico, immenso gioco di bambini perennemente occupati a cercar di gnon crescere. Dai trafficoni imbranati interpretati da Totò e Peppino, passando per le simboliche cifre letterarie di Eduardo, Bernari, Rea ed anche - giusto riconoscerlo - del «Bellavista» di De Crescenzo, arrivando a sfiorare i trucidi e i disastrati di Lanzetta, è un susseguirsi di tipologie che travalicano il proprio tempo e le generazioni, dando vita ad un monumento in continua ristrutturazione, come se la «napoletanità» si facesse carico perpetuo delle colpe sociali e politiche del resto del Paese. Per poi commiserarsi, o riderne. In questa simbologia quasi metaforica si inserisce con voce adulta il romanzo sulfureo e grottesco di Giuseppe Montesano, che saluta da lontano - a tratti - le irreverenze sopra le righe di Luigi Compagnone. Montesano tenta il colpo del messaggio totale, partendo proprio dall'essenza stessa della città di Napoli, un corpo piuttosto in disfacimento ma sempre ricco di risorse improvvisate. I personaggi raffigurano un'indolente estraneità al decorso dei tempi vivendo di sogni, fantasie e progetti virtuali. Intellettuali nullafacenti alla ricerca della sublimazione totale che permetta di arricchirsi di poesia e filosofia senza lavorare, attraversano giornate confuse, appigliandosi a magie ed esoterismi popolari per improvvisare una via di salvezza. Il narratore Tommaso e l'amico Landrò, entrambi in overdose di Nietzche, Rimbaud e Jim Morrison, bramano un rilassato sbocco di redenzione nel potere artistico, ma gravitano - e gravano - su famiglie che li vorrebbero fuori dai piedi al più presto. Cercando l'indirizzo giusto si fanno accalappiare da congreghe di trafficoni e di esoteristi, gli uni - capeggiati da '0 Tolomeo - pronti a sfruttare ogni occasione per arricchirsi senza faticare, gli altri - con il «mago» Fulcaniello e la sua immensa assistente Zinaida - alla ricerca dell'energia che muove il mondo. Dalle fogne di Napoli, dove si fanno condurre da Fulcaniello sulle tracce del tesoro del Principe di Sansevero, alla villa lorda di cibarie e di sesso di 'O Tolomeo e dei suoi ingordi fratelli, fino all'improvvisata comune in cui tutti i personaggi convivono per qualche tempo per poi disperdersi a caccia di nuovi furori, è un alternarsi di eccessi giustificati solo dalla volontà di vivere al di sopra delle magagne quotidiane. «Senza venire a patti con la realtà era possibile trasformarla e non restare tagliati fuori da essa?». I figuranti allucinati di Montesano ci provano, gustano il fascino del delitto malriuscito e l'ebbrezza dell'amore occasionale, ma soprattutto divorano quantità apocalittiche di cibarie, preparate da Zanaide, quasi una festa d'addio lunga molti mesi prima di lasciarsi e cercare nuove, improbabili fortune. Più metaforico che realistico, carnale e vaneggiarne, grottesco e spesso teatrale, il romanzo è come una sonda asettica che si lorda percorrendo un tortuoso intestino malato, ma ricco di tutte le vitalità e gli eccessi accumulati in una vita. Più che il tracciato narrativo, affastellato intorno ad accadimenti collettivi occasionali - sempre mirabolanti o strabocchevoli - contano le personalità e le tipologie, il linguaggio - sfarzoso e sornione, infarcito di dialoghi dialettali - e l'atmosfera, ai limiti di una goliardica filiazione dell'inferno dantesco. Mentre la bocca racconta, percorriamo in prima persona «il corpo di Napoli», rendendoci conto che, spesso, ridere e piangere, fottere e urlare, ingozzarsi e sognare, sono gli unici antidoti alla dispettosa fatica di vivere. Sergio Pent NELCORPO DI NAPOLI Giuseppe Montesano Mondadori pp.276 L. 29.000

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