«Russi e bulgari sparavano coi serbi» di Vincenzo Tessandori

«Russi e bulgari sparavano coi serbi» Un profugo kosovaro: «L'ho capito da come parlavano. Il volto era coperto da passamontagna» «Russi e bulgari sparavano coi serbi» A Valona più di seimila esuli Vincenzo Tessandori inviato a VÀLONA Il viaggio di Agron Lama è finito ieri alle 5, con il cielo cbe schiariva, davanti ai cancelli arrugginiti dello stadio Plamurtari, quello di fronte al mare di Valona dove due gommoni vengono controllati dagli scafisti. Perché anche stanotte c'è chi partirà per Lamerica. Agron dice che lui non ci pensa, che lo hanno portato qui i militari albanesi, lo hanno caricato con i suoi e neppure sapevano quale fosse la foro meta. Ha 38 anni, è un contadino, scuro di polle, di occhi e di capelli. Sua moglie, Lindita, 32 anni, è bionda e chiari sono pure i tre figli: i più grandi hanno 11 e 4 anni; Adhurim, che ha 11 mesi, è in braccio alla madre e non si muove, il capo reclinato, gli occhi chiusi. Un bambino molto bello, ma che pare la maschera della sofferenza. «E' malato, da giorni non fa che vomitare. Ormai non piange neppure più». Sono di Jakova, fino al 1° di aprile hanno pensato che, forse, a loro non surebbe accaduto nulla. In fondo, avevano vissuto in pace per anni, con i serbi. «Ma quel giorno sono venuti quelli con i volti coperti dai passamontagna. Non soltanto serbi: c'erano anche russi, bulgari e romeni, l'ho capito da come parlavano. Hanno bruciato la casa, noi ci siamo rifugiati nella cantina». Lo sguardo di Agron è mite, lui parla a voce bassa, è facile capire che non vuol dimenticare niente, in questo suo racconto. Agron, sei sicuro che quelli non fossero soltanto serbi? «Ne sono certo. Abbiamo saputo cbe avevano scoperto 28 persone, donni; i: bambini soprattutto, in una cantica vicina e che li avevano ammazzati, uno per uno. E non sapevamo che fare. Poi quelli sono arrivati anche da noi. Avevano le maschere, ci hanno messo in fila, ma uno a un tratto si è fermato e mi ha guardato. Poi si è tolto il passamontagna e ho visto che era il mio vicino di casa. Ha detto: "Non lo posso fare, non li possiamo ammazzare: li conosco da sempre, questi". Gli altri non hanno risposto, ma hanno voltato le spalle». Son partiti subito dopo, con un trattore e rimorchio, un gruppo di 12 persone. Chissà se un giorno potranno dire di esser stati fortunati. E ora, Agron? «Ora non sappiamo che cosa fare, che cosa pensare. Speriamo di tornare in Kosovo, ma laggiù non abbiamo più nulla, non c'è più neppure la nostra casa». Mentre parla, lì sul marciapiede dello stadio, Agron rischia di confondersi fra le centinaia che si dirigono al palazzetto dello sport, qualcuno ha un sacchetto in mano, molti non hanno più niente, ma proprio niente. Ma tutti con una disperazione infinita negli occhi. Arrivano senza soste, sui ca- mion o sugli autobus, come quello giallo e rosso che si è ap- {iena fermato alla rotonda dela Skela e che sul parabrezza ha un cartello: Kukes, quasi fosse un viaggio di piacere. Ma Kukes è lassù, dove arrivano i più disperati, dall'altra parte dell'Albania, o forse del mondo. Sul chiosco delle bibite, accanto allo stadio, qualcuno ha scritto in rosso: «La nostra guera», con una sola r. Ma gli esuli neppure la guardano, quella invocazione. «Finora ne sono arrivati 7500», dice Sokol Kociu, il capo della polizia, quello che a gennaio provocò una mezza sommossa per aver sequestrato alcuni gommoni che poi dovette restituire. Ora lui dice che è un errore portare qui gli esuli perché «Valona è una città con tensioni molto forti, stressata. Dal '97 ad oggi qui son morte ammazzate duemila persone». E poi, quello che da gennaio sembra diventata una sua ossessione: la guerra agli scafisti. «Lavoriamo per non lasciare i profughi in mano a questi delinquenti, per bloccare il traffico. Ma non è facile perché anche se questi poveretti non hanno denaro, sappiamo che i loro parenti, dalla Germania o dalla Svizzera, garantiscono il pagamento del passaggio». Va bene, colonnello, ma quei due gommoni in mezzo alla baia? Lui si volta e sorride: «Controlleremo, controlleremo». Le cifre come sempre sono elastiche. Per Shkelqim Arapi, portavoce della prefettura, «nel nostro territorio, che si spinge fino a Saranda e alle Delvine, più a Sud, sono arrivati 6048 esuli, 1259 soltanto ieri, qui a Valona. Ma gli aiuti non sono sufficienti: per il momento ci hanno mandato due camion, quelli della Caritas, da Brindisi, e altri tre camion hanno scaricato nei magazzini delle riserve dello Stato. Quando ci manderanno le tende, faremo due campì raccolta». Ritardi, dunque, e disguidi. E di peggio. Ma qualcosa si fa. Per esempio, è stato rimosso Ardian Abdalli, fino a ieri era a capo della Commissione per le autorizzazioni preventive per lo sdoganamento degli aiuti. Uno che, per quattro volte, aveva avuto guai per faccende di contrabbando. E' tutto precario: se al valico di Morina, sopra Kukes, il flusso si è assottigliato, ora arrivano a migliaia dalla Macedonia, e la città di Korcia trema, perché anche lì ora c'è l'inferno e nessuno sa come fare, a fronteggiarlo. Profughi kosovari arrivarlo in Albania

Luoghi citati: Albania, Brindisi, Germania, Kosovo, Macedonia, Svizzera, Valona