Il mito suicida diMilosevic

Il mito suicida diMilosevic mvè Di msmorìea fatti realmente accaduti si intrecciano quelli immagìnari Il mito suicida diMilosevic personaggio LA mitopoiesi, l'atavica vocazione serba alla creazione di miti autocommemorativi e celebrativi, ha avuto proprio nel tragico Kosovo le sue radici primordiali. Qui, nel Kosovo, la storia e la mitologia dei serbi e della Serbia affondano le loro radici ancestrali. Qui esse s'intrecciano, s'insanguinano, si moltiplicano e proliferano, fino a formare un'immensa piramide di memorie in cui sarà sempre meno agevole distinguere i fatti realmente accaduti da quelli reinventati dall'immaginazione collettiva di un popolo omerico, poetico e guerriero. Diceva Churchill: «I balcanici producono più storia e più miti di quanti ne possano digerire». Oggi, a due settimane dai bombardamenti Nato e dall'esodo forzato e dantesco dei Kosovari, quella sentenza sembra attagliarsi con particolare giustezza all'atavica balcanicità serba. Il mito, magistralmente quanto cinicamente manipolato da Milosevic, è stato il suo più grande alleato nella conquista e nella conservazione del potere. Fu nel Kosovo, sede di antiche cittadelle conventuali e della prima Chiesa autocefala nazionale, paesaggio di campi di battaglie e di cimiteri gloriosi, terra natale della dinastia medievale dei Nemanjidi e di San Sava patrono della Serbia ortodossa, fu lì che Milosevic compì e celebrò, a spese dei Kosovari albanofoni, la sua metamorfosi da burocrate comunista a eroe ultranazionalista. Da burocrate a eroe VscQuesto avveniva nella seconda metà degli Anni Ottanta. Ora, sulla fine dei Novanta, è ancora sempre nel Kosovo e per via del Kosovo che egli sta portando alle conseguenze estreme le pulsioni distruttive e autodistruttive del mito, e forse imboccando la fase finale della sua lunga parabola dispotica. Da un lato Milosevic si erge a vindice del passato serbo azzerando il presente albanese nell'oceanico pogrom che, d'ora in ora, cresce sotto i nostri occhi. Dall'altro, rinverdisce e rigenera il mito leggendario e vittimistico più sentito dai serbi e più cantato dal loro epos popolare: Davide contro Golia. In realtà il ruolo della Serbia, sotto la frusta e l'algida follia di Milosevic, qui si fa in uno stesso momento duplice e inverso. Golia armato contro gli inermi albanesi deportati, ma contemporaneamente Davide inerme sotto i bombardamenti Nato, il panserbismo rianimato a freddo dal tiranno ruggisce a Pristina mentre geme a Belgrado. La cosiddetta «piccola Jugoslavia» che, con la minacciata secessione del Montenegro e la possibile perdita del Kosovo, rischia di ridursi alla piccola Serbia dei tempi ottomani, sembra proprio per questo volersi rispecchiare nella leggenda del guerrigliero che in condizioni d'inferiorità fisica affronta il gigante. La Serbia sola contro tutti: contro la potente America, la ricca Europa, l'ignobile comunità intemazionale. Sono questi lo spirito e l'atmosfera eroica che Milosevic, mentendo e disinformando il suo popolo, cerca con notevole successo politico e psicologico di ricreare intorno al conflitto in corso. I mezzi d'informazione, la stampa e la televisione asservite, non parlano e non mostrano le scene dei disperati che fuggono dalle città e dai villaggi messi a ferro e a fuoco dalle bande cetniche di Arkan. L'apocalittico svuotamento del Kosovo è l'invisibile sui teleschermi di Belgrado. I commentatori, quasi mai accompagnata da immagini, riducono la tragedia genocida ad una serie di scontri tra tendarmeria serba e terroristi osovari, che non vengono segnalati come militanti di un esercito di liberazione nazionale: la terminologia è identica a quella usata dalla propaganda nazista ai tempi in cui le SS davano la caccia ai «banditi» di Tito. Termini e concetti sono tratti dall'armamentario nazista, ma ** e o ù o e , i . i e l a » lo scenario di riferimento storico è paradossalmente rovesciato. Per la propaganda milosevi** «lana Clinton •* un Hitì«*T8dfc-" vivo, la Jugoslavia odierna è paragonata a quella che nel 1941 seppe opporsi alla Germania. Poi, facendo girare la moviola mitologica all'indsetro, la propaganda via via rievoca la resistenza dapprima vittoriosa contro l'Austria nel 1914, quindi l'eroica ritirata invernale attraverso le montagne dell'Albania, i combattimenti sul fronte di Salonicco, la riscossa e infine la riconquista di Belgrado. Il culto del Davide serbo tocca l'apice quando, scendendo dalle guerre balcaniche del 1912'13, si raggiunge la data più fatale di tutte, il 1319: la battaglia del Kosovo Polje, o «campo dei merli», una sconfitta totale inflitta dal sultano Muraci agli eserciti cristiani comandati dal principe Lazar. Caso unico nelle vicende europee, quella disfatta terribile, che doveva costare ai serbi cinque secoli di servitù, venne trasformata poi nel mito fondativo della rinascita nazionale della Serbia e della sua formazione statale moderna. La capacità di trasfigurare le batoste in vittorie, di mistificare la storia reale per mezzo della mitologia e della mitomania, appartiene alla serie dei vizi immaginifici serbi. La storiografia ufficiale di Belgrado evita accuratamente di ammettere che la battaglia del Kosovo cancellò per circa mezzo millennio il nome e la configurazione della Serbia dalla carta geografica dei Balcani. Non dice che l'armata capeggiata da Lazar era composta non solo di serbi, ma anche di bulgari, romeni, bosniaci, croati, perfino albanesi, mentre sul versante turco combattevano molti serbi «collaborazionisti» e proseliti slavi dell'eresia bogomila. Questi vizi, d'immaginazione omerica e di calcolata amnesia, si combinano però con le autentiche virtù guerriere del popolo serbo, nato si direbbe per la guerra e forgiato dentro le guerre. Il Davide balcanico era debole, fantasioso, spesso menzognero, ma era anche vero e audace nelle sue gesta suicide contro i giganti. Nati per la guerra Doveva essere stato davvero inerme, o quasi, il contadino Karagiorgio, Giorgio il Nero, fondatore della dinastia Karadjordjevic che, eliminata la rivale dinastia Obrenovic, regnerà sulla Serbia e poi sulla Jugoslavia dal 1903 fino al 1941. «Kara» significa «nero» in lingua turca. L'aggettivo non era di derivazione luttuosa. VProbabilmente indicava, insieme, la natura commerciale e quella confessionale del primo Karadjordjevic. Egli allevava e vendeva porci neri, tipici della Sumadija serba, bestiame che toccavano e mangiavano i cristiani e non i turchi islamici. L'umile capopopolo fomentò e guidò nel 1804 la prima rivolta generale contro gli ottomani, rivolta che riuscì a liberare la parte settentrionale della nazione oppressa e dalla quale, benché schiacciata, dovevano germinare in seguito un principato autonomo e infine un regno di Serbia. Da quella prima grande insurrezione ottocentesca tutta la storia serba sarà un'interminabile catena di prodezze guerriere. Ogni brandello di terra serba sarà conquistato in punta di spada. 11 culto delle virtù militari si radicherà in profondità nell'animo del popolo. La partenza della recluta sarà una specie di festa nuziale in cui si celebrerà, con canti e libagioni, lo sposalizio del giovane soldato col fucile. L'ortodossia sarà, con il fucile, parte integrante ed essenziale della coscienza nazionale. Nel sistema di governo ottomano, tollerante in materia religiosa, la nazione s'identificava con la confessione. I sudditi serbi del sultano dipendevano dall'autorità ecclesiastica cristiana per tutto ciò che non interessava il potere turco: stato civile, contenziosi legali, educazione scolastica. 11 popolo viveva in uno stesso momento sotlu il dominio ottomano e sotto una sorta di 'eocrazia serba autonoma, :na non territoriale, ohe aveva competenze assai vaste. Era il patriarca ortodosso della comunità colui che amministrava il culto e la giustizia, che sovrintondeva allo studio della lingua materna e della scrittura cirillica, che nutriva all'insegna del patriottismo lo spirito e la mente delle giovani generazioni. La spada e la croce si tempravano a vicenda contro la mezzaluna dell'Islam. Contro i turchi. Contro i rinnegati. Contro i servitori più zelanti dei turchi e dei rinnegati: cioè i beg, i burocrati, i gendarmi di stirpe albanese, che sul Kosovo spadroneggiarono per secoli. Oggi, la cultura castrense dei serbi si abbatto con tutto il suo peso represso sui discendenti dei tutori schipetari. Ma è giusto far pagare, ai poverissimi diseredati odierni dei beg d'una volta, un prezzo di dolore e di sangue che neppure la dittatura monarchica di Alessandro Karadjordjevic né quella comunista di Josip Broz Tito osarono imporre ai non serbi del Kosovo? Oggi per la propaganda del leader Clinton è un Hitler redivivo e la Jugoslavia del 1999 è paragonata a quella che nel '41 seppe opporsi alla Germania 804 i contadini danno all'Europa nale nsurrezione ottomana sorto da di un mercante rci, Karagiorgio rgio il nero» disegno di Viola) onda la prima tia serba, quella Karadjord|evlc istra, un bardamento grado Oggi ppropagdel leClinton Hitler rede la Jugosdel 19paragoa quella ch'41 sopporsGermdentificava con la nfessione. I sudditi Nel 1804 i contadini serbi danno all'Europa il segnale dell'insurrezione anti ottomana sorto la guida di un mercante di porci, Karagiorgio «Giorgio il nero» (nel disegno di Viola) che fonda la prima dinastia serba, quella dei Karadjord|evlc A sinistra, un bombardamento a Belgrado