La metamorfosi del premier

La metamorfosi del premier La metamorfosi del premier «Segnato» dalla visita di Pasqua ai profughi retroscena ROMA SUL palchetto della sala stampa di Palazzo Chigi Massimo D'Alema, con il viso contratto, ha aspettato per due minuti in silenzio il collegamento con il Tgl e il Tg5 per dare in diretta un annuncio che somiglia ad un'altra piccola svolta nella linea tenuta dal governo italiano sul conflitto nel Kosovo. Ai microfoni con un tono da generale Patton, il premier ha fatto una dichiarazione che ha liquidato la tregua unilaterale annunciata da Milosevic, assumendo una posizione allineata - e coperta - con quelle di Clinton, Blair, Schroeder eChirac. Poco prima, dopo aver parlato con il cancelliere tedesco, il presidente francese e il segretario generale della Nato Solana (nel corso della serata ha avuto contatti con tutti gli alleati), il premier italiano aveva regalato ai suoi collaboratori giudizi ancora più espliciti: «L'uscita di Milosevic è un mezzo imbroglio e dimostra solo che i bombardamenti cominciano a farsi sentire». L'unica differenza con Washington e Londra è di metodo: D'Alema, insieme a Chirac e a Schroeder, non nasconde una certa irritazione per il fatto che Clinton e Blair abbiano risposto picche a Belgrado prima di un consulto nella Nato. Una irritazione enfatizzata nel corso della serata da Palazzo Chigi per calmare le critiche dei pacifisti nostrani. Detto questo, però, il D'Alema di ieri sembra lontano anni luce da quello che dieci giorni fa al vertice di Berlino fece una fuga in avanti verso Belgrado sul piano diplomatico irritando Blair e Clinton. E forse è diverso anche da quello che nel week-end ha sposato del tutto la mediazione del Papa, visto che ieri dal Vaticano è arrivata all'Alleanza la richiesta di sospendere i bombardamenti. Una metamorfosi quella del presidente del Consiglio forse determinata dalla preoccupazione di non isolarsi troppo dagli altri Paesi del Gruppo di contatto, o magari, come ha ammesso lui stesso, dalle impressioni ricavate dal suo viaggio pasquale ai confini con il Kosovo: «Per chi ha potuto vedere direttamente la realtà dei profughi, come io ho potuto vedere, appare veramente improbabile pensare che queste persone possano tornare, sulla base dell' iniziativa di Milosevic, nei loro villaggi incendiati, nelle città dove sono ancora presenti le truppe serbe, dopo aver assistito impotenti al massacro dei loro cari». Il più sorpreso della metamorfosi dalemiana sarà proprio il presidente serbo che a stare appresso alle intercettazioni dei satelliti americani aveva individuato nell'Italia l'anello debole della Nato. Forse proprio per questo, per rifiutare quella parte in commedia che gli aveva assegnato l'uomo di Belgrado, D'Alema è andato avanti, infischiandosene della prudenza della Farnesina e delle proteste della sua maggioranza. Dei suoi dubbi, se mai ne ha avuti, il premier italiano ha fatto partecipi solo i leader dell'Alleanza. Non li ha confidati, invece, alle telecamere. Lì è stato attento a mostrarsi determinato. Ha detto di condividere l'opinione degli altri alleati e che il governo di Belgrado deve dare ben altre garanzie: «L'inizio del ritiro delle truppe serbe dal Kosovo, la possibilità di verificare che la tregua sia reale, accettare, da parte di Belgrado, una presenza intemazionale nelle forme che saranno ritenute ragionevoli e accettabili come tutela dei profughi, che altrimenti difficilmente potranno pensare di rientrare nelle loro case». Milosevic con la sua sortita dall'Italia ha ottenuto solo una cosa: la richiesta per giovedì di una riunione del Consiglio Atlantico a livello di ministri degli esteri. Nò il premier italiano ha fatto cenno al «G8» come strumento per intervenire nella crisi dei Balcani. Forse lo farà oggi, come giurano i bene informati, ma ieri ha tralasciato l'argomento che sta a cuore ai russi.. In ultimo, dato non secondario, D'Alema ha sottolineato che la tregua di Milosevic è soprattutto il segno dell'efficacia dei bombardamenti Nato. Insomma, per il momento il premier, al di là di qualche differenza dei toni, è stato al gioco degli americani e dell'Alleanza. Anche nella nuova partita che si sta aprendo con Belgrado, quella su una presenza di un contingente internazionale nel Kosovo per garantire i profughi, il governo italiano non si discosta dalle posi- zioni degli altri paesi Nato. L'ultima svolta, però, creerà di nuovo problemi a D'Alema sul fronte interno. Ieri le parole del premier erano più in sintonia con i ragionamenti di Gianfranco Fini, che non con le dichiarazioni di Cossutta e di Manconi. Ma il capo del governo ha sempre saputo che per armonizzare i doveri dell'alleanza con le contraddizioni pre¬ senti nella sua maggioranza avrebbe dovuto percorrere un sentiero stretto. Così, se nella dichiarazione in Tv è stato attento a non marcare differenze con gli altri paesi Nato, nei «pour parler» con i protagonisti del «pollaio interno» (e un'espressione dalemiana) il premier ha assicurato che l'Italia farà sentire la sua voce nella riunione del Consiglio atlantico per rilanciare la strada diplomatica. Quello di D'Alema è un atteggiamento obbligato. Almeno in privato il premier deve soggiacere alle liturgie della sua maggioranza: deve dare un contentino a Cossutta, che in cambio si è in¬ ventato una missione diplomatica a Mosca e a Belgrado per prendere tempo; deve assecondare in qualche modo i «mal di pancia» che la sinistra diessina e i verdi debbono dichiarare per fini elettorali. Così va la politica italiana e D'Alema è il primo a saperlo. La «svolta» del governo determinerà nuove; polemiche che però, al solito, non avranno nessuna conseguenza: alla fine non ci sani nessuna crisi e neppure le dimissioni dei ministri neo-comunisti e verdi. Anche perchè in Parlamento D'Alema può contare su diverse maggioranze. Almeno fino a quando durerà la guerra...