Ad Aleksinac, sotto le bombe

Ad Aleksinac, sotto le bombe Ad Aleksinac, sotto le bombe La città straziata dai «colpi chirurgici» reportage Fernando Mottetti E inviato a ALEKSINAC RO appena uscito dal bar, Suando ho sentito il rombo ell'aereo, e 5 esplosioni. Due, potenti, assordanti. Erano le 21,45. Mi sono buttato a terra, le case sembravano scoppiare tutte. I vetri delle finestre e delle vetrine partivano in tutte le direzioni, in un fragore terribile. Io amo i film americani, mi è sembrato di stare in mezzo a uno di quei loro film di guerra, ne ho visti tanti sul Vietnam. Invece, era la mia città sotto le bombe, e noi non siamo guerriglieri Vietcong, ma cittadini pacifici che non hanno attaccato nessun americano». Alex, perito industriale, disoccupato, ha poco più di 20 anni, e non nasconde l'emozione davanti alle macerie delle case distrutte in due zone di Aleksinac, questa cittadina di 25 mila abitanti a 200 chilometri a Sud di Belgrado e trenta da Nis, il più importante centro della regione. Appoggiata a un asse divelto Qui è avvenuto lunedi sera quello che tutti temevano potesse prima o poi accadere: un errore nei micidiali colpi chirurgici, o un «danno collaterale», come dicono gli esperti militari. Bombe dal cielo su abitazioni, misere casette e edifici popolari. Morti e feriti. Undici morti finora accertati e trenta feriti, dice il tenente colonnello che ci accompagna, precisando che non si è trattato di missili di crociera, ma di missili o bombe sganciati da un aereo. Si teme che altri morti siano sotto le macerie, non ancora completamente sgomberate. Vi si fruga con le nude mani, senza mezzi meccanici. Non è possibile verificare le cifre, ma dalla distruzione che si vede, le vittime dovrebbero essere tante. Pare che l'obiettivo fosse un comando mihtare a circa un chilometro di distanza. Da Bruxelles si apprenderà poi che puntavano al comando di un'armata, 600 metri più in là. Non si sa se sia stato colpito, gli accompa- ?naturi militari che ci scortano ci anno visitare solo le due zone di abitazioni civili bombardate. Decine di case distrutte, un centinaio danneggiate, infissi divelti, tetti scoperchiati. Auto sepolte sotto i crolli, ovunque nelle strade, vetri delle finestre scoppiati per lo spostamento d'aria. Si arriva a Aleksinac dopo 200 chilometri di autostrada assolutamente deserta. La via principale, uliza Kneza Milosa, è lunga meno di duecento metri. Case a più piani. A livello stradale, tutti negozi, dalla botteguccia di confezioni chiamata alla francese boutique, ma in cirillico, al supermercatino, hanno le vetrine infrante. In qualche edifìcio sono scoppiate anche le finestre dei piani superiori. Questa strada su cui fino a pochi giorni fa si svolgeva lo struscio serale è immersa nel silenzio, lastricata di rottami di vetri. I negozi, indifesi, dato che porte, infissi e vetrine sono {lattiti, sono tuttavia pieni delle oro mercanzie, sparse a terra o ammassate negli scaffali divelti. Nessuno tocca niente. In fondo, si gira a destra per arrivare al centro del bombardamento, uliza Ousana Trivunca. E' un vicoletto, con all'inizio, sulla sinistra, un fabbricato di sei piani appena finito di costruire, in cui abitano 50 famiglie. E' in piedi, apparentemente intatto, ma su un lato finestre e infissi sono divelti, i negozi al pianoterra devastati. Di fianco al fabbricato, un ammasso di macerie. Qui sorgevano misere casette di solo piano terreno, ciò che resta mostra materiali poveri. E' tutto raso al suolo. Qua e là, macchie di sangue. Quell'ammasso di rottami, non più alto di mezzo metro, a guardarlo bene è una vecchia 600. In un angolo, appoggiata a un mucchio di mattoni, una donna anziana piange e si dispera. Suo fratello con la moglie abitavano qui, sono morti. Tra le macerie, scarpette di bambina, poveri fiori di plastica, letti sventrati, mobili a pezzi. Sotto un tetto pericolante, tra pareti crollate, si aggira Sergian, un uomo di circa 40 anni. «Ho sentito il rombo dell'aereo, ho preso dalla culla la mia figlioletta Sandra di sei mesi, e sono corso fuori con mia moglie. Appena in tempo, questione di secondi. La bomba è caduta e ha distrutto tutto. Zio Jovan e sua moglie Sophia, nella casetta qui accanto, anziani, sono rimasti lì sotto, li hanno tirati fuori questa mattina, a pezzi». Difficile fare il conto delle casette distrutte, bersagliate: tutte le altre della viuzza, benché ancora in piedi, sono danneggiate, pareti pericolanti, tetti smossi, infissi divelti. Più avanti, l'ambulatorio, di recente costruzione, ha subito anch'esso gravi danni. Ratko, (Guerriero) un ragazzino dai grandi occhi spaventati, piange per la morte di tjatia Jovan, zio Jovan. Non era suo zio, ma lo chiama così secondo l'uso slavo nel rivolgersi agli anziani. Più avanti, Milos, 22 anni, dice di aver sentito il rombo dell'aereo e i colpi della contraerea, poi più esplosioni. Alex aveva detto di averne sentite 5. Andiamo a vedere, col tenente colonnello, dove sono cadute le altre. Poche centinaia di metri a piedi. A una curva, una piccola coda. Si distribuiscono pacchi dell'alto commissariato dell'Onu per i rifugiati. Ecco, altre abitazioni distrutte, danneggiate, rase al suolo. Tutto indica gli sforzi di miglioramento con rimesse degli emigrati. Vecchie Mercedes schiacciate sotto i detriti. Pianti, scoramento, ma non disperazione. L'attacco è piombato sulla popolazione civile nella quattordicesima notte della campagna Nato, la più intensa da quando è cominciata. I raid hanno colpito il paese da Nord a Sud, dalla Vo jvodina al Kosovo ai dintorni della capitale. A Novi Sad, più volte bombar data, e dove sono stati distrutti due ponti sul Danubio, centrata una grande raffineria; a Pance vo, vicino Belgrado, altra raffineria; a Nis, centro operativo degli attacchi nel Kosovo, colpiti depositi di munizioni e carburante, sistemi di comunicazione e di comando, come a Pristina e dintorni. A Sombor, confine con la Croazia, abbattono ponte sul Danubio. Che tristezza dare boi lettini di distruzione. «I vetri volavano da tutte le parti sembrava di essere nel Vietnam Ma noi non siamo guerriglieri vietcong siamo cittadini pacifici che non hanno attaccato nessun americano»

Persone citate: Milos

Luoghi citati: Aleksinac, Belgrado, Bruxelles, Croazia, Kosovo, Sombor, Vietnam