Ho creato lo Struzzo sotto gli occhi dell' Ovra

Ho creato lo Struzzo sotto gli occhi dell' Ovra Ho creato lo Struzzo sotto gli occhi dell' Ovra «Nella Torino degli Anni 30 gli spazi di libertà erano nulli» Giulio Einaudi s\ I UE STA mia Lezione ma11 gistrale intende sofferB 1 marsi sulle radici della Il casa editrice Einaudi, e ApJ sulle ragioni per cui è V nata. Questione non inutile se si considera la centralità che essa ha assunto nella cultura italiana del nostro secolo. Si tratta di una casa editrice sorta a Torino nel 1933, in un momento di massimo consenso al regime, in un momento in cui gli spazi di libertà di espressione e di stampa erano pressoché nulli, in un momento in cui gli occhi onnipresenti dell'Ovra erano puntati sui pochi intellettuali dissidenti, e quando, nel decennio precedente, ogni segno di libera espressione era stato stroncato: il regime infatti non aveva tollerato la ((Piero Gobetti editore», sorta nel '23 e costretta a chiudere nel '25, dopo aver pubblicato, in soli due anni, un centinaio di volumi tra cui gli Ossi di seppia di Eugenio Montale, nonché saggi di Salvatorelli, Dorso, Nitti, Luigi Einaudi, Raffini, Luigi Sturzo e Gobetti stesso. «Che ho a che fare io con gli schiavi?» è il motto inciso in lettore greche su ogni copertina della casa editrice, una casa editrice che rappresenta «un movimento di idee», ma, aggiunge Gobetti, «con questo non si viene a dire che l'editore debba limitare le sue vedute al circolo chiuso di un sistema». Questa attività editoriale si affianca al settimanale «La Rivoluzione Liberale», pubblicato tra il febbraio '22 e il novembre '25, data quest'ultima nella quale Gobetti, impossibilitato a operare, lascia l'Italia con l'intento di far sorgere a Parigi una casa editrice «europea». Quelle idee non conformiste Da notarsi la compenetrazione tra settimanale e edizioni, le une a sostegno dell'altro, e viceversa, si da consolidare quel movimento di idee non conformiste e intransigenti che caratterizzano tutta l'attività di Gobetti, lasciando dopo la sua morte una traccia nell'intellighenzia non solo torinese, in quanto egli ebbe stretti legami con ambienti culturali diversi, dal gruppo di «Solatia» a quello della «Voce» di Prezzoline per culminare con Gramsci, Salvemini e Benedetto Croce. Non è il caso, qui, di sottolineare l'importanza che ebbe per Gobetti il rapporto con Luigi Einaudi, di cui fu allievo, con Antonio Grasmi, all'Università di Torino, al tempo in cui fondò, nel '18, appena diciassettenne, la rivista «Energie Nove», da lui interrotta nel '20 perché, come egli stesso scrive, «sentivo bisogno di maggiore raccoglimento e Eansavo a una elaborazione potica assolutamente nuova, le cui linee mi apparvero di fatto nel settembre, al tempo dell'occupazione delle fabbriche» «uno dei fenomeni più schiettamente autonomisti che abbiano saputo prodursi nell'Italia moderna», scriverà in seguito in polemica col suo maestro Luigi Einaudi, di cui critica la «posizione meramente negatrice» nei confronti di questo fatto. Norberto Bobbio, a proposito delle idee gobettiane, sostiene che esse «sono di origine salveminiana ed einaudiana» e che anche nei momenti in cui dissentirà dai suoi maestri «l'impronta originaria è rimasta, e sarà proprio questa impronta originaria, non mai cancellata, che darà al suo movimento, quando si avvicinerà ai comunisti dell'"Ordine Nuovo"... un carattere inconfondibile e irripetibile. Attraverso l'insegnamento di Luigi Einaudi egli rafforza il suo primitivo, spontaneo antistatalismo, in cui si incontrano liberalismo, liberismo e quello stesso libertarismo che gli è congeniale. Dai primi scritti sino agli ultimi egli si considera un "liberale"». E ancora Bobbio osserva: «Rispetto a Salvemini e a Einaudi, l'insegnamento di Croce è di metodo più che di sostanza: il metodo della serietà contro il dilettantismo, della severità contro la faciloneria». E «religione della Libertà», prima che Croce rendesse familiare questa definizione, Gobetti definì questo suo appassionato apostolato, quasi un ascesi laica, dove cultura e azione si compenetrano. Battaglia libertaria, intransigenza, e insieme pensiero, approfondimento, il tutto attraverso le sue riviste, i suoi libri, quelli di altri e quelli suoi, lasciando un'eredità difficile da raccogliere, ma che, possiamo dire, non fu dispersa. Ricordiamo innanzitutto che nel momento in cui Gobetti lasciava l'Italia, Alfredo Poliedro fondava la «Slavia», casa editrice nota in particolare per la pubblicazione di classici russi, tradotti integralmente dal russo, mentre sino ad allora le traduzioni, spesso monche, erano ritradotte dal francese. Già Gobetti, col suo Paradosso dello spirito russo, aveva aperto la strada alle letture e allo studio del pensiero russo. Alla «Slavia» collaboreranno per le traduzioni i migliori slavisti, da Lo Gatto a Poliedro stesso, alla Duchessa d'Andria, e infine il giovane Leone Ginzburg, che nel 1927, a 18 anni, tradurrà Taras Bul'ba di Gogol, iniziando la sua attività in campo scientifico, di studioso della letteratura e della cultura russa. L'anno prima, in classe, al Liceo d'Azeglio, quando Umberto Cosmo annunciò con voce accorata la morte di Gobetti, Bobbio racconta che a quel tempo non sapeva chi fosse Gobetti, e che solo Ginzburg lo sapeva e «alla fine della lezione ce ne parlò». Le parole del prof. Monti Ma a parlare di Gobetti fu un gobettiano ante litteram, il professore Augusto Monti. Questi diresse sino al 1928 la rivista gobettiana «Il Baretti», rivista che raccolse intorno a sé i mi¬ gliori suoi allievi, da Ginzburg a Pavese a Mila, rivista che fece da ponte tra due generazioni, quella di Gobetti e quella di Ginzburg, che non si erano mai conosciute di persona: attraverso le parole di Monti il pensiero di Gobetti veniva trasmesso quasi in forma catacombale in una buia sala del caffè Rattazzi. Gobetti pensava fermamente che solo attraverso le riviste si formano gruppi omogenei di persone che, attente allo studio, si preparano all'azione. Ora, quando «Il Baretti» cessò le pubblicazioni, Ginzburg iniziò a collaborare alla «Cultura», e quando intravide la possibi¬ lità di rendere questa rivista più agile e viva pur mantenendone le caratteristiche di rigore culturale, suggerì a me - sin dagli anni del liceo impegnato editorialmente nella rivista di mio padre «La Riforma Sociale» - di assumerne l'edizione, affiancando alle due riviste, e in sintonia con esse, sull'esempio gobettiano, un'attività editoriale vera e propria. Ed ebbe così inizio l'attività della casa editrice Einaudi. Un passo indietro. Nel 1924, nell'introduzione all'edizione cappelliana della «Rivoluzione Liberale», Gobetti scrìveva: «La nostra sarà, nel suo aspetto più originale, una generazione di storici». Ginzburg fece suo questo ideale: solo la riflessione storica avrebbe consentito di vedere con occhi non offuscati da pregiudizi il passato e individuare l'azione per il presente. Quindi gli studi e, nello studio, l'impegno, lontano da ogni accademismo, ma attento ai valori della filologia e del rigore. Critico di ogni conformismo, fu inflessibile resistente al fascismo e tenace custode dei valori alti della cultura. Di qui la sua appassionata lotta per la libertà, politica e culturale, il suo proposito di far diventare la rivista «La Cultura» un organo di aggregazione di valori dispersi, di voci che non avrebbero trovato spazio altrove. Arrestato Ginzburg nel marzo '34 per attività clandestina, e condannato a quattro anni di carcere, di cui due condonati per amnistia, «La Cultura», rimasta orfana del suo promotore, non si arrese, e se la sua vita fu breve, dal marzo '34 al maggio '35, lo fu perché soppressa dal regime. Ma molti suoi collaboratori, confermando l'idea ginzburgbiana e gobettiana delle ri viste come centro di cultura divennero autori della casa editrice, da Augusto Monti a Luigi Salvatorelli, da Cesare Pavese a Carlo Levi, da Arnaldo Momigliano a Paolo Trevos, da Massimo Mila a Giulio Carlo Argan, da Zino Zini ad Arrigo Cajumi. Lo stesso avvenne con «La Riforma Sociale», cui si affiancarono i volumi della collezione di «Problemi contemporanei». Un pensiero aperto Leone Ginzburg, tornato dal carcere, riprese la sua attività presso la casa editrice, curando in particolare la «Biblioteca di cultura storica» che già si era distinta pubblicando nel 1935 il libro di Salvatorelli 11 pensiero politico italiano dal 1700 al 1870, attivando la collana dei «Saggi», e impostando, quasi a riprendere il lavoro egregiamente svolto da Poliedro con la sua «Slavia» e da Franco Antonicelli con la sua «Biblioteca europea» edita da Frassinelh, l'ormai famosa collezione con la copertina in carta da zucchero «Narratori stranieri tradotti», nonché la a lui ben congeniale «Nuova raccolta di classici italiani annotati», affidandone la cura a Santorre Debenedetti. Se consideriamo l'influenza che Einaudi e Gramsci ebbero su Gobetti, e quella che Croce e Gobetti ebbero su Ginzburg, vediamo che le loro diverse ideologie, tutte peraltro tese al comune obiettivo della libertà, fuse in un unico crogiolo dialettico, hanno costituito le basi di un confronto tra le generazioni dei padri e quelle che si sono succedute nel corso del nostro lungo secolo. Queste sono le radici che si sono intersecate, favorendo la crescita di un pensiero aperto a tutte le esperienze ma fermamente ancorato al principio della «religione della libertà» che Croce riprenderà da Gobetti. E' a questo princi pio che ancor oggi la casa edi trice Einaudi si richiama, ben sapendo che i vari Libri che essa pubblica sono al servizio di un sapere unitario e molteplice, ben sapendo che ogni libro si integra agli altri suoi libri, ben sapendo òhe senza questa integrazione, questa compenetra zione dialettica si rompe un filo invisibile che lega ogni libro all'altro, si interrompe un circuì to, anch'esso invisibile, che solo dà significato a una casa edi trice di cultura, il circuito della libertà. Il 14 ottobre dell'anno scorso Giulio Einaudi aveva ricevuto la laurea honoris causa in Lettere dall'Università di Torino. Pubblichiamo la sua «Lezione magistrale». Da sinistra Elio Vittorini, Italo Calvino (dietro a lui si intravede Daniele Ponchiroli) e Giulio Einaudi a Dogliani nel maggio del 1965

Luoghi citati: Dogliani, Italia, Parigi, Santorre Debenedetti, Torino