Un catalogo nella tempesta di Pierluigi Battista

Un catalogo nella tempesta Un catalogo nella tempesta Così replicò alle accuse di «egemonia culturale» Pierluigi Battista L A polemica divampò con inattesa rapidità e infiammò un milieu culturale ancora sotto choc per la rovinosa caduta del muro di Berlino. Era il 1990, e nella disputa sull'«egemonia culturale» che secondo i suoi detrattori l'Einaudi avrebbe esercitato in Italia per conto della sinistra (comunista) si ebbe la percezione di una rottura profonda nel ceto intellettuale di matrice liberal-democratica, il venire alla luce di un dissenso profondo che attraverso il giudizio sulla casa editrice diretta da Giulio Einaudi coinvolgeva anche e soprattutto il giudizio sull'atteggiamento della cultura italiana nei confronti dei comunisti italiani e del comunismo come esperienza storica complessiva di questo secolo. E' incredibile, scrisse proprio sulla Stampa lo storico Ernesto Galli della Loggia, che una casa editrice «di alta cultura» e di «indiscutibile rango intellettuale» avesse affrontato con tutte quelle che venivano definite remore e autocensure la realtà storica del comunismo: «E' difficile credere sia alla casualità, sia ad una supposta ovvietà di una simile scelta culturale. La cosa più probabile è che i consulenti dell'Einaudi ed i funzionari editoriali di via Biancamano, stretti per un verso dalla necessità di non spiacere alle forsennatezze settarie del Pei in un campo delicatissimo, e per l'altro dall'esigenza di salvare il proprio onore non diventando dei puri megafoni dello stali- nismo, abbiano scelto la soluzione "italianissima" del silenzio. Di non pubblicare nulla». Giulio Einaudi dirà in seguito, in più d'una occasione, di aver considerato questo attacco particolarmente duro e anche doloroso. In passato aveva avuto modo di dolersi per le critiche di chi, come Valerio Riva, rileggeva la storia editoriale italiana come una progressiva fuoriuscita di «eretici» dalla costola einaudiana che rup¬ pero con via Biancamano per pubblicare Sigmund Freud (fondando la Boringhieri) e Nietzsche (fondando la casa editrice Adelphi). E ancor più era stato colpito da alcune punzecchiature che la sua casa editrice aveva ricevuto proprio da Calasso, il factotum dell'Adelphi. O ancora dall'attacco di Elvio Fachinelli che aveva accusato l'Einaudi di aver «censurato» l'Adorno dei Minima moralia (pubblicando con l'Erba Voglio con il titolo di Minima immoralia i brani di Adorno non tradotti). Ma stavolta le critiche sembravano allargarsi all'identità stessa dell'Einaudi. Nicola Matteucci aveva scritto pochi giorni prima sul Giornale della «dittatura culturale» esercitata dal marxismo in Italia. Ora Galli della Loggia parlava di «egemonia culturale». Giulio Einaudi non rispose in prima battuta sebbene avesse apprezzato la difesa che dello Struzzo aveva fatto Norberto Bobbio sulla Stampa invocando «un giudizio più equilibrato, meno sbrigativo, meno infastidito e provocatorio da parte di coloro che credono di essere i vincitori» all'indomani del collasso del comunismo e definendo «non veritiero» il giudizio secondo cui all'ombra dello Struzzo «per trent'anni siamo stati costretti a "leggere alla marxista"» giacché era incontestabile che l'Einaudi fosse riuscita a «mantenere una sua sfera di autonomia» anche in tempi molto duri. Su quella polemica a proposito dell'«egemonia culturale della sinistra», Giulio Einaudi tornerà più volte, difendendo strenuamente il suo catalogo. Ma nella discussione si appassionava e non si tirava indietro: una virtù sempre più rara che gli veniva riconosciuta anche dai suoi critici più inflessibili. Per mancanza di spazio, le rubriche «Lettere al giornale» e «La lettera di O.d.B.» sono rinviate a domani Anche Bobbio difese lo Struzzo: «Mantenne una sfera di autonomia, non è vero che per trentanni siamo stati costretti a "leggerealla marxista"» Lo storico Ernesto Galli della Loggia accusò l'Einaudi di aver affrontato con remore e autocensure la realtà storica del comunismo. A destra, Roberto Calasso «padre» dell'Adelphi

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