La paura dei referendari «la guerra può oscurarci»
La paura dei referendari «la guerra può oscurarci» Quorum a rischio per il voto del 18 aprile La paura dei referendari «la guerra può oscurarci» Fini e Prodi sulla stessa linea: dobbiamo batterci contro la campagna del silenzio ROMA Più aumenta l'intensità dei bombardamenti sulla Serbia, più monta la paura dei sostenitori del referendum contro la quota proporzionale. Gli organizzatori temono che gli italiani non vadano a votare in numero sufficiente, distratti dai gravi problemi che abbiamo alle porte di casa. Temono, cioè, che non si raggiunga il quorum del 50 più uno per cento di votanti e che il referendum faccia flop come è già avvenuto nel 1990 (disciplina della caccia), e nel 1997 (sette referendum cestinati con una bassissima affluenza alle urne: 30 per cento). La paura dell'assenteismo alla urne coinvolge Fini e Veltroni, Prodi e i dirigenti del comitato per il referendum. Gianfranco Fini, al suo ritorno dalle vacanze africane, si è preoccupato più di chiedere una mobilitazione «contro la campagna del silenzio» sul referendum, che della guerra in Serbia. Come lui, Romano Prodi dice che «si sta usando la tecnica di far ritenere poco importante il referendum, così che la gente non vada a votare». «La guerra, tra le altre, ha prodotto anche questa conseguenza indesiderabile - si lamenta Antonio Martino, referendario di Forza Italia -. Se il referendum non dovesse raggiungere il quorum - sostiene l'effetto sarebbe disastroso. Verrebbe interpretato come licenza di uccidere. Ossia, come disinteresse degli italiani per il cambiamento e come approvazione della tendenza in atto al ritorno al proporzionale. Il mancato quorum determinerebbe una assoluta inattività o una finta riforma». Martino arriva a dire che la eventuale vittoria del «no» sarebbe «meno disastrosa della mancanza del quorum, perché non avrebbe vinto il partito di quelli che non credono alla politica, ma avrebbero vinto i restauratori e senza appello». Luigi Abete, membro del co¬ mitato per il referendum, non vuole parlare di rischio quorum, ma la preoccupazione traspare ugualmente quando dice che il «sì» vincerà, ma conterà anche vedere quanti saranno i votanti. «Non è indifferente se a votare andrà il 70 per cento, l'80 o il 90 della popolazione». I referendari si rendono conto che le resistenze contro il referendum che punta ad abolire la quota proporzionale sono tante e insidiose, dal loro punto di vista. Silvio Berlusconi, per esempio, ha detto che in questo momento spendere 1000 miliardi per fare svolgere il referendum è fuori luogo. Abete risponde: «A chi pretestuosamente ci dice che si spendono troppi soldi per il referendum, chiedete conto dei soldi che hanno ricevuto con il finanziamento pubblico i partiti e i partitini esistenti, disattendendo il referendum e la volontà dei cittadini». Ancora più cauto Mario Segni che evita qualsiasi accenno all'affluenza alle urne mentre ripete l'argomento col quale incita a votare «sì»: «Non possiamo affrontare le crisi internazionali sotto il ricatto dei vari Cossutta e condizionati dagli estremismi dei Bertinotti e dalle irresponsabilità dei Bossi. Sabato abbiamo sfiorato la crisi di governo. Sarebbe stata drammatica. Forse la sfioreremo di nuovo nei prossimi giorni. Nulla di tutto questo capita in Francia o in Inghilterra o in qualche altro Paese europeo». Mario Segni ha proposto un «vertice» dei capi sostenitori del «sì», ed ha ottenuto l'immediata adesione di Prodi, Veltroni, Fini e Casini. L'incontro per per preparare la volata finale verso il voto di domenica 18 aprile dovrebbe tenersi venerdì prossimo. Sabato e domenica partirà una campagna, nelle principali città italiane, per sensibilizzare i cittadini e convincerli ad andare a votare il 18. Oggi Veltroni e Fini saranno al «referendum day» organizzato dai giovani industriali.
Luoghi citati: Francia, Inghilterra, Roma, Serbia
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