Cossutta: «Rimaniamo a vigilare sul governo» di Antonella Rampino

Cossutta: «Rimaniamo a vigilare sul governo» Cossutta: «Rimaniamo a vigilare sul governo» Antonella Rampino ROMA Alla fine, ma solo alla fine, dopo otto estenuanti ore di discussione, «perché i compagni si devono esprimere tutti», s'è deciso: i ministri cossuttiani restano al governo, «noi siamo comunisti, abbiamo senso del dovere» dicono in coro Belillo e Diliberto. I Comunisti italiani restano a vigilare, «con grande senso di responsabilità», che il governo italiano si spenda anche per la pace, e non solo per la Nato. E se poi così non dovesse essere, i ministri si ritireranno in futuro, dice Armando Cossutta. 11 quale ancora non sa, la notizia arriverà più tardi, che la Nato sta valutando se mandare truppe da terra, nella formula della «protezione umanitaria», che è poi quella che non richiede, per essere attuata, che votino favorevolmente tutti i Parlamenti dei Paesi interessati. Ma dicono che Armando Cossutta, dopo sette ore e mezzo di dibattito nel parlamentino comunista, di fronte ai mille distinguo di un partito molto notabilare e molto istituzionale, ma composto pur sempre di duri e puri della sinistra vecchio stile, disposti sempre a sbattere la porta, anche perdendo il posto, pur di sentirsi dalla parte della ragione che l'elettorato continuamente indica, si sia messo a fare un curioso elenco. Con le lacrime agli occhi e le vene del collo che gli scoppiavano, e cioè come nessuno lo aveva mai visto prima: «Ma che volete, che dichiari guerra a Clinton? Io ci sono stato, dai ferrovieri, dagli edili, dai tessili, dagli impiegati. Se volete, ricomincio. Ma se noi oggi ce ne andiamo dal governo, non ci ritroviamo da domattina solo con Palazzo Chigi che prende ordine direttamente dalla Nato. Ci ritroviamo, anche, a dover scendere in piazza. E secondo voi, quanta gente in Italia oggi è disposta a fare manifestazioni, a protestare per la pace?». E infatti, mentre il parlamentino comunista discuteva a lungo - a lunghissimo, ma «i compagni si devono esprimere» - e metteva sul bilancino, di qua il pacifismo, di là la realpolitik, in piazza per la prima manifestazione per la pace c'erano un centinaio di migliaia di persone, «mentre noi comunisti in piazza, su temi come questi, in altri tempi avremmo portato milioni di persone» motiva il coordinatore Marco Rizzo, «e anche per questo la nostra decisione è stata una sofferenza». Alla fine, appunto, ha vinto la realpolitik di un partito piccolo piccolo, reduce da una scissione con Rifondazione praticata per salvare il governo, e dunque sbarrare la strada a eventuali elezioni anticipate che avrebbero potuto vedere le destre vittoriose. Un partito piccolo piccolo che adesso si trova di fronte allo stesso guado: uscire dal governo D'Alema significherebbe provocare come effetto collaterale lo slittamento ancora un po' più in là, verso destra, del medesimo governo. E aprire un varco, sottile e arduo ma possibile, a scenari di governo istituzionale. «Tutto vero, tutti pericoli reali» dice Cossutta, «ma tutte verissime motivazioni secondarie: al centro, per noi, c'è la possibilità di lavorare per la pace, perché su pace e guerra la scelta non si pone nemmeno». E in effetti, che sul comitato politico spirassero venti di pace, lo si era capito già dalla sera prima, quando D'Alema, non senza molte telefonate con Cossutta, non senza averci pensato così a lungo che a un certo punto nelle file comuniste si era diffuso l'umore più nero, con Cossutta e Diliberto chiusi a consulto per una buona mezza giornata, D'Alema infine lo spiraglio l'aveva aperto. E ieri mattina, prima ancora che i cossuttiani si riunissero all'hotel Jolly, aveva addirittura fatto visita al segretario di Stato vaticano, monsignor Sodano. Aveva cioè, fatto quel che i cossuttiani desideravano: schierare il governo italiano dalla parte del Papa, che per la pace lavora. Fuori tendenza, paventando l'invio da parte della Nato di truppe da terra, e dunque favorevole ad uscire subito non solo dal governo, ma anche dalla maggioranza, è stato l'intervento di Nerio Nesi. Che si e astenuto sulla mozione di Cossutta, passata con 19 voti favorevoli e 3 contrari, tra i quali Lucio Manisco che nel suo intervento, da esperto di cose americane, ha detto chiaro e tondo «guardate che la Nato manderà presto truppe di terra, e allora noi che faremo? D'Alema non dà veri segnali di voler fermare l'escalation». E così, nel giorno in cui il mondo vedeva - Manisco le ha seguite a lungo sulla Cnn - le prime vere immagini di bombardamento di palazzi, sia pure del potere, al centro di Belgrado, che ai militanti comunisti sembrano «come se avessero bombardato il Teatro dell'Opera a Roma», i Comunisti italiani frenano. Li guida la nuova realpolitik di Cossutta. Il quale dice chiaro e tondo, fuori e dentro la riunione «Noi non possiamo dichiarare guerra alla Nato, noi dobbiamo lavorare su D'Alema». Continuare a battersi perché il governo italiano, che sta nel Patto atlantico, cerchi pure soluzioni di pace. Armando Cossutta e Oliviero Diliberto al coordinamento dei Comunisti italiani Il presidente del Consiglio Massimo D'Alema

Luoghi citati: Belgrado, Italia, Roma