Il giallo di Arkan la tigre tra sangue e business di Giuseppe Zaccaria

Il giallo di Arkan la tigre tra sangue e business I SIGNORI DELLA GUERRA NEI BALCANI Il giallo di Arkan la tigre tra sangue e business personaggio Giuseppe Zaccaria inviato a SKOPJE L'ultima volta l'avevo incontrato in un ufficio appena visitato dall'opulenza. Una parete di video dove prima era il bandierone del partito, segretarie direttamente estratte dalle copertine di «Playboy», una tenuta da manager che non risentiva di influenze balcaniche, ma piuttosto della mano di un buon sarto italiano. Avveniva circa un anno fa, e quel giorno Zeljko Raziyatovic detto «Arkan» parlò con toni così suadenti, interpretò cosi spudoratamente il molo dell'uomo di pace che d'accordo con il giornale decidemmo di non pubblicare l'intervista Quell'incontro servì solo a chiarirmi una curiosità, ossia l'origine del soprannome. «Viene dal protagonista di un canoon giapponese degli Anni 70 - spiegò lui - che da noi si chiamava "Air Kapitan". Furono i tifosi della Stella Rossa ad affibiarmelo sulle gradinate». Adesso Arkan torna sotto i riflettori, e come spesso accade lo fa per una ragione sbagliata. Tre interviste in pochi giorni a «Cnn», «Bbc» e «Sky News» per spiegare che «i suoi uomini» non sono responsabili dei massacri in Kosovo. Molto pittoresco. 11 fatto però è che a 47 anni Arkan ha rinunciato da tempo al ruolo di capo militare (meglio, paramilitare) e quelle interviste derivano tutte dagli stereotipi che soprattutto quando si parla di Balcani sono duri a morire. La storia del personaggio è trop¬ po nota per doverla ripercorrere nei dettagli. Figlio di un ufficiale dell'Armata, nato in Slovenia ma di origini kosovare, poi capo tifoso della Stella Rossa, avventuriero attraverso mezza Europa, arrestato in Italia, in contatto coi servizi segreti di molti Paesi. Torna in Jugoslavia agli inizi della disgregazione e mette su un'armata personale. Il nucleo di quell'esercito consisteva negli ex compagni di strada e là qualche caso di galera. Gli «arkanovi», detti anche «tigrovi», si distinsero subito per decisione, valore in combattimento e interpretazione, come dire, classica della guerra nel senso di attività che comprende anche il diritto di saccheggio. L'assedio di Vukovar vide le «tigri» come protagoniste, ma solo 4 giorni fa il tribunale internazionale dell'Aia ha reso pubblico un mandato di cattura contro colui che intanto ha preso a parlare come un pacifico uomo d'affari. Finire in carcere adesso - ipotesi alquanto remota, visti i destini di gente come Karadzic e Mladic - per Arkan sarebbe davvero tragico. Le campagne di guerra gli hanno fruttato il controllo di una catena di distributori, di qualche centinaia di negozi e di un numero imprecisato di altre attività, fra cui quelle di «security» nei ristoranti e negli alberghi. Una settimana fa l'hanno visto piombare nella ball dell'Intercontinental di Belgrado per chiamare a raccolta recalcitranti «gorilla» un po' imborghesiti e rispedirli al fronte. Il fatto è che la sua ha smesso da tempo di essere un'armata. Da quando il tenebroso Zeljko ha sposato «Zeza» (bruna e procace star di quella sorta di sbudellamento tra- dizional-tekno-musicale denominato «lurbofolk»), le sue linee di vita hanno cominciato a mutare e gli interessi a trovarsi in discussione. Pochi ricordano o sanno che poche settimane prima dei bombardamenti l'ex superserbo se n'era uscito in una dichiarazione di sapore assolutamente antipatriottico: «Solo la politica di Milo Djukanovic può salvare il Paese». Il presidente del Montenegro, il filoamericano e per i serbi traditore, si trasformava improvvisamente in riferimento politico. La spiegazione forse sta nel fatto che con l'approssimarsi dell'emergenza nelle stanze del potere anche i traffici di Arkan avevano cominciato a subire l'attacco dei «duri e puri». In particolare della «Jul», partito di Mirjana Markovic, moglie del presidente. In sostanza, l'impero economico di Arkan rischiava di cambiare padrone. Un'importante fetta dei capitali dell'ex capobanda sono già al sicuro in Italia, ma molti altri no. Ed ecco irrompere la nuova guerra, ecco per Arkan delinearsi l'occasione di trasformarsi ancora in vecchio guerriero e lanciare quel che resta dei suoi uomini, i brandelli della sua immagine in un'altra «guerra patriottica». Quella che i serbi sentono più di tutte le altre. La sua potrebbe concludersi come una delle storie che raccontavano i nostri nonni, quelle dei «ricchi di guerra» resi poveri nella guerra successiva. 0 forse no. Certo, è bizzarro ritrovare nella biografia di un noto bandito gli stessi meccanismi che stanno trasformando milioni di normalissimi serbi in altrettanti nemici giurali dell'Occidente. Arkan In Slavonia durante la guerra tra Serbia e Croazia Arkan con la moglie nei giorni scorsi a Belgrado

Persone citate: Karadzic, Milo Djukanovic, Mirjana Markovic, Mladic