Tirana ha paura di un'invasione serba

Tirana ha paura di un'invasione serba Tirana ha paura di un'invasione serba Agenti di Belgrado nel fiume dei profughi, primi arresti Vincenzo Tessandorl inviato a TIRANA Sulla pietraia di Kukes, diventata l'inferno d'Europa, ieri mattina sono spuntate cinque tende. Gli esuli le hanno osservate a lungo, senza avvicinarsi. Rassegnati, indifferenti. Sono stati quelli di Médicins du Monde, sette francesi, e dell'associazione cattolica Hcs u sollecitare chi avesse bisog.no di loro. Anche se, quando li guardi, ti sembra che tutti debbano essere soccorsi e pensi a quei 12 morti appena entrati in questo girone dei senza speranza. Nella notte di venerdì erano passati in 24 mila, ieri il flusso e stato di 3000, ma fa freddo in questo giorno di falsa primavera, e c'è nebbia fitta. Chi può, anticipa il viaggio verso Scutari e Tirana pagando voraci autisti fino a 700 marchi, si dici;. Ma chi non ce la fa a sborsare aspetta il suo turno sui camion del governo e delle organizzazioni umanitarie. Sono arrivati gli alpini, finalmente, che scoccavano le 16, e qualcuno di loro ha sorriso vedendo l'insegna del «Bar America». Erano partiti alle 4,10 dal porto di Durazzo: un malaugurato ritardo aveva compromesso la tabella di marcia. Ma non importa, gli alpini, anche questi in congedo, sono gente tosta e appena arrivati c'hanno dato dentro con le pale, le scavatrici e i picconi. Fra due giorni la tendopoli sani finita e circa 5000 disperati tireranno un sospiro di sollievo. E vengono quassù anche gli uomini del batta- glione San Marco, per garantire la sicurezza. Si lavora con lena, per le 8 di stamani è attesa la nave San Giusto, gemella della San Marco, con elicotteri, camion, provviste. E pure con il presidente del Consiglio Massimo D'Alema e il suo seguito. Bisogna riconoscere che gli italiani non si tirano indietro, neppure quando battono il naso contro la burocrazia albanese, un meccanismo che ha pochi rivali nell'universo mondo. Da giorni, per esempio, si aspettano dal governo le bolle per lo sdoganamento del materiale di soccorso. Senza di quelle si rischia il blocco. Bisogna far presto, lo ha ripetuto anche Jamie Shea, portavoce della Nato: «Solo venerdì il numero dei profughi è aumentato di 130 mila unità e circa 300 mila sono in mar¬ cia verso il confine». Poi ha fatto un calcolo rapido: «Se le deportazioni continuano con questo ritmo, entro dieci-quindici giorni i serbi riusciranno a cacciare tutti i civili albanesi dal Kosovo». La Nato ha cosi deciso l'invio di un contingente, almeno 8000 uomini. Comandati dal generale Wesley Clark, avranno come compito esclusivo, si sottolinea, quello di aiutare i profughi. Anche se c'è già chi li vede schierati alla frontiera col Kosovo, a un tiro di kalashnikov dai serbi. Insomma, sarà una nuova «missione Alba», come quella che impedì il crollo del Paese e garantì le elezioni. Ma non sarà una cosa semplice, neanche questa missione. Complicazioni ne possono nascere in ogni momento. Erano le 8,10, ieri mattina, quando in tutta Tirana si sono udite due esplosioni ravvicinate. Provocate, secondo il governo, da bombe perdute da un aereo Nato e cadute sul monte Dajti, alle spalle della città, non lontano dalla clinica universitaria, dagli studi cinematografici e dal centro per le ricerche nucleari. La Nato smentisce e parla del «bang» provocato da un caccia albanese. Sia come sia, nessuno sottovaluta i mille rischi di questa guerra alle porte. Neppure quelli di un'invasione, come ha detto Rrexhep Meidanj, presidente della Repubblica. «Ci hanno già sparato da oltre frontiera». In ogni modo, per mettere insieme il meccanismo di soccorso, dicono alla Nato che occorrerà almeno una settimana. Nel frattempo è necessario non lasciarsi travolgere, anche se la macchina albanese già sbanda. Nella tendopoli grande delle piscine, a Tirana, ieri i bambini giocavano seguiti dai volontari e da padre Isidoro, un salesiano croato di 33 anni. «Tireremo su una tendopoli anche noi, al don Bosco», diceva padre Isidoro, perché lì sono già al completo. Nel groppo dei ragazzi, Dritan, 10 anni, un visetto vispo nascosto dalla visiera di un berretto a strisce bianche e blu, intona il «Canto di Drenica» ed è un'aria triste, lenta. «Perché ammazzate gli innocenti?/ Che colpe ha Drenica?». «Qui i vecchi sono diventati bambini e i bambini, vecchi», osserva Ilira Gjika, medico pediatra, una donna forte, capace di fronteggiare la situazione nella tendopoli e di osservare e capire. «A prima vista, in generale nessuno sembra aver problemi. Ma poi non è così. I padri, soprattutto, sono prostrati, si sentono responsabili per non aver potuto fare niente. Piangono, piangono anche per le loro madri lasciate nel Kosovo, e sono uomini di 40 o 50 anni. Le donne no, molte paiono aver dimenticato che hanno dei figli». Qualcuna ha subito violenze? «E' questo il punto più difficile. Loro non ne parlano, non lo farebbero mai perché ritengono che chi è vittima, in fondo, ha anche la colpa». Si teme, per questo mare di bambini, che altri mali cadano loro addosso. Proprio dalla tendopoli delle piscine, son scomparsi due fratellini. I genitori, che se li erano portati attraverso i monti, proteggendoli dalla furia serba, sembravano non capacitarsi. Poi hanno capito e hanno fatto denuncia al commissariato numero 2. E' un segnale pessimo, che lascia sospettare di un losco traffico perché ogni bimbo ha un prezzo e, come dicono gli squali di qui, il mercato tira: c'è di tutto, adozioni, racket dell'accattonaggio, forse, commercio di organi. Si indaga per questi fatti odiosi. Anche da parte dei servizi di sicurezza, perché c'è il sospetto che, con la fiumana, siano arrivati pure gli agenti provocatori, kosovari al soldo di Belgrado e dell'Udb, il servizio segreto jugoslavo. L'altra notte ne hanno arrestati due, proprio sulla pietraia di Kukes, e il timore è che esista un piano per destabilizzare questo Paese già sull'orlo di un precipizio di cui non si scorge il fondo. Al ministero della Sanità dicono di temere che qualcuno possa uiquinare un acquedotto e provocare un'epidemia di colera. I giovani kosovari lasciano la sicura Europa occidentale per combattere in mezzo ai Balcani: ne sono arrivati 150 dalla Svizzera, altri 200 li aspettano dalla Germania. Non siamo alla fine, forse, siamo soltanto all'inizio. Il presidente montenegrino Djukanovic e a destra il ministro degli Esteri francese Védrine

Persone citate: D'alema, Djukanovic, Gjika, Jamie Shea, Kukes, Rrexhep Meidanj, Vincenzo Tessandorl, Wesley Clark