Il giallo dei 3 prigionieri americani di Franco Pantarelli

Il giallo dei 3 prigionieri americani Belgrado: rischiano vent'anni di carcere. Ma poi vengono autorizzati a telefonare a casa Il giallo dei 3 prigionieri americani Portati a Pristina, forse li stanno già processando Franco Pantarelli nostro servizio NEW YORK «Stavano svolgendo una missione del tutto pacifica in Macedonia, non c'erano ragioni per prenderli e non ci sono ragioni per tenerli prigionieri»: Bill Clinton ha dato ieri la versione definitiva della cattura dei tre soldati americani da parte delle truppe serbe dicendo che essi si trovavano in territorio macedone. Sono stati quindi i serbi a sconfinare e non gli americani, nemmeno per errore, come in un primo momento si era pensato. Questo non esime un senatore democratico, Robert Torricelli, dal criticare aspramente i comandi militari per avere inviato i tre soldati così vicini al confine («in pratica, è stato un invito ai serbi», dice), ma in qualche modo pone un'altra colpa sul conto di Milosevic. La cattura dei tre ha scosso la gente di qui. Tanto era entusiasta l'altro giorno per quel commando che era stato capace di spingersi a pochi chilometri da Belgrado per recuperare un pilota, tanto è depressa ora alla notizia dei 3 catturati. Clinton, in quello che ormai si può definire il suo intervento quotidiano, ha cercato di fare la voce grossa. «Non ci sono assolutamente giustificazioni per porli sotto processo, né per mostrarli pubblicamente, violando la Convenzione di Ginevra. Finché saranno detenuti, hanno il diritto allo status dei prigionieri di guerra e alla protezione che quello status garantisce. Come ho detto ieri, riterremo il presidente Milosevic e il suo governo responsabili della loro sicurezza e del loro benessere». Da Belgrado le notizie sono confuse. E' arrivata persino la comunicazione, confermata dal Pentagono, che i tre soldati catturati dai serbi sono stati autorizzati dalle autorità di Belgrado a telefonare a casa. «Però non lo hanno ancora fatto», ha precisato il portavoce della Difesa Usa. C'è chi dice che il processo si farò e che le autorità serbe hanno già cominciato a «raccogliere le prove». Co perfino il nome del giudico, Jovica Jovanovic, che però ha fatto sapere di non avere nessuna idea di quanto tempo si prenderanno i «preliminari», né del luogo in cui eventualmente il processo si svolgerà. Neanche sull'accusa che verrà sostenuta ci sono idee precise: un noto avvocato di Belgrado di nome Toma Fila dice che l'accusa potrebbe essere quella di «aggressione», che secondo il codice serbo comporta una pena fino a 15 anni di prigione, ma era solo un suo parere. Ufficialmente le autorità tacciono e questo dà in qualche modo fiato alle notizie di segno decisamente opposto che si accavallano alle altre. Si è saputo per esempio che Madeleine Albright, il segretario di Stato, ha chiamato il ministro degli Esteri svedese (ora gli interessi americani in Serbia sono curati dalla Svezia) per chiedergli di accertare lu situazione. Stoccolma ha dato le istruzioni del caso al suo ambasciatore a Belgrado e a quanto pa- re la risposta ottenuta da costui è che non c'è nessun processo in corso. Insomma le cose, ieri, apparivano in bilico fra l'idea della «provocazione» serba, la celebrazione del processo, e l'operazione propagandistica, cioè la mera diffusione delle notizie su un possibile processo. Un fatto certo è comunque che la cattura di quei tre giovani ha «avvicinato» gli americani a quella guerra lontana. Ieri tutti sapevano tutto di Christopher Stone, 25 anni, di Capac, nel Michigan; di Steven Gonzalez, 21 anni, di Palestine, nel Texas; e di Andrew Ramirez, 24 anni, di Los Angeles. I loro familiari si limitano a un «grazie a Dio è vivo», ma i loro amici, tutti prontamenti intervistati dalle tv, si sono tutti affret¬ tati a mostrare molta patriottica fierezza. Stone è un maratoneta e il suo ex allenatore dice che per carattere è uno che «non molla mai». Gonzalez, nel ricordo di un suo insegnante, è un ragazzo «molto sveglio, disciplinato, capace di cavarsela in ogni situazione. Sono sicuro che se la caverà anche in questa». Nel liceo di Palestine sono spuntate le bandiere e una grande scritta: «Torna a casa Steven». E quanto a Ramirez, i suoi amici del quartiere «ispanico» di Los Angeles lo definiscono un «all american boy», qualunque cosa significhi, e ricordano che sin da piccolo diceva di volere fare il militare. Piccole storie per le quali spendere un po' di curiosità, almeno finché sono soltanto tre. L'immagine, mandata in onda dalla televisione serba, che mostra i tre soldati americani catturati dalle truppe di Milosevic