I Balconi, via Crucis del Papa

I Balconi, via Crucis del Papa IL CALVARIO CON IL CUORE Ai DANNATI I Balconi, via Crucis del Papa II Pontefice prega e soffre al Colosseo personaggio Paolo Gustanti ROMA ; - ABITUATI ad avere negli occhi quella massa di carne umana che copre dei suoi stracci e del suo dolore i prati della frontiera macedone o di quella albanese, l'altra massa, quella dei pellegrini illuminati dalle candele che accompagnavano il Papa nella Via Crucis al Colosseo, sembrava la massa degli eletti contrapposti a quella dei dannati. Tutto era straordinario e prevedibile al tempo stesso nell'ultima strada dolorosa dell'ultima Pasqua del secolo e del millennio. E lui, il testimone, il polacco che hanno cercato di ammazzare, che ha sfiancato e piegato il comunismo polacco facendo cosi cadere tutto il domino di quell'impero, era ieri più vecchio e più lucido che mai, più piegato e più diritto di ogni altra volta. In alto, nel cielo, una luna di sangue spargeva un color carnicino e un attore leggeva i pensieri di Cristo immaginati dal poeta Luzi: «Oh padre, padre che conosci il tempo ma non puoi condividerlo con me...». Era Roma, capitale del cristianesimo integrato nell'impero romano e poi nel sacro romano impero, e poi nella cristianità degli Asburgo di questo e quell'oceano, era Roma ma era certamente uno specchio dell'oltraggio dei Balcani, lo specchio dell'altra via crucis lungo le montagne, le valli, le lacrime, la strage degli innocenti nelle braccia delle loro madri, la via crucis dei padri immolati affinché non possano prendere le armi. E le stazioni della via Crucis si susseguono, con quel Cristo che finisce fra «la marmaglia» come dice il poeta che interpreta la mente del condannato. E che conosce e riconosce l'irrazionale, il cinismo, il sadismo, l'istinto della distruzione. Il Papa osserva. Si appoggia alle mura del Colosseo, questo antico proscenio del massacro organizzato, entra nell'anfiteatro che è spaccato dalle luci come un pollo alla diavola di marmo e mattoni, aperto e squinternato nei suoi rovinosi segreti e il Papa sta lì, il capo reclinato, un uomo che si rifiuta di condividere ciò che ha nella mente e nel corpo, un uomo che ieri non ha voluto parlare con gli esseri umani, salvo quelli che ha confessato a San Pietro, in un atto di umiltà che aveva preso le forme, la sera prima, nel lavacro dei piedi dei giovani preti. Il Papa col bastone, cammina da solo, non lo aiutano, non lo sostengono, cammina sbieco, non è più da tempo il Papa giovane, il Papa che scia, il Papa di cui le domie dicevano «è un fusto». La revolverata degli assassini, i virus, le malattie, le chirurgie lo hanno aggredito e gli hanno assegnato la sua personale via Crucis, insanguinata in questi giorni e m queste ore dal fallimento della sua diplomazia a Belgrado. Un prete lamentoso lamenta al microfono che chissà, in questo momento forse si levano gli aerei che bombardano, ma dimentica di dire una parola, una sola, per la massa degli umani che sta all'addiaccio, che spezza la legna, che si sente ammorbata dagli escrementi, che vede morire i bambini nei golfini strappati, tutti quei piccoli cristi che chiedono un pezzo di pane, una capanna e una mangiatoia, e che invece hanno soltanto il loro calvario, sotto gli occhi della Veronica televivisa, senza che nessun Simone di Cirene venga a sostenere il peso della loro croce, perché ancora non sono arrivate le tende, i cessi, le cucine, gli ospedali, l'anestesia, gli antibiotici. Cammina fisso e ricurvo quest'uomo di genio che trattiene dentro di sé sentimenti terribili e angosce frustranti. Ecce homo, l'uomo venuto di Polonia a celebrare la fine del mondo di questo secolo nella città futilmente eterna, perforata di catacombe e memoria, scenari di cartapesta archeologica come questo, bellissimo, sul quale le telecamere si accaniscono in un ricamo di luci, di delizie cromatiche, di staccili, mentre le note gregoria- ne si confondono con quelle moderne e polifoniche. L'homo vestito da Papa, con la tristezza profonda negli occhi che mantiene socchiusi ed assenti, è l'uomo che ha licenziato con favore commosso questa lettura della via della croce generata dalla mente del poeta, che è una lettura esistenziale, devotamente ostile della condizione umana, pietosa perché rabbiosamente rassegnata: e allora attraverso queste parole che hanno l'imprimatur del Papa è possibile anche capire ciò che si nasconde dietro quest'armatura di vecchiezza esterna, questa corazza di silenzio traballante. Il Papa cammina, segue, tocca con punta leggera il sasso della strada, non si difende dalla luce degli spot che illuminano un scena sulla quale potrebbero andare in onda l'Aida, la Tosca, perfino la Traviata, in un raptus di follia iconoclasta anche l'Oro dei Nibelungi, tanto sono vestigia e fabbriche di guerra e di martirio tutte: l'Anfiteatro Flavio, l'arco di Tito con la celebrazione della Diaspora, madre di tutti i pogrom e della Shoà. Il Papa trema nella notte e si illumina brevemente del raggio di una luna tinta di sangue. Ha camminato da solo più vecchio e stanco ma più lucido che mai II sangue del Kosovo sull'ultima Pasqua di questo millennio Papa Giovanni Paolo II durante la Via Crucis di ieri sera

Persone citate: Asburgo, Balconi, Giovanni Paolo Ii, Luzi, Paolo Gustanti

Luoghi citati: Belgrado, Cirene, Kosovo, Polonia, Roma