Dio, perché mi hai abbandonato? di Leonardo Zega

Dio, perché mi hai abbandonato? Mistero di iniquità e mistero di pietà, scandalo delia croce, questo è il Venerdì Santo. La meditazione di Don Zega Dio, perché mi hai abbandonato? Sul Golgotha anche Cristo prova la paura della morte Leonardo Zega EO si giudichi come si vuole, ma era sicuramente un segno tangibile di rispetto la sobrietà che, fin dal primo mattino, caratterizzava un tempo i programmi radio-televisivi del Venerdì Santo. Adesso sono rimaste spruzzatine di sacro qua e là e, a sera, la solenne Via Crucis al Colosseo in mondovisione su Raiuno, «perché c'è il Papa». Il silenzio, le preghiere, il digiuno, l'austerità dei riti, gli altari spogli di luci e di fiori, che sottolineavano la «diversità» di questa giornata «senza messa», passano inosservati nella città secolarizzata. E' diventato «come gli altri», questo giorno, che ricorda quel lontano venerdì quando, alle tre del pomeriggio, Gesù mori crocifisso su una piccola protuberanza appena fuori le mura di Gerusalemme, detta Golgotha, «il cranio», e la natura stessa - come raccontano i vangeli - ebbe un tremito arcano, stupefatta e inorridita di fronte a tanta protervia. Eppure nessun giorno dice con altrettanta forza la «prossimità» di Dio all'uomo, come questo Santo Venerdì che precede e prelude la domenica di risurrezione. Nessun segno più forte ci è dato per comprendere che Dio stesso soffre e muore in Gesù, ogni giorno, nel calvario dei giusti e nell'olocausto dei popoli. «Gesù sarà in agonia fino alla fine del mondo», ha scritto Pascal. Oggi non facciamo soltanto memoria di un evento, ma siamo messi a confronto con un mistero a due facce: la faccia dell'iniquità umana e quella della pietà di Dio. Gli innocenti soffrono ancora, i giusti sono ancor oggi condannati e trucidati nelle città degli uomini, dove pietà è morta. E l'interrogativo permane in tutta la sua drammaticità, simile a quello di Cristo in croce: «Dio mio, Dio mio, perche mi hai abbandonato?». Perché «ci» hai abbandonato? Perché tutto questo sangue, questo scialo di morte, che non risparmia l'innocenza, anzi si accanisce su di essa, come un giorno sul Figlio di Dio? Molti secoli prima di Cristo, Isaia aveva già dato una risposta che tutti ci coinvolge: «Egli fu trafitto a causa dei nostri peccati; fu schiacciato per le nostre colpe» (53,5). Dio soffre e muore per noi e con noi: dacché s'è «incarnato», Dio ascolta, perdona, si immedesima con noi, innocente «si fa per noi peccato», senza forzare la nostra libertà, senza rimuovere la nostra responsabilità. «Il disonordel Golgotha», come lo chiama Manzoni, non ci è dunque estraneo. Noi c'entriamo, il peccato c'entra, la cattiveria umana c'entra, c'entra lo smarrimento dell'uomo che baratta le sue ricchezze spirituali per denaro, per avidità di potere, per un piacere effimero, insultando Dio e opprimendo il prossimo. Mistero di iniquità e mistero di pietà, scandalo della croce, «stoltezza della croce» come scrive San Paolo: questo ò il Venerdì Santo. Dostoevskij, che nel volto perfetto di un Cristo idealizzato aveva riassunto tutta la sua fede, rimase sconvolto quando vide, in una galleria di Basilea, il terrificante Cristo morto nel sepolcro di Hans Holbein il Giovane. «Questa tela può far perdere la fede», disse alla moglie. E nell'Idiota così commenta il quadro: «Mentre guardi quel corpo di un uomo martoriato, sorge in te un singolare problema: se tutti i suoi discepoli, i più importanti fra i suoi futuri apostoli, le donne che lo avevano seguito e stavano presso la Croce, e tutti quelli che in lui credevano e lo adoravano, videro realmente un cadavere in quello stato, in qual modo poterono credere, contemplando quel cadavere, che quel martire sarebbe risorto?». Eppure essi hanno creduto. Ad Auschwitz, di fronte alle forche levate per le impiccagioni, un giovane ebreo chiede al rabbino: «Dov'era dunque Dio? Dov'è Dio?». E il rabbino gÙ risponde: «Dio era là, appeso a quella forca». Come diciamo noi: eccolo là, il nostro Dio, appeso a quella Croce, perché ha voluto legarsi indissolubilmente al dolore dell'uomo. Georges Bernanos, che alla fine della sua vita si dichiarava «prigioniero della Santa Agonia», esprime con grande forza questo stesso pensiero. Nei Dialoghi delle Carmelita ne, il testo teatrale finito nel marzo del 1948, quattro mesi prima della morte, mette in bocca a suor Marta questa frase: «Nel giardino degli Ulivi, Cristo non era più padrone di nulla. L'angoscia umana non era mai .salita più in alto, e mai più raggiungerà quel livello. Aveva ricoperto tutto in lui, salvo quell'estrema punta dell'anima in cui s'è consumata la divina accettazione». Nei Grandi amiteli sotto la luna, scrive: «La paura della morte è un sentimento universale che deve assumere molte forine, di cui alcune sono sicuramente fuori dalla portata del linguaggio umano. E non c'è che un uomo che le abbia conosciute tutte, è il Cristo nella sua agonia». Un pensiero che completa così nella Gioia: «Ma in un certo senso, vedete, anche la paura è, malgrado tutto, la figlia di Dio, riscattata la notte del Venerdì Santo. Non è bella a vedersi, no, e c'è chi se ne fa le beffe, chi la maledice e tutti la ripudiano... Però non lasciatevi ingannare da questo: essa è al capezzale di ogni agonia e intercede per l'uomo». Nonostante la sua drammaticità, il Venerdì Santo è perciò una scuola di speranza. Dio è sempre accanto all'uomo, per condividerne fino in fondo la fragilità e la sofferenza. Il pianto di Dio cesserà solo quando «scomparirà ogni lacrima e saremo tutti riuniti con lui». IN viaggio nella Settimana Santa, da una grande città del Nord Italia alla Francia. Dalla stazione passa un lunghissimo treno, carico di cingolati militari tedeschi. I militari di scorta non rivelano la meta. Sulla pensilina un gruppo di poliziotti circonda una dozzina di immigrati. Sul treno, passato il confine, entra la polizia francese. Non controlla un passaporto, si dirige subito su tre ragazzi cinesi, due uomini e una donna, bellissimi ed eleganti. Li fa scendere. La ragazza smette di sorridere come una turista da prima classe e impallidisce, terrorizzata. Europa '99.

Persone citate: Dostoevskij, Georges Bernanos, Gesù, Hans Holbein, Manzoni, Marta Questa

Luoghi citati: Basilea, Europa, Francia, Gerusalemme, Nord Italia, San Paolo