Marini, o il Colle o Palazzo Chigi di Paolo Guzzanti

Marini, o il Colle o Palazzo Chigi LA GALLERIA DEI PRESI D ENZI ABI LI Il segretario del Ppi può mettere d'accordo D'Alema e Berlusconi Marini, o il Colle o Palazzo Chigi La doppia corsa del candidato mediatore Paolo Guzzanti E SAMINIAMO oggi il candidato al Quirinale Marini. Si accomodi. Note generali. Ha gli occhi azzurri apertissimi, come se temesse di non vedere bene tutto a 360 gradi. Capelli bianchi ma giovanili, pettinati come per andare a un matrimonio. 0 a un funerale. Espressione ansiosamente disponibile, trattabile, trattativista. Marini è prima di tutto e resta uno che tratta. Viene dal sindacato. Il sindacalista, per definizione, tratta. Di fronte a un dilemma secco, bianco o nero, Marini, bravo sindacalista, risponderà sempre che anche il grigio è ima opzione elegante. Fuma la pipa come la fumava Lama, che però amava le Peterson ricurve, ma Marini, sindacalmente, viene da destra: figlio di Carlo Donat-Cattin, leader democristiano e sindacalista anche lui, tanto di sinistra quanto anticomunista sfegatato. Quando si dice DonatCattin, si dice «preambolo». E quando si dice preambolo, si dice chiusura al Pei. Come cambiano i tempi. Oggi non si dice più «Marini», ma «l'asse Marini-D'Alema». Infatti e vero: quando Cossiga scelse D'Alema, Marini senza la minima esitazione prese l'Ulivo cosi come si prende l'albero di Natale dopo l'Epifania, e lo buttò in un secchio, tanto che Prodi vedondo quell'arbusto nella discarica capi che aria tirava e cominciò a riflettere sulla laboriosità degli asini. L'idea di Marini, si disse subito, era limpida come un lago alpino: D'Alema a Palazzo Chigi e un popolare al Quirinale. Un nome a caso, sussurrò Marini: il mio. Naturalmente si tratta soltanto di pensieri, sussurri e non grida. Che sono inevitabili e non rivelano alcuna ingordigia, perché la partita di Kisiko ò aperta, gioca la guerra, gioca il l'atto che Scalfaro, come comandante supremo delle Forze armate, ha deciso di non dimettersi più in anticipo e dunque tutto si sposta sullo scenario comune anche alle elezioni europee, vale a dirci al clima del grande caldo elettorale, quando i partiti si scannano e si insultano in pubblico per miotere voti e dunque quando non tira aria di grande accordo, non tira aria di candidato comune ai due poli, perche sarà il momento delle «ground troupes», i partiti come fanteria in tuta mimetica col coltello fra i denti. Cosa questa che a Marini, il mediatore, l'uomo a occhi superspalancati sotto un mantello di ordinalissimi capelli bianchi, la pipa Òhe fuma da sola a una certa distanza dalla bocca, non fa piacere affatto. Lui sa, chiunque vedi;, che se un tantino di chances si possono polarizzare sul suo nome, quelle chances dovrebbero essere caricate con la doppia caldaia della maggioranza e dell'opposizione. Ma se maggioranza e opposizione saranno impegnate a guardarsi come serbi e albanesi, non c'è lo spazio per una candidatura Marini. Almeno, alla prima botta. Ed e per questo che il candidato Marini, a prescindere dalla prudenza e dalla timidezza, non può dire di essere un candidato, ma deve semplicemente fare il tifo, un tifo sfegatato, per i candidati di pri- ma fila: il presidente del Senato, Nicola Mancino, e il ministro degli Interni, Rosa Russo Jervolino, che è anche il candidato di Mastella. Se uno dei due ce la fa, è fatta. Se vengono triturati sul bagnasciuga, si passa alla seconda linea che vedo pronti proprio i due dell'asse: Marini e D'Alema. Del candidato D'Alema ci siamo già occupati. Ricordiamo soltanto che il presidente del Consiglio sinceramente non vuole. A lui piace governare. La storia potrebbe giocargli una trappola, ma lui finché può la evita. Non cosi il candidato Marini che si è conquistato una posizione super part.es niente male. La posizione se l'è costruita ai tempi della Bicamerale. Visto che lui era il partner del presidente della Bicamerale, D'Alema, in nome dol famoso asse era suo compito andare a mediare con l'opposizione. Andava da Fini e diceva: che vuoi tu? E quello: il presidenziali smo. Allora Marini tornava da D'Alema e gli diceva: guarda cho a questi, se voghamo andare avanti, uno straccio di presidenzialismo bisogna pur darglielo. Poi andava da Berlusconi e tornava da D'Alema con un progetto di legge elettorale. La tessitura non dava sempre grandi risultati, ma mostrava il candidato Marini, uomo di punta del centro sinistra, sempre indaffarato a trovare interlocutori a destra. D'altra parte, l'abbiamo detto, è nel suo genoma: quando ruppe Bertinotti con Prodi, lui era il solo, a frittata fatta, a ripetere che c'era spazio por una trattativa. Direbbe che c'è spazio per trattare anche con un coltello nella schiena. E trattare vuol dire vedere, parlare, prendere un caffè e andare a pranzo per un'oretta. Abitando a Piazza del Gesù, ha fre- quentato per qualche lunch Silvio Berlusconi che ha il quartier generale a pochi metri da li, a Palazzo Grazioli in via del Plebiscito. E Berlusconi notoriamente cerca un candidato aperto, disponibile, possibilmente con un pedigree democristiano, qualcuno che sia realista e abbia il senso (lolla politica come arte del possibile. Come Berlusconi, anche Marini è sotto sotto un proporzionalista: il maggioritario favorisce i giovanotti divoratori, gli ambiziosi come D'Alema e Fini. Mentre il proporzionalismo è caldo e calmo, anche se quasi certamente condannato dal referendum. L'importante per Marini è d'avoir pus d'ennemis à droite, che è il contrario del vecchio detto rivoluzionario secondo cui non bisogna avere mai nemici a sinistra. Lui, nemici a sinistra ne ha un bel po', quanti bastano per impallinarlo se si va col pallottoliere della conta fra maggioranza e minoranza. Ma se conquista voti a destra, potrebbe essere fatta e risultare un candidatone coi fiocchi, subito dopo la prima linea dei caduti eccellenti. Il candidato Marini (il quale ci scuserà se noi, come abbiamo fatto e faremo con gli altri, andiamo appendendo ragionamenti e scenari sulla sua persona) ha certamente valutato un secondo schema di gioco. Quello secondo cui alla fin fine, se proprio si dovesse scegliere un uomo al quale non si può dire di no, specialmente perché lui non vuole o dice di non volere (ma le voci di salotto e di cene dicono il contrario), la partita potrebbe risolversi proprio con una investitura di Massimo D'Alema che potrebbe così fare, delle sue celebri smorfie di timidezza e fastidio esistenziale, una cifra quii-malizia. Immaginiamo la scena: alla quinta o settima votazione, caduti gli eccellenti istituzionali, immolate le pie donne del fronte rosa, eccoti che a sorpresa ma non troppo il candidato D'Alema viene proposto ai grandi elettori, e viene eletto. Il candidato si schermisce, fa il gesto di allontanare da sé l'amaro calice, poi però - per cause di servizio - prende con le sue mani la corona di ferro della presidenza e pronunciando qualcosa come II Parlamento me l'ha data e guai a chi me la tocca, sale sul Colle. E in questo caso a chi verrebbe spontaneo al presidente D'Alema chiamare a palazzo Chigi? L'avete indovinato: l'altro capo dell'asse. Il candidato Marini. Il quale è il segretario dei Popolari, ai quali è previsto che vada l'altra metà del cielo politico. Ed ecco che Marini, sedutosi finalmente in un luogo fresco e decorato con bei quadri, procede alla realizzazzione della sua tessitura: e fa il Grande Centro Sinistra. Vale a dire accompagna l'ipotesi che ieri Rocco Buttiglione rappresentava su queste pagine, e cioè quella di una maggioranza di governo che comprenda tutto il centro, Berlusconi e Casini in primis, e vada fin dove la sinistra si sente atlantica, europea, più vicina a Tony Blair che ad Armando Cossutta. Sarebbero tutti contenti: Francesco Cossiga vedrebbe coronata da definitivo successo la sua operazione di legittimazione dell'ex Pei, portandone l'ex segretario alla massima carica dello Stato. Vedrebbe i popolari, ovvero i democristiani, al comando, il centro destra costretto a decantare una distinzione ormai matura fra la parte clie ha ancora il fascismo nella pancia e quella che si sente ed è liberale. Berlusconi si vedrebbe fuori dal ghetto e avrebbe tempo per riorganizzare le sue file in attesa delle elezioni generali. Gianfranco Fini forse non sarebbe contento, ma avrebbe buoni motivi per sbrigarsi a fare l'altro passo che gli manca per finire il suo lungo viaggio attraverso il post-fascismo e decidersi ad alle- vare qualche animale semi-domestico come fa Prodi, forse l'elefantino, o magari un coccodrillo, quel che sia. Se questi elementi di scenario che siamo andati disegnando saranno ancora validi al momento in cui comincerà la battaglia, il candidato Marini sarà dunque non soltanto forte, ma buono per due soluzioni: o sul Colle, o a Palazzo. Come temperamento politico, il candidato Marini è allo stesso tempo famelico e buongustaio. E' famelico perché è sempre pronto a mangiare e digerire cnalsiasi prò dotto politico gli si predenti davanti. Nulla e nessuno per lui sono malvagi, indigesti o velenosi. Ma è un buongustaio perché mastica con calma, assicurandosi una assi milazione lenta e progressiva. La sua qualità è certamente quella di essere un uomo di sinistra che ha lavorato a destra, che è stato eletto con i voti di Andreotti e che ha partecipato ad alcune imboscate eccellenti, contribuendo a far fuori uomini come Galloni. Il sindacalismo come arte della com posizione impossibile ha forgiato la sua natura molteplice in una capacità tattica disarmante per la sua apparente mitezza, ma che alla fine si manifesta come una macchina da guerra. Nessuno conosce quanto siano profonde e operative le sue numerose conoscenze. Tutti sanno che non esiste mediazione che possa tenerlo fuori campo. A lui del resto stanno guardando con interesse anche quei settori della destra che vedrebbero volentieri D'Alema al Quirinale e che si aspettano da una tale ipotesi realizzata un cambiamento di scenario, di clima e di temperatura politica. Giuliano Ferrara, che lanciò per primo la candidatura di D'Alema raggelando alquanto Silvio Berlusconi, ci ha detto qualche giorno fa di non credere più in quell'ipotesi per la quale le condizioni erano venute tutte giù una dopo l'altra come birilli. Ma adesso, con la guerra che rimescola tutte le carte e che impone alleanze e impone rotture, là dove invece prima le combinazioni erano altre, il rimescolamento può essere così brusco da rimettere in pista tutto e da schiudere lo spiraglio di un governo Marini aperto al centro destra, come pendent di una presidenza D'Alema. Se i pretendenti di «prima fila» non passeranno allora per lui la strada sarà spianata Una vecchia legge della politica gli è favorevole Se al Quirinale va un esponente della sinistra a un popolare spetta di diritto la guida del governo Da ex sindacalista sa trattare anche con un coltello puntato alla schiena in nome del Grande Centro Sinistra A sinistra II segretario del Ppl Franco Marini Qui sopra il presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro A destra il leader del Polo Silvio Berlusconi