«lo, sul treno dei dannati di Pristina» di Maria Grazia Bruzzone

«lo, sul treno dei dannati di Pristina» E' inarrestabile l'esodo dei profughi dai territori in guerra: sarebbero ormai 170 mila «lo, sul treno dei dannati di Pristina» Riappare il giornalista italiano: in 10 mila su 21 vagoni Maria Grazia Bruzzone ROMA L'immensa colonna senza fine che varca a piedi la frontiera macedone lungo la ferrovia riporta alla memoria le immagini dei deportati di cinquantanni fa. Accucciato su un albero c'è un fotografo dell'Ansa. «Avevo nell'obiettivo la scena del binario con questo serpente umano che avanzava - racconta quando ho sentito sotto di me una voce cho gridava nella mia lingua. "Sono un giornalista italiano, anche tu?", chiedeva un uomo in impermeabile. Poi mi ha sorriso. "Sono Antonio Russo, sono sfinito. Sono scappato e ho lasciato tutto a Pristina. Puoi accompagnarmi a Skopje?". Andando verso la macchina mi ha chiesto se avevo del whisky. Gli ho dotto se era matto. "Qui non c'è neppure da mangiare". E gli ho dato una Coca-Cola». Così è finita l'avventura del giornalista di Radio Radicale che per molti giorni, ultimo cronista rimasto a Pristina, ha raccontato in diretta la guerra. Da un giorno e mezzo (ma a lui, persa la cognizione del tempo, erano sembrati tre giorni) non se ne avevano più notizie e si temeva per la sua vita, tanto che sulle sue tracce si erano messe le autorità italiane e si era mobilitato persino D'Alema. Che oggi Pannella ringrazia dai microfoni di Radio Radicale, in un'inedita conferenza stampa in collegamento fra Roma e Skopje dove Russo racconta la sua piccola odissea sul treno dei profughi. «Per un giorno e una notte siamo rimasti ammassati sul piazzale davanti alla stazione di Pristina, cercando di aprirci un varco nel muro umano che prendeva d'assalto i rari convogli che arrivavano. All'alba siamo riusciti a salire sul treno, spinti dai miliziani serbi al grido "Fuori dal Kosovo". Ventun vagoni stipati all'inverosimile, ci saremo entrati in 10.000». «Ero scappato di casa perché era iniziato un rastrellamento nel quartiere dove abitavo e comprendeva anche l'abitazione di Ivan Rugova, il leader pacifista albanese. Con un rapido tani tam mi sono messo in contatto con degli studenti e siamo andati via, abbandonando tutto. E con questo impermeabile lurido mi sono mimetizzato fra i kosovari». «Ci siamo uniti al flusso dei profughi che uscivano da tutte le parti. Arrivati nel bosco davanti all'hotel Park ci siamo ritrovati circondati dalle milizie serbe. Sono stati dieci minuti di terrore. Ci spingevano con i mezzi blindati, fra urla che agghiacciavano il sangue. Ma alla fine abbiamo capito che si limitavano a questo». «Nel piazzale davanti alla stazione siamo diventati rapidamente tantissimi. Quattro donne hanno partorito. Si era sparsa la voce che chiedevano medicine e i soldati le hanno portate via, dove, non lo hanno detto. Bombardamenti? No. Il centro di Pristina non è mai stato colpito. Solo i quartieri periferici, ma senza vittime. Bombardamenti del tutto inefficaci, quelli della Nato, perché dove ci sono davvero le truppe e i carri armati serbi non riescono, o non vogliono arrivare. In certi casi gh obiettivi sono vuoti, in altri ci sono gh scudi umani, come all'ospedale dove le truppe sono mescolate ai malati, o allo stadio di Pristina, nei cui sotterranei sono parcheggiati i carri armati insieme ai profughi inter- nati». «Il primo treno arriva alle otto di sera, un altro all'una di notte, ma non riusciamo a salire. Il terzo alle sei e ce la facciamo entrando dai finestrini. E' un treno lungo, schiacciate come bestie, ci stanno 500 persone in ogni vagone. Qualcuno si e portato qualcosa da mangiare e bere. Noi niente. Bambini che piangono, le solite scene». Uopo cinque interminabili chilometri il treno si blocca per tre ore. La Kosovopolje intima che scendano tutti gli uomini. La gente terrorizzata teme i controlli. E si decide di fare un gioco: far scendere tutte le donne, che si arrabbiano. Ma ci salvano. Un'altra sosta ed è di nuovo il panico. "Qui si torna a Pristina", diciamo. Ma poi ragioniamo: "Se avessero voluto, lo avrebbero fatto prima". E infatti il treno procede fino alla frontiera. Dove veniamo fatti tutti scendere. E ci ritroviamo il fila lungo i binari in un enorme "exodus". Una scena da film». E' la foto che fa il giro del mondo, e che simboleggia - oggi - il dramma dei profughi. In Kosovo il flusso di donne uomini bambini continua, è diventato ormai inarrestabile. Secondo l'Acnur, l'alto commissariato per i profughi delle Nazioni unite, negh ultimi nove giorni ad abbandonare il Kosovo sono state almeno 166.000 persone, 110.000 dei quali hanno trovato rifugio in Albania, 29.000 in Macedonia, che all'inizio cercava di impedirne l'ingresso. Una stima destinata a salire se sono vere le stime di Antonio Russo sulle 250.000 stipate nel solo piazzale di Pristina. La stessa Acnur a tarda sera riferisce infatti che almeno 10.000 profughi hanno attraversato nella sola giornata di ieri il confine con l'Albania, dove per tutta la giornata si era formata una coda di camion e auto lunga decine di chilometri. Il suo racconto «Sono scappato dalla casa dov'ero perché i serbi avevano iniziato un rastrellamento Il centro città non è stato bombardato» Migliaia di profughi kosovari appena scesi dal treno che li ha portati da Pristina alla Macedonia In alto il giornalista di Radio radicale Antonio Russo

Persone citate: Antonio Russo, D'alema, Ivan Rugova, Pannella