I primi dubbi dell'America

I primi dubbi dell'America àncoraFÀWrEVÓU MA SI COMINCIA A PARLARE DI ERRORI I primi dubbi dell'America j La Casa Bianca non può sbagliare mosse analisi NEW YORK ILL Clinton, comandante in capo della Difesa americana, non fa alcuna fatica a dire di no al Papa. Per Clinton, l'azione militare contro la Serbia non può essere interrotta nemmeno a Pasqua. «Favorirebbe Milosevic», dicono alla Casa Bianca. Clinton non accontenta nemmeno i presuli americani, che chiedono anch'essi una Pasqua di pace. Il Presidente ha troppi guai per potersi permettere una tregua nella battaglia contro Milosevic. L'inquilino della Casa Bianca è forte solo in apparenza. L'America è unita dietro al suo comandante e ai suoi soldati ma il dubbio e le critiche sulla operazione in Kosovo cominciano a serpeggiare. E si intensificheranno nelle prossime settimane. Soprattutto dopo la cattura da parte dei serbi di tre soldati americani che pattugliavano il ronfine fra la Macedonia e il Kosovo. Ieri notte, alla una e mezzo, i volti tumefatti di Andrew Ramiro/., Christopher Stono e Steve Gonzales sono apparsi alla Cnn. E da quel momento Clinton non ha più dormito. All'alba, quando ha ricevuto i giornali, ha letto su The Washington Post e su The New York Times due articoli durissimi e pieni di retroscena che denunciavano alcuni comportamenti singolari della amministrazione in tutta la vicenda Kosovo. Clinton, ad esempio, non aveva messo in conto che Milosevic avrebbe approfittato dei bombardamenti per fare la pulizia etnica in Kosovo. Il Presidente non aveva poi dato retta a un rapporto del Pentagono sulla impossibilità di fermare Milosevic solo con i bombardamenti. La Casa Bianca aveva inoltre rifiutato l'ipotesi di ammassare 200 mila soldati in Macedonia a difesa del Kosovo. il Presidente, inamore della umiliante sconfitta subita in Somalia nel 1991, era rimasto avvinghiato all'idea dei bombardamenti, capaci di devastare i comandi e le forze di Milosevic, e molto sicuri per gh al- leati. Per una anuninistrazione che vive di sondaggi i morti e i prigionieri sono un incubo insopportabile. Il Presidente e i suoi principali collaboratori, la signora Madeleinc Al bright, il ministro della Difesa William Cohen e soprattutto il consigliere per la sicurezza nazionale Sandy Berger non voglione sentire ragione: bombe, bombe, niente altro che bombe a Pasqua e dopo Pasqua, sino alla resa del tiranno. Il Presidente non usa però mai la parola guerra, un vocabolo che gli americani non vogliono sentire. Clinton naviga fra i sinonimi, come su Internet. Spiega che l'intervento in Kosovo è vitale per gli interessi strategici degh Stati Uniti. E soprattutto mette in risalto l'aspetto umanitario dell'operazione della Nato contro la Serbia. In tal modo crede di esorcizzare le critiche della stampa, i brontolìi della amministrazione, le scontentezze del Pentagono, le devastanti analisi degli esperti che già parlano di obiettivi mancati. L'opinione pubblica, che segue gli avvenimenti con inevitabile preoccupazione (lo si vede soprattutto nelle lettere ai quotidiani e nelle telefonate dei talk show più popolari) ha due atteggiamenti contrastanti. Lo spiega Bill Schneider, uno dei principali esperti di opinion polis: «La gente non crede che gli interessi strategici degli Stati Uniti siano in gioco in Kosovo, ma comprende la motivazione morale dell'intervento, teso a salvare un popolo dal genocidio». I dati raccolti da Schneider ieri pomeriggio rivelano che il 53% degli americani è favorevole all'inter¬ vento mentre il 41% (percentuale molto alta, secondo Schneider) è contrario. Vi è un lieve aumento cii consensi rispetto a una settimana fa (50 contro 39) ma, secondo Schneider, l'amministrazione Clinton non può fare errori e deve far funzionare la macchina propagandistica a pieno regime. Ieri, ad esempio, dopo l'ondata di critiche e di critici, la cattura dei prigionieri e il no al Papa, Clinton è sceso in campo con un discorso molto duro rivolto ai marinai della base di Norfolk in Virginia, Cohen ha strapazzato gli analisti e tutti sono apparsi per ore alla tv, togliendo spazio ai tre soldati massacrati di botte dai serbi. Obiettivo: convincere la gente che tutto va bene, che si vola al sicuro nei cieli della Serbia, che Milosevic subirà attacchi talmente lunghi e duri da arrendersi per la disperazione, che non bisogna avere dubbi sulla unita dell'amministrazione e dei Paesi della Nato Insomma cancellare dalla testa degli americani l'idea, ormai diffusi», che otto giorni di bombardamenti abbiano solo rafforzato Milosevic («Abbiamo perso la guerra» ha scritto Richard Lugàr sul Washington Post) e che gli abbiano permesso di riprenderei in pieno il Kosovo. «Se Clinton non vince contro il tiranno di Belgrado pagherà un prezzo durissimo», avverte Schneider, «e lo pagheranno soprattutto i democratici alle prossime elezioni presidenziali». Come si vede il triangolo guerra, Casa Bianca, opinione pubblica si sta facendo infuocato. Se George W. Bush, il principale avversario di Clinton, tace, in attesa di vedere il cambiamento di umori dell'opinione pubblica nelle prossime settimane, si agita il Congresso. Ad esempio John McCain, eroe di guerra in Vietnam, senatore repubblicano esperto di difesa e di intelligence, è diventato in pochi giorni una figura molto popolare. Per aver attaccato gli errori della Casa Bianca, per aver chiesto l'intervento delle truppe di terra, per aver usato sempre la parola guerra, per aver parlato chiaro alla gente ed aver messo l'America dinanzi ai veri pericoli. Dice Nick Dowling, ex National Security Council e amico di Clinton: «La situazione è molto peggiore di quel che si poteva immaginare». Anche perché le tv, a corto di unmagini dal fronte, si buttano sid dibattito intemo. Le scaramucce non si vedono nei deh della Serbia ma sulle rive del Potomac. Più che le notizie con poche immagini dei bombardamenti contano i talk show politici, dove sfilano gh uomini dei think tank, che ricordano con perfidia la tattica e la strategia efficaci della guerra del Golfo e denunciano le lacune della operazione Nato. «E' ancora una volta alla tv e sui giornali che si deciderà la sorte di un conflitto e di un Presidente», spiega Schneider mentre spedisce i suoi ultimi polis alla Cnn e alla Casa Bianca. j L L'amministrazione americana è duramente impegnata a tranquillizzare l'opinione pubblica e nello stesso tempo ad assicurare che l'impegno nella punizione di Milosevic rientra negli interessi generali del Paese