Biagi: Non dimenticate l'Africa di Enzo Biagi

Biagi: Non dimenticate l'Africa Domani uno speciale sul Sudan: la storia di un missionario che libera schiavi Biagi: Non dimenticate l'Africa «Mi sono commosso, ho fatto anche la comunione» ROMA. Biagi l'ha sempre detto. «Non sono un politologo, non sono un commentatore, non sono un filosofo. Sono un cronista: il mio lavoro è raccontare storie. Senza le storie non sarei niente». La storia che ha deciso di raccontare su Raiuno domani, sera del venerdì Santo, in un lungo speciale de «Il fatto», si intitola «Dio tra gli schiavi» ed è ambientata nel Sudan meridionale, uno dei tanti paesi dell'Africa sconquassato da guerre tribali. L'idea gli è venuta leggendo la notizia che il vescovo di Rumek, un padre missionario italiano, Cesare Mazzolali, aveva comprato e restituito alla libertà centocinquanta ragazzi e ragazze africane destinati a fare gli schiavi nelle case dei ricchi arabi. «Anche questa - dice - è una storia che m'è parso giusto raccogliere». Così Biagi è partito per l'Africa con una troupe, ha visitato la missione dove monsignor Mazzolari accogbe affamati e lebbrosi, ha assistito a una cerimonia religiosa in mezzo a loro, ha conversato con il sacerdote. «Provo ammirazione e simpatia per quest'uomo che ha voluto perfino darmi la comunione. Non la faccio da anni - gli ho detto -, e sono pieno di peccati. "Anche noi ne abbiamo tanti", ha risposto». Cosa spera, Biagi, di poter ottenere con questo servizio dedicato al Sudan? «Quello che spera monsignor Mazzolali : che quel popolo non sia dimenticato. Gli ho chiesto: "Quando arriverà per voi la resurrezione?" Mi ha detto: "La situazione politica del Paese è molto complicata. Ci resta la speranza, anche se ogni giorno per noi è un venerdì di passione". Non so se qualcuno voglia inviare dei soldi laggiù, comunque qualsiasi cosa è ben accetta». A lei cosa è rimasto di questo viaggio? «Gli occhi dei bambini. Ovunque sia andato quelli non li ho potuti dimenticare più. Ho due nipoti adottivi e un terzo l'avrei preso in Romania, se non avesse trovato prima un'altra famiglia. Ricordo gli occhi dei bambini bosniaci, degli ebrei, dei rumeni. Mi chiedo ancora dove sia finito il piccolo che lavava i vetri delle auto mentre volavano le schegge dei cecchini a Sarajevo. E una bambina, sempre là, che si prostituiva per dar da mangiare agli otto fratelli, scegliendo di andar solo con gli ucraini perché pesavano di meno. Il senso del peccato non è lo stesso per tutti». Che pensa di questa guerra? «Avevo vent'anni nel 40: di guerre e profughi ne ho visti tanti. Lo rivela il mio aspetto, oltre che la mia età anagrafica». E di Antonio Russo di Radioradicale l'unico giornalista che non ha voluto abbandonare Pristina? «Ammiro U suo coraggio che è anche un gesto di alta testimonianza, ma penso alla sua solitudine, la sera, quando non deve più farci arrivare la sua voce». Qual è la molla che la spinge ancora verso il suo mestiere? «La curiosità umana. Abbiamo un grande programmatore di eventi, noi uomini. Per chi crede è Dio, per gli altri la sorte. Basta assecondare quei piani per incontrare storie. Il giornalismo è come un acquedotto: c'è acqua più frizzante e acqua più pesante. Mi accontento che sia potabile». (si. ro.) Enzo Biagi

Persone citate: Antonio Russo, Biagi, Mazzolari

Luoghi citati: Africa, Radioradicale, Roma, Romania, Sarajevo, Sudan