Rostropovich incorona il suo erede
Rostropovich incorona il suo erede LA RECENSIONE m Al Lingotto il concerto diretto dal grande violoncellista Rostropovich incorona il suo erede Abbraccia Dindo che ha eseguito Saint-Saèns TORINO. E' andato a buon fine quello che poteva sembrare un ghiribizzo nell'organizzazione del'ultimo concerto sinfonico della Rai: invitare Rostropovich a Torino in un programma in cui figurava un concerto per violoncello, e fargli solamente dirigere l'orchestra, affidando il suo strumento ad altre mani, appariva, sulla carta, se non provocatorio, per lo meno curioso. Ma le mani fatate erano quelle di Enrico Dindo, primo violoncello nell'Orchestra della Scala è vincitore della sesta edizione del Concorso Rostropovich di Parigi: cosi l'esecuzione del Concerto di Saint-Saens ha assunto, alla fine, quasi il carattere di un'investitura, suggellata dai baci e dagli ab- bracci che Rostropovic ha dispensato al giovane collega, come per definirlo suo erede, anche se suona in modo assai diverso da lui. Volendo far paragoni con i grandi violoncellisti del Novecento, si potrebbe dire che la cavata di Dindo, la singolare morbidezza del suo fraseggio, la dolcezza del timbro, ricordano lo stile di Pierre Fournier, piuttosto che il tratto scultoreo, plastico e fortemente chiaroscuralo di Rostropovich. Lo si è constatato chiaramente nel primo Concerto di Saint-Saèns, composizione squisita, lucida come seta, dove il violoncello svolazza veloce, fluttuando senza peso. Con gran delicatezza il direttore ha concertato l'Allegretto centrale, tutto avvolto nel suo clima di fiaba, incanto leggero creato dal violoncello di Dindo con volteggi mirabili. E' questa una musica che non sai mai se giudicare grande arte oppure un prodotto di alta moda: la bellezza del materiale e della fattura rappresenta infatti un continuo godimento, specie per chi ama gli oggetti ultraraffinati. Di quanto vigore sia capace Rostropovich come direttore d'orchestra lo si è visto in «Romeo e Giulietta» di Ciajkovskij e, ancor più, nella colossale «Decima Sinfonia» di Sciostakovich, questa, sì, musica di straripante sincerità emotiva che, per il solo fatto di esprimersi con note, e non con parole dal significato preciso, preservò il suo autore dalla persecuzione politica. Nel secondo movimento, difatti, è adombrato un ritratto di Stalin: espressionismo gelido e tagliente, raffiche e frustate in una corsa che esprime una lucida ferocia. Il movimento iniziale è un crescendo d'angoscia: la musica si muove lentamente in un labirinto senza uscita, e da quel buio si gettano, di battuta in battuta, le premesse per una spaventosa violenza. L'impressione è stata enorme, e, purtroppo, tragicamente attuale. Compatta e lucidissima la prova dell'Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai che ha brillato nell'assieme e nelle sue prime parti: il clima macabro dell'Allegretto, chiarissimo omaggio a Mahler con i valzer grotteschi, i comi lontani, le solitudini amiche del violino, i tintinnii che richiamano la Quarta sinfonia, ha avuto il suono giusto, e nel finale il clima oppresso di una tristezza senza scampo è stato reso da Rostropovich con una commozione che rasentava le lacrime. Paolo Gallarati Rostropovich (nella foto) ha diretto Enrico Dindo nel concerto di Saint Saèns
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