Roberto Abbado: «Dubbio e fede nel mio Rossini» di Armando Caruso

Roberto Abbado: «Dubbio e fede nel mio Rossini» Stasera dirige lo «Stabat» al Regio di Torino Roberto Abbado: «Dubbio e fede nel mio Rossini» «Sarei felice se a Roma si costruisse la città della musica per i ragazzi» Roberto AbbadoTORINO. In Roberto Abbado convivono due anime: una rivolta «sempre più alla musica classica tedesca», l'altra «alla musica contemporanea», che della musica tedesca è comunque figlia legittima e come tale va trattata con affetto e dovuti riguardi. Roberto Abbado per la Stagione dei Concerti, domani sera alle 20,30 dirige al Teatro Regio lo «Stabat Mater» di Rossini, protagonisti Eva Mei, Sonia Ganassi, Juan Diego Flórez, Roberto Scandiuzzi (al posto dell'influenzato Carlo Colombano, maestro del Coro, Bruno Casoni. Di «Stabat Mater» in Italia se ne esegue uno ad ogni pie' sospinto, ma questo del Regio merita l'analisi introspettiva di Roberto Abbado, che dal podio guida un cast capace di assolute finezze cameristiche. La sua idea delle pagine rossiniane va alle radici dello «Stabat», è chiarificatrice anche per coloro che vedono in Rossini l'operista a tutti i costi: «Sgombriamo innanzitutto il campo - dice - dalle facili intuizioni. Lo "Stabat" rossiniano è un omaggio alla Vergine, alla Passione di Cristo, al dolore. Non è un'opera, anche se c'è un'evidente influenza operistica. Nel segno della tradizione c'è, invece, e si avverte fortissùna, la nostra cultura musicale, dal canto gregoriano a Palostrina, con due pezzi assolutamente italiani e geniali, "a cappella", frutto d'uno stile antico e nuovo. Del resto basta leggere la sequenza latina del testo attribuito a Jacopone da Todi per rendersene conto. Né ci si può aspettare dallo "Stabat" musica liturgica tedesca: Rossini non è Mendel,sspbn, né vuole esserlo. Lo "Stabat" non è un pezzo liturgico, ma, ripeto, l'omaggio di un compositore alla tragica conclusione del Vecchio Testamento, esattamente come lo "Stabat" di Pergolesi, a cui si è ispirato. Nel concludere lo "Stabat", Rossini esprime il dolore, la sofferenza di un uomo anziano che sente vacillare la propria fede e non vi trova più conforto. Avverte un vuoto, un senso di dolore infinito. Ecco perché compone la "fuga"». Lei frequenta molto la musica contemporanea. Crede che in Italia abbia un futuro? «Deve averlo, non può rimanere ai margini della tradizione. Ma è un processo bongo. Bisogna cominciare da un'educazione musicale vera nelle scuole dell'obbligo, e dall'educare i genitori, che nella maggior parte hanno familiarità con Michael Jackson e non con Brahms o Hindemith. In Italia non si può vivere di rendita. Bisognerebbe inventarsi un progetto pedagogico nuovo, come ha fatto Parigi con la "Città della Musica». In Italia gli spazi ci sarebbero... «Certamente. Penso al nuovo Auditorium di Roma. Il luogo è ideale, ma ci vuole abilità nella ricerca e serietà d'intenti. Sarei felice se potessi partecipare a un simile progetto, ma ci vorrebbero garanzie serie, non evasive, per reabzzarlo nel tempo. Ci si sentirebbe finalmente padri di un'educazione musicale moderna sul modello europeo». Roberto Abbado, in attesa che qualcuno a Roma decida di cambiar musica, torna a varcare l'oceano per una lunga esperienza con le maggiori orchestre americane. Dirigerà così la Boston Symphony, l'Orchestra Sinfonica di Filadelfia, l'Orchestra di San Francisco. Soprattutto concerti. E la urica? «Ho diretto molte opere. Da quest'anno vogho rituffarmi nel repertorio classico europeo, da Brahms a Schurnann a Mahler e prendermi cura di Hindemith, Schònberg e Berio». Armando Caruso Roberto Abbado