In memoria di me di Adriana Zarri

In memoria di me La storia, i riti, i simboli, le usanze della Settimana Santa: la Pasqua secondo cristiani ed ebrei In memoria di me SU ebrei che lasciano l'Egitto, Gesù che spezza il pane nell'ultima cena con gli apostoli e dice loro: «Fate questo in memoria di me...». La Pasqua i suoi simboli e le sue Uturgie, soggetti infiniti di opere d'arte: oggi, giovedì, il ricordo della cena accomuna ebrei e cristiani. Per gli uni è il seder, fulcro della festa di Pesach, per gli altri l'inizio dei quattro giorni centrali dell'anno hturgico, il compimento della parabola terrena del Cristo. Il tradimento di Giuda che si consuma subito dopo la cena, il «processo» davanti al sinedrio e a Ponzio Pilato, la condanna, il Golgota, la crocifissione, il sepolcro e infine la resurrezione. La Stampa, da oggi a domenica, pubblicherà quattro «meditazioni»: comincia la teologa Adriana Zani Domani, venerdì, interverrà don Leonardo Zega, editorialista de La Stampa. Il sabato, giorno del silenzio e dell'attesa, sarà raccontato dallo scrittore Vittorio Messori. Domenica, il giorno della resurrezione e della gioia, dal biblista Enzo Bianchi, priore della comunità di Bose. IN mattinata, nelle cattedrali, si celebra la messa crismale, durante la quale vengono consa crati i sacri oli, usati per l'amministrazione di vari sacramenti: segnatamente la cresima e l'unzione degli infermi, ma anche per il battesimo e l'ordine sacro; ed è appena il caso di ricordare la simbologia e il significato dell'unzione. Ma è con la messa vespertina in coena Domini che ha inizio il triduo pasquale in quella che la liturgia chiama la major hebdomadis, da noi tradotta correntemente (e forse non è traduzione felicissima) in «settimana santa». Come dice la denominazione latina la liturgia eucaristica è il memoriale della cena del Signore, da noi detta correntemente l'ultima cena. Tutte le messe sono il memoriale della cena; ma questa ne fa memoria commemorativa, se così si può dire: non solo rinnova il mistero di quel convivio, ma lo ricorda e 10 narra per esteso. Si sa che l'anno liturgico ripercorre le tappe della storia della salvezza: attesa veterotestamentaria, natale, pasqua, pentecoste e via dicendo. Il giovedì santo, con la missa in coena Domini, ricorda la cena del Signore: la ricorda, per così dire, due volte: è insieme memoria e memoriale: memoria in quanto rievocazione storica e memoriale in quanto, come ogni messa, ricreazione del mistero (domando scusa per 11 linguaggio approssimato, com'è, inevitabilmente - e non solo per esigenze di divulgazione giornalistica - il tentativo di dire l'indicibile). La Scrittura riporta il grande discorso di Gesù, presente nel Vangelo di Giovanni e narra l'istituzione dell'eucarestia e, in second'ordine, l'istituzione del sacerdozio (anche se un certo clericalismo molto presente nella chiesa, tende ad equiparare i due fatti). E' da questa narrazione, nella quale le donne non appaiono (sebbene, con ogni probabilità fossero presenti) che si presume la riserva del sacerdozio ai soli maschi: un'opzione teologica molto discussa e che, a Roma, si tende a caricare di un vincolo di fede: gravame ancor più discusso e discutibile. Dato il significato della ricorrenza si potrebbe pensare che il Vangelo riportasse il racconto della cena che invece è demandato alla seconda lettura, tratta dalla prima lettera di Paolo ai Corinti, che contiene la narrazione più antica della cena eucaristica. Il Vangelo invece narra l'episodio della lavanda dei piedi, di cui dopo diremo. La prima lettura, tratta dal libro dell'Esodo, narra la Pasqua degli Ebrei; la cena consumata in tutu fretta, nella clandestinità, mangiando un agnello maschio (traccia evidente del regime patriarcale) e senza difetti: un chiaro simbolo del Cristo: agnus Dei. Il sangue di questo agnello sacrificato, posto sugli stipiti e sugli architravi delle case degli ebrei, sarà un segno é è di salvezza: il castigo di Dio colpirà i primogeniti degli Egiziani, risparmiando le case segnate col sangue dell'Agnello: una simbologia troppo trasparente per dover essere spiegata. Si tratta di un episodio celebre che viene ricordato nello splendido preconio della veglia di Pasqua: Verus Me Agnus occiditur, cuius sanguine postes fidelium consecrantur. Abbiamo accennato ad una certa vena di clericalismo tentata di dare eccessivo rilievo al sacerdozio ministeriale. Ecco che, prevedendo questo rischio, Cristo, cintò un grembiale, lava i piedi agli apostoli; «Se io, signore e maestro, ho lavato i vostri piedi, anche voi dovete lavarveli vicendevolmente. Vi ho dato infatti l'esempio perché, come ho fatto io, facciate anche voi». In memoria di questo, dopo l'omelia, il vescovo, nelle cattedrali, lava i piedi ad alcune persone: di solito dodici ragazzi; e spesso anche i parroci lo fanno. Tonino Bello, un grande vescovo italiano, forse temendo che il gesto potesse esaurirsi in una bella cerimonia, lasciando indenne l'orgoglio prelatizio, con relativi titoli onorifici (eccellenza, eminenza), aveva parlato della «chiesa col grembiale». Parlando del giovedì santo non possiamo dimenticare il grande discorso di Cristo, riportato sempre da Giovanni, il quale omette persino di narrare l'istituzione eucaristica (riportata dai sinottici i quali invece omettono la lavanda dei piedi) quasi che il gesto d'umiltà e il profondissimo dire di Gesù fossero una narrazione implicita del corpo e del sangue dato. Pieno di chiaroscuri, questo «testamento spirituale», alla vigilia della morte. Si parla della pace - quella pace diversa da quella che dà il mondo: una pace che assume la dialettica dei contrasti e del male - si promette la gioia: una gioia piena che nessuno ci potrà togliere; ma quella stessa gioia piena è già venata di tristezza; e il presagio della morte è incombente. Gli stessi segni visibili della liturgia esprimono le contraddizioni di questo giorno di gioia condizionata che introduce al grande lutto del venerdì santo. I paramenti del celebrante sono bianchi; ma alla fine, conclusa l'azione liturgica, si procede alla «spoliazione» dell'altare: tolta la tovaglia (la cerimonia del venerdì inizia sull'altare nudo), asportati agli arredi, rovesciati i candelieri: ha inizio il grande pianto. Il luogo, straordinariamente adorno di fiori e di ceri, dove è solennemente esposta l'Eucarestia (la cosiddetta «reposizione»), nel linguaggio popolare, viene detto «sepolcro». Adriana Zani Elena Loewenthal racconta i riti e i cibi delle comunità ebraiche. A tavola si mette un posto in più e si è soliti lasciare la porta aperta: potrebbe arrivare il Messia Gesù da «L'ultima cenadi Leonardo In basso la studiosa Elena Loewenthal A sinistra la teologa Adriana Zarri

Luoghi citati: Egitto, Roma