A Cacak, tra le macerie degli elettrodomestici

A Cacak, tra le macerie degli elettrodomestici UN «COLPO CHIRURGICO» DI MISSILI E AEREI ALLEATI A Cacak, tra le macerie degli elettrodomestici Lo stabilimento demolito dalle bombe, intatta la palazzina degli uffici reportage BELGRADO DAL NOSTRO INVIATO Quando scende la sera sulla città vuota, il clima si fa di attesa angosciosa, molto più che nei giorni precedenti. Fallita la missione Primakov, ci si prepara all'escalation: si aspettano attacchi diretti sulla capitale. Il prossimo stadio è l'attacco al cuore della catena di comando: edifici governativi, ministeri di Difesa e Interno, quartier generali delle forze annate e dei corpi speciali. Nella notte fra martedì e mercoledì l'allarme è suonato alle 0,48, finendo alle 6,50. In queste 6 ore sono cadute bombe e missili su varie località intorno alla città. In giornata in centro si è ripetuto il concerto rock. I pittori di strada non fanno più ritratti, ma schizzano scene di guerra. Giovani e anziani, tutti portano sul petto l'adesivo dei cerchi concentrici da tiro a segno a indicarsi ognuno come obiettivo. I cerchi diventano gadget che si mettono anche al collo dei cani. Il timore palpabile, diffuso, è che nelle prossime ore gli attacchi arrivino appunto sulla città. Va detto che arriveranno su scatole vuote. Con la tradizione di guerriglia, i comandi saranno già stati trasferiti. Ma nessuno può escludere errori nei «colpi chirurgici». Ho visto il risultato di uno di questi colpi ieri, a Cacak, circa 200 chilometri a Sud-Ovest. Una fabbrica di elettrodomestici, famosa per i suoi prodotti in tutto il Paese, interamente distrutta. Colpita con assoluta precisione: capannoni, depositi e stabilimento sventrati, crateri spaventosi. Assolutamente intatta la palazzina degli uffici. Obiettivo centrato: ma forse era sbagliato. La sua maggior produzione è di aspirapolvere, asciugacapelli, fometti. Si parte la mattina presto per Kragujevac, dove è la fabbrica di automobili Zastava, che sarebbe stata colpita perché addetta anche a produzione bellica. Ha 35 mila operai, che si sono ora trasformati in scudi umani. Restano a dormire in fabbrica. Si percorre un tratto di autostrada assolutamente deserta e, dopo strade secondarie pure deserte, si arriva infine, ma non è possibile avvicinarsi alla fabbrica. Ci si ferma a Shumarica, alle porte della città, sacrario nazionale:. nell'ottobre del '41, i nazisti trucidarono qui in pochi giorni 7 mila persone. Tra loro, centinaia di bambini. Un immenso 5 in numero romano (cioè V) in pietra domina il luogo, davanti al quale l'intera città si sta radunando per manifestare. Con l'assistenza dei militari si prosegue per Cacak, dove è stata distrutta una fabbrica che, affermano le fonti ufficiali, non ha nulla a che fare con la produzione belhca. Si tratta della «Sloboda», che vuol dire libertà, impiantata nel '49. Cacak ha circa 70 mila abitanti, gran parte dei quali vivevano della fabbrica. Che impiegava oltre 5 mila persone, con stipendio medio di circa mi milione di lire. Uso i tempi al passato perché la Sloboda non c'è più. E' solo un immenso ammasso di macerie, tra cui si muovono affranti centinaia di operai che cercano di sgomberarle con le mani. Stupisce la palazzina degli uffici, recentemente rimessa a nuovo, in grigio e profili azzurri, tutta linda, perfetta. Assolutamente intatta. Dietro, la distruzione. Tredici immensi capannoni, depositi e magazzini, e vari reparti di produzione totalmente sventrati. Parla il direttore, Radomir Ljuic, un omone energico: «Siamo conosciuti in tutta Europa, produciamo elettrodomestici su licenza Siemens, Bosch, Ignis. Trecentomila aspirapolvere all'anno, asciugacapelli, fornetti. Ecco che cosa ci hanno fatto. L'80% della fabbrica distrutta, ventimila persone senza pane. 11 primo attacco alle 4 del mattino del 28 marzo, dieci feriti, soprattutto personale di guardia, grandi distruzioni. Il secondo il HO marzo, sempre alle quattro. Missili e bombe. E' rimasto in piedi qualche muro, vengano a finire l'opera». In un reparto sventrato, un cratere di una ventina di metri, profondo oltre una decina. Il capo reparto piange. Restano in piedi alcuni fabbricati, ma non ci si può avvicinare: «Non è che li producevamo armi sbotta il direttore prevenendo domande - è che c'è una bomba inesplosa e sarebbe pericoloso». Commenta una conoscente serba: «Una spiegazione di questo errore di bersaglio è che in Bosnia, a Goradze, poche decine di chilometri da qui, c'è una fabbrica di munizioni che si chiama comi! questa, Sloboda. Ma se questa è l'intelligence della Nato, bisogna fuggire da Belgrado prima che vadano con precisione sugli obiettivi». Fernando Mozzetti «In Bosnia, qui vicino c'è un'industria di munizioni che si chiama come questa Si sono sbagliati» E Belgrado ha paura dopo l'annuncio dei prossimi raid su ministeri e centri di comando in città Un operaio tra le rovine della «Sloboda» di Cacak

Persone citate: Fernando Mozzetti, Primakov, Radomir Ljuic

Luoghi citati: Belgrado, Bosnia, Cacak, Europa, Kragujevac