Jervolino: «Un altro Olocausto »

Jervolino: «Un altro Olocausto » ESODO BIBLJ VWi IL DRAMMATICO SALVATAGGIO DEI KOSOVARI INlAlBANIA Jervolino: «Un altro Olocausto » In soccorso volontari e poliziotti italiani reportage TIRANA UAL NOSIHO INVIATO Quello che non soltanto Uosa RUSSO .Jervolino, ministro degli Interni, chiama con voci! commossa «esodo biblico», scuote le strutture fragili dell'Albania. «Ormai qui sono più di 100 mila», ha detto il primo ministro albanese l'andeli Ma jko, sollecitando totale aiuto della comunità internazionale. Perché la fiumana di disperati che scende dal Kosovo non si arresta. E vanno sistemati, questi poveretti fuggiti a piedi o sui trattori e vivi soltanto perché la resistenza dell'uomo a volte sembra infinita. «Abbinino visto cose incredibili che davvero non pensavo potessero accadere, dopo l'Olocausto», ha detto il ministro italiano rientrato a Tirana nella notte da Kukes, che è il ponte fra la barbarie e la speranza. Occorrono tendopoli perché le case offerte dalla gente e i vecchi capannoni di fabbriche in disuso si son riempiti in fretta. «Noi saremmo pronti a organizzarle, anche subito», ha assicurato il professor Franco Barberi. Ma c'è un «ma»: dei circa 30 ettari attorno a Durazzo messi a disposizione dal governo albanese, «soltanto 7 sono idonei e questo significa che potremmo sistemare 5-6 mila ftersone. Ma luce e acqua sono ontano da quelle aree almeno 'A chilometri». E gli altri terreni? «Acquitrini, paludi». Soltanto alle porte di Kukes è possibile un intervento immediato, e lassù andranno i volontari dell'Associazione nazionale alpini, «esperti e disciplinali». Ma il pessimo stato della strada è peggiorato ancora in questi giorni a causa delle frane. Cos'i alle difficoltà previste se ne aggiungono di incomprensibili. Da due giorni (nielli della Protezione civile italiana trattano con il governo, addirittura con i proprietari privati di alcuni terreni ritenuti idonei. Ottima sarebbe la spianata dietro la spiaggia di Durazzo, dov'era il comando francese al tempo della missione Alba, estate '97. Oggi c'è un enorme mercato di auto e per poche migliaia di dollari ti puoi portare a casa una Mercedes ultimo modello, documenti compresi. Impensabile sloggiarlo: una cosa del genere nessuno, forse, è disposto a farla neppure per i «fratelli kosovari». Il punto è che mezza Albania è invasa e nessuno sa dove sistemare migliaia e migliaia di persone. Per questo chiedo al ministro Russo Jervolino: tenuto conto che l'attacco Nato era pianificato e che, di certo, avrebbe provocato un'accelerazione della pulizia etnica, non era prevedibile questo esodo? E ora, non siamo in ritardo? Il ministro risponde di no, assicura che «prima di così non si poteva fare: il piano di aiuti è scattato immediatamente». Ma è vero che da parte albanese per prima cosa chiedono denaro e poi ripiegano sugli aiuti concreti? «Nessuno ci ha domandato soldi». Ma intanto quegli acquitrini hanno frenato la macchina dei soccorsi. Che già di per sé ha un meccanismo fin troppo complicato e ieri mattina, al dottor Raffaele Dari, del ministero della Sanità, che gli disegnava i labirinti della burocrazia, Marcello Spatafora, ambasciatore qui a Tirana, quasi urlava, sotto gli occhi sgranati di una piccola folla: «Siamo in un Paese che sta crollando, che sta morendo e lei mi parla di protocollo». In questa corsa contro il tempo ogni istante bruciato ha il peso di un peccato mortale. «Che questa situazione già cosi grave possa peggiorare ancora, lo temono tutti», dice Umberto Ranieri, sottosegretario agli Esteri. Allo delegazione italiana che torna a Roma, appena dopo il mezzogiorno, si accoda anche l'askal Milo, ministro degli Esteri albanese: è diretto in Germania. Però i cieli sono interdetti agli aerei civili, e lo rimarranno per un pezzo. Milo ha un aspetto rassicurante, ma una sua osservazione crea imbarazzi repentini nella delegazione italiana. Perché a chi gli domanda lumi sulle aree che loro, gli albanesi, hanno destinato ai campi per i profughi, risponde: «Sono disponibili pure gli edifici. Per quanto ci riguarda, si può cominciare anche oggi». E su questo epi- taffio la conferenza stampa viene interrotta perché, si affanna a spiegare Russo Jervolino, «c'è bisogno di un nuovo momento di raccordo». Eppure, anche se pare di essere nel cuore di un labirinto senza uscita, qualcosa bisogna farla. Così, si dà ordine alla nave San Marco di ripartire cari- ca di quello che serve per l'urgenza. E poi, più avanti, porterà i camion, le tende, l'occorrente per gli accampamenti. Oggi, da Ancona, partono i volontari dell'Associazione Nazionale Alpini, accompagnati da genieri. Sperano di metter su le prime tende per Pasqua. Sabato da Bari altri 280 tecni- ci, direzione Durazzo, per cominciare le tendopoli, magari da quei sette ettari non sott'acqua. E poi, nei campi, verranno mandati poliziotti italiani in borghese, per controllare le infiltrazioni di quelli dell'Uck, l'esercito di liberazione kosovaro. «Ma tutto deve essere spedito a destinazione, subito, appena sbarcati: niente può rimanere qui a Durazzo, perché, be'!, lo sappiamo il perché», osserva il professor Barberi. Via la delegazione italiana, arriva Emma Bonino, commissario europeo, accompagnata da Verheugen, ministro di Stato tedesco. «Siamo di fronte a una nuova faccia della crisi umanitaria» ha detto Bonino che poi, d'un fiato, prosegue: «In Kosovo ero stata in agosto e avevo visto i massacri e i villaggi bruciati. Questa è una strategia a lungo termine. La comunità internazionale deve prendersi cura dei rifugiati e, ovviamente, come sempre i primi giorni sono caotici». Ma anche se può sembrare un controsenso, gli esuli sono già dei privilegiati. «La mia più grande preoccupazione è per i kosovari rimasti in Kosovo, senza alcun tipo di testimoni né di aiuto. Per l'esperienza che ho, non c'è da aspettarsi nulla di nuovo, ma la ripetizio- ne delle vergogne di Sarajevo, Vukovar e Sebrenica». E la Comunità europea? «Lo scorso anno ha versato 90 milioni di dollari per gli aiuti, ora ne sono stati stanziati altri 14», osserva il commissario. Che prosegue: «La soluzione può essere soltanto politica». Pure Gunter Verheugen parla di denaro. E concorda con Emma Bonino: «E' vero, il problema ha due facce, una politica e una umanitaria. Quella politica riguarda Milosevic. Noi faremo di tutto e ancora di tutto per trovarla, questa soluzione, ma non possiamo fingere di dimenticare che, in Kosovo, i crimini sono cominciati prima dei bombardamenti». E dal suo quartier generale, nella sede del partito democratico, Sali Berisha, l'ex presidente, rincara: «Questa del Kosovo è una Cambogia, ma una Cambogia che si brucia in una settimana». Gli esuli ormai sono dappertutto: da mezzogiorno di martedì a ieri, a Kukes ne sono giunti 17 mila. E poi, da quella porta rimasta socchiusa, passavano a cento ogni ora. Il centro della Caritas di Scutari è saturo, avverte monsignor Lucjan Augustini. «E sappiamo che in Montenegro a migliaia vogliono venire qui in Albania». L'avanguardia di una colonna che dovrebbe arrivare nella notte, ha già messo piede a Valona, e naturalmente i pescecani dei gommoni si fregano le mani. Vincenzo Tessendoti L'ex presidente Berisha: «Questa è una Cambogia che si brucia in una settimana» «Ma per le tendopoli ci hanno dato terreni paludosi» Emma Bonino: «In Kosovo ero stata in agosto e avevo visto i massacri. E' una strategia a lungo termine. Forti timori per chi vi è rimasto» La Comunità europea in aiuti ha già versato 90 milioni di dollari, ora ne ha stanziati altri 14 «c Un'altra immagine di profughi kosovari