CAGE, LA VOCE DEL SILENZIO

CAGE, LA VOCE DEL SILENZIO CAGE, LA VOCE DEL SILENZIO Quel suo odio per il vibrafono UANDO un numero monografico di Riga esce con la sua mole di pagine e l'abbondanza di materiale, succede che l'autore in questione - questa volta è John Cage - ci appaia in una duplice veste: monumento culturale universalmente riconosciuto e misterioso continente totalmente inesplorato. Il fatto è che Riga è ll'autore ma un indice sfaccettato che segnala pgun indice puntato sull'autore, ma un indice sfaccettato, che segnala con forza la complessità, la stratificazione, la ricchezza di ciò che indica. John Cage non è un autore da «riscoprire», o sul quale sia calata la nebbia della distanza, o della dimenticanza. Al contrario, la sua figura sta lì, perfettamente incastonata nel Novecento musicale e non solo in quello. Non si può nemmeno dire che Cage sia stato imbalsamato come eroe positivo o negativo (non farebbe molta importanza). Tuttavia entrando nelle pagine di Riga, i ll h ri psoprattutto in quelle che riporta- _ ? • I J!«" - no sue conversazioni (difficile ma straordinariamente interessante quella con Morton Feldman), la sensazione di conoscere solo un'infinitesima parte di Cage, di averlo rubricato sotto un paio di titoli frettolosamente, di averne iniziato con troppa sollecitudine il processo di storicizzazione, ci coglie con grande evidenza. Gli attribuiamo la paternità di varie intuizioni sul ruolo del caso nella composizione, sul silenzio e sul rumore, o l'escogitazione di quel pianoforte preparato (chiodi e vari materiali disposti sulle,corde dello strumento) che anche simpaticamente ci viene da ricordare. Ma nessuna delle sue decine di idee musicali nuove, e nemmeno la loro somma, ci spiega come mai l'importanza del compositore americano sia di portata così generale, non relativizzabile solamente all'universo sonoro. E non ce lo spiega nemmeno il fatto che Cage abbia operato anche in altre forme d'arte, e ci abbia lasciato significativi interventi saggistici e letterali. Le composizioni musicali aleatorie non sono state solo sue, rumoristici furono già i futuristi, e non basta certo il celebre 4'33" (brano fatto di silenzio) a farne uno dei giganti del secolo. Anche la cultura orientale, così importante per Cage, potrebbe semplicemente essere vista, ormai, come un elemento fondamentale ma solo per lui» a livello di formazione personale. Il fatto è che dietro ciascuna di queste cose, e dietro ciascuna delle altre mille cose cageane, si vede un disegno generale, una trama elastica che abbraccia decenni di lavoro senza mai irrigidirsi, ma anzi fluendo morbida, un'architettura che in Cage non ebbe mai la funzione di determinare le mosse future e che tuttavia sorregge tutta la sua opera con una coerenza che lui stesso sarebbe il primo a negare, ma che tuttavia c'è. Si tratta di una coerenza pratica. E' una qualità del lavoro, non della teoria. Una caratteristica del/are. Appare chiaro in più punti, leggendo Riga, che se si guarda come Cage guardava - all'impegno nel lavoro, al rigore con cui vanno affrontate passo dopo passo le sfide concrete che la creazione artistica muove all'artista, alla qualità che si deve pretendere anche dai propri maestri (Schonberg per la musica e Suzuki per lo Zen - «Per quanto ho potuto, mi sono sempre rivolto al presidente della società» dice Cage), alla cura infinita richiesta dalla pratica compositiva, il lascito di John Cage è prezioso per qualunque tipo di fare artistico esistente o anche solo immaginabile. E' l'esempio di una vita, non il proclama di un teorico, quello con cui Cage ha fertilizzato l'idea stessa della composizione, quindi non solo di quella musicale. Dietro ogni singola invenzione vediamo il medesimo impegno innovatore. Non sono atti di superamento del vecchio con il nuovo, bensì di allargamento della scena (estetica, percettiva e sociale), che dovrebbero avere la conseguenza di inglobare il vecchio nel nuovo, non di abolirlo. Comporre con il silenzio non è screditare il suono, ma aumentare il catalogo dei suoni, dei loro parametri. Lo stesso vale per i rumori, gli intervalli microtonali, le composizioni guidate dall'/ Ching (che affievoliscono l'intenzione dell'autore, ma non la sua creatività), i mesostici con cui infilzava le pagine di Joyce per ricavarne il magnifico Roarato rio. Allargare, ampliare, fabbricare, aumentare: questa è stata l'attività di John Cage. Allargare la nostra comprensione fino a far apparire quello che pensavamo fosse l'intero universo come un caso particolare di qualcosa di più grande. Di tutta la musica passata, presente e futura, solo una cosa non gli andava proprio giù sul serio: il vibrafono. Dario Voltatiti RIGA 15 John Cage a cura di G. Bonomo G.Furghieri Marcos yMarcos pp.581 L. 30.000

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