A FIRENZE CHE STRANO INQUILINO

A FIRENZE CHE STRANO INQUILINO A FIRENZE CHE STRANO INQUILINO FIRENZE L giorno dopo avrei consegnato il lavoro all'editore per la fantastica somma di lire trecentosessantamila, non avevo ancora pagato la bolletta del telefono, ero senza soldi, avevo una fame del diavolo, la mamma di Santina mi credeva un porco, e come consolazione coabitavo con un indivi lazione coabitavo con un indivi duo spregevole». L'inquilino, appunto, il romanzo breve o racconto lungo con cui esordisce Marco Vichi, quarantaduenne, fiorentino, di li i bhi disceso per li rami borghesi e catturato dalla cittadina trama popolare. Così da suggerire un accostamento (l'editore Brioschi lo porge) con il mondo pra tol in i a no. «Forse perché evito di inciampare nel solito milieu turistico, negli esterni e negli interni patinati, formato cartolina». Due caratteri per Marco Vichi. Carlo e Fred. Se Carlo è in eterno litigio con la sorte (la citazione lo fotografa), Fred è l'arte di arrangiarsi, un bischero fortunato, un «duro» che non sarebbe dispiaciuto a Gian Carlo Fusco, una calamita inesauribile: denaro e donne e altri generi di prima necessità. Diversi eppure (e quindi) condannati a trovarsi, a coabitare, di avventura in avventura, fino all'estrema sorpresa. Marco Vichi modella uno scampolo di neorealismo scanzonato, diverte e si diverte, distrae e si distrae. Ammazza (fa ammazzare) un paio di vecchiette, orientando il lettore verso la pista gialla. Ma la storia scarterà, un pasticciaccio meno truce, come dire?, clownesco aspetta al varco, tende un arioso, convincente agguato. Vive scrivendo, Marco Vichi. Da vent'anni. Un'assoluta, tenace fedeltà alla vocazione: «Sinora non avevo mai pubblicato, alla Guanda sono arrivato via Spagnol (figlio). Si, ho i cassetti zeppi. Già ho cominciato il trasloco. Sperando che Guanda-Brioschi continuino a scommettere su di me, sul mio piacere di narrare». Non dimenticando il teatro: «Sono autore di qualche testo, come interprete Franco di Francescantonio, attore di vaglia, in Italia non apprezzato come meriterebbe: recita la parte del Gatto nella Gabbianella ora in scena». A sò, Marco Vichi, un solitario nelle patrie (e urbane) lettere. «No, non discendo da alcun lombo gigliato, reale o d'adozione, si chiami Bilenchi o Landolfi. A Luzi ho stretto la mano tempo fa, ma tanto tempo fa. Frequento i russi, da Dostoevskij a Cecov, a Bulgakov. E John Fanti;, Salinger, Camilleri, un certo Lucarelli». Non lo nomina, eppure nell'In quilino si annida un'eco di Aldo Palazzeschi. La vicenda richiama alla memoria (per l'atmosfera magica) un'antica novella del signor Ferola, «Musica proibita», ambientata in una «pensione di famiglia», anche li un ospite ingombrante, misterioso, «una indefinibile al msofera di disagio». Lesto, a perdifiato, a colpi di rasoio, mai narciso, sorretto da un'unica necessità: raccontare e raccontare ancora, liceo lo stillili Marco Vichi, lontano da qualsivoglia avanguardia o retroguardia, obbediente ai pregiati fantasmi che ha saputo ricevere e allevare. L'inquilino è una scommessa vinta, un'orma nitida, che di sicuro annuncia ulteriori feconde prove. «Tutto silenzio. Non mi sembrava vero. Disinfettai la cucina, feci una doccia tiepida, poi fumai una sigaretta steso sul divano, nudo e contento. Il puzzo di circo si era noi.'voli';tonte attenuato, la vita riprendeva il suo corso. Ero quasi felice, Schiacciai con gioia la i icca nel posacenere, immaginando di spegnerla sui denti di Fred». Di siparietto in siparietto, affiora una Firenze classica, notturna, caustica, vetrioleggiante, maramalda, giocosa, remotissima e insieme intonsa, inedita, una affollatissima scatola di sorprese. E' una ininterrotta sequela di gag, L'Inquilino. Un ormonico girotondo intorno all'umana miseria elevata a scherzo, il big bang eternò che lo scherzo è, polvere di stelle, di ambizioni, di petti gonfi, di araldiche torsioni. E' una passerella, dove sfilano maschere freschissime, fanciulle ingenue e insieme fasciate in secolari astuzie, picari sapientemente inventati, ovvero non ridotti a caricature, portinaie scaltre, ortolani zoppi per nulla salvati dal pregiudizio, barboni di granitica nobiltà. Marco Vichi è il domatore di una piazza dei miracoli in ottima salute, lunare e lunatica, indipendente, fiera, aristocraticamente spavalda, con un fondo di sicura, severa (ma non inattesa) eticità: "Non dovevo più prostituire la mia dignità". Bruno Quaranta Uesordio di Marco Vichi, un neorealismo scanzonato : Carlo e Fred, due cara Iteri opposti, due vecchiette assassinate, ma il pasticciaccio (picaresco) è un altro L'INQUILINO Marco Vichi Cuanda pp.142 L 18.000 Marco Vichi, 42 anni, esordisce da Guanda (foto Giovannetti)

Luoghi citati: Firenze, Italia