I soldati serbi: avete 5 minuti per andarvene di Vincenzo Tessandori

I soldati serbi: avete 5 minuti per andarvene LA DISPERAZIONE DEI RIFUGIATI IN ALBANIA I soldati serbi: avete 5 minuti per andarvene Reportage DURAZZO EL1J\ guerra, della follia degli uomini e della loro ferocia, di quella ripugnante alchimia chiamata pulizia etnica, Edison non saprà mai niente. Anche lui è scappato da quell'inferno conteso di nome Kosovo, da Podujeva, presso Pristina. E si è sentito al sicuro, stretto così al petto di sua madre. Al centro di raccolta di Maminas, a metà strada tra Tirana e quel mare che, tranne l'autista, nessuno tra coloro che affollavano l'autobus traballante aveva mai visto, sono approdati all'una di notte, dopo un viaggio di oltre 12 ore da Kukes. Bardila Madhi, 28 anni, è scesa, gli occhi sbarrati, «Fate piano, non lo svegliate». Enver, il marito, e gli altri tre figli, già erano in coda dal medico, per il controllo che vien fatto agli esuli. Lei è tornata con la niente alla casa, all'allarme che li aveva fatti scappare. E ha pensato che, forse, un giorno ce l'avrebbero fatta a tornate indietro. E così Edison, nato da dieci giorni, l'avrebbe conosciuta, quella casa, se i serbi non l'hanno bruciata. Ma Edison era già morto, da un minuto o da un'ora o da un secolo. «Non ce l'ha fatta, è stato un raffreddamento polmonare», le hanno detto i medici. !■: lei li guardava come se non capisse e, invece, aveva capito. Hanno fatto il funerale, il pomeriggio di ieri, e c'erano il prefetto Martin Cukalla, e il vicesindaco Selani Dakoli, e per questa famiglia sventurata tra gli sventurati c'è stato anche un gesto premuroso; loro staranno in una casa sulla spiaggia. «Di là c'è l'Italia», ha detto qualcuno, come per consolarli. Ma loro guardavano indietro, verso le montagne. Forse era la stessa ora della notte o forse no. Sulla strada di Kukes, lassù a ridosso della frontiera, anche Skendije Berisha aveva ripreso in silenzio il suo viaggio cominciato quattro giorni prima. A un tratto si è voltata verso la madre e ha detto: «E' il momento». L'hanno adagiata sul ciglio, U suo bimbo, che forse chiamerà llir, che significa uomo libero, è nato lì, in mezzo alla gente che passava, e solo pochi voltavano il capo. Ma Skendije che ha 25 anni, il volto affilato, i capelli biondi lunghi e crespi, era febee. E altri quattro bambini sono nati nell'ospedale di Kukes, in questi giorni di tragedia, figli di donne disperate e coraggiose. E se i conti non sono sbagliati, dice il medico condotto Korab Sheliti, altri quattro nasceranno nelle prossime ore. Ci vuole coraggio anche per fuggire, e ci vuole per restare. Avdul Jahaj e suo padre liner sono uomini coraggiosi. Lui fa il fornaio, lavorava con i serbi, ha 45 anni, il volto scavato, gli occhi grandi e scuri, le mani forti. Per 13 ore ha trainato col trattore un rimorchio di due metri e mezzo sul quale stuvano affastellati in 30: 17 della sua famiglia, gli altri amici. Mezzogiorno di ieri, l'«Iint 593 Deluxe», iliade in Jugoslavia, si è appella arrestato nel cortile del palazzotto dello sport di Tirana, dove i profughi sanno che qualcuno darà loro una mano. Racconta Avdul: «Quattro giorni fa sono arrivati i serbi. "Avete cinque minuti per andarvene"». Anche Dushanova, a (lue chilometri da Pristina, era diventata fronte. ((Abbiamo raccolto quanto potevamo, il denaro per tirare avanti alcuni giorni». A Molina, dov'è la frontiera, i serbi li hanno fermati, hanno razziato i documenti, tentato inutilmente di strappare la targa verde del trattore. Una piccola vittoria, e Avdul ne mostra un'altra, personalissima: un documento grigio, che tira fuori dalla tasca. «E1 la patente, l'avevo nascosta, non me l'hanno trovata». Anche sua moglie mostra la carta d'identità. Poi l'uomo parla di suo padre, che ha 90 anni e nessuno ò riuscito a convincere a lasciare la casa: «Rimango, semmai muoio qui». E con lui è rimasta la figlia Naze, che ha 40 anni e quando ha deciso ha detto semplicemente: «Tocca a ine». Avdul è uno che il mondo lo sa guardare. Con il suo trattore e il suo rimorchio è scivolato tra lo pattuglie serbe appena ha capito chi; «questi rubavano le cose belle, le auto di lusso, le valigie dall'aspetto ricco». Ora è qui ma lo sa che non è finita. «Non riesco a saper più niente dei miei». Proviamo con un cellulare, ma le linee devo no esser state tagliate E allora, lui, abbassa gli occhi, e non vuol più parlare. Sono in tanti, qui al palazzotto dello sport, a fissare ì televisori che trasmettono tutto l'esodo, minuto per minuto. C'è chi cerca di capire cosa gli sia piombato sulle spalle e chi finga i volti che scivolano sugli schermi alla ricerca di qualcuno perduto all'inizio o durante il viaggio. «E' lui, è mio padre», a un tratto grida un ragaz¬ zetto sui 15, e corre via per dar hi notizia ai fratelli perdio eran gioì ni che1 temevano per la sorte di quell'uomo, tuffatosi nel bosco quando s'era sparsa la voce che i serbi stavano per arrivare. Quelli della Croce rossa e quelli della prefettura distribuiscono caffé, pam? affettato, formaggio, coperte, zucchero. E, assai spesso, una parola di conforto «Il primo giorno sono arrivati in 6000, lori altrettanti. Dicono che ne arriveranno ancora, ma nessuno sa quanti Noi aspettiamo», informa Angelina Politici, segretaria della Croce rossa di Tirana. Poi aggiunge che «duemila sono stati accolti dalla gente di qui». Qualcuno è anche alla Casa dello studente, insomma, la città è invasa. Come è invasa Durazzo. E, naturalmente, Kukes, lassù a Nord, primo approdo per ehi arriva dal Kosovo (ili esuli paiono restii a chieder qualcosa. Sorridono, e indicano con gli occhi una tazza di caffè, una letta di pane. Solo i ragazzetti, con quei visi da simpatici ìmpunit i, hanno l'aria di non aver timore di nulla. «Come si arriva in Svizzera o in Germania?», mi affronta l'etrit, che ha 9 unni, e alto un soldo di cucio e mi fissa impaziento per voltarmi le spalle appena vede che non so rispondere Ln gente (li Tirana viene qui comi,' in processione, ognuno porta (lucilo che può: inni fotta di carne, un cartoccio di latte, un pacco di pasta, un maglione, una gonna Danno tutto a quelli dellu Croce rossu: «Pensateci voi». Altri offrono la casa, incuranti di diventale in 15 dove finora hanno vissuto in 3. Questo è l'aspetto buono, ma, come si sa, ce n'è anche uno cattivo. Cosi c'è chi non prova solidarietà se non per se stesso. E accade che a Elbusuii, a Sud-Est della capitali;, due famiglie siano state avvicinate da un paio di pessimi arnosi in auto fiammante. «Le ragazze possiumo aiutarle noi, le accompagnatilo a Berat». Qualcuno li ha uditi, ha liuto l'allarme. Così il losco affare è andato in filino. Almeno per stavolta. Vincenzo Tessandori La disperazione negli occhi del profughi su un treno (ermato al confine Macedone e rimandato In Jugoslavia

Persone citate: Angelina Politici, Berat, Kukes, Martin Cukalla, Molina, Skendije Berisha