E Palazzo Chigi cambia il discorso in extremis

E Palazzo Chigi cambia il discorso in extremis (!) ijDLutuUjiai ■ il■ . ■ , . ■ ,. ... ., . . i LA GIORNATA A PALAZZO CHIGI: COLLOQUI CON TUTTI LEADER Primakov, la grande illusione E Palazzo Chigi cambia il discorso in extremis Retroscena SI', è il momento di dire qualcosa di chiaro al Paese. Non si può essere messi tutti i giorni in croce...». Finalmente ieri, al settimo giorno di guerra, Massimo D'Alema ha deciso di parlare all'Italia. Lo ha comunicato di primo mattino ai collaboratori più fidati e ai due sottosegretari che si è portato dietro a palazzo Chigi, Marco Minniti e Franco Bassa inni Lo stntniento scelto è stato quello dei momenti importanti: il messaggio televisivo a reti unificate. Il premier stava meditando di utilizzarlo fin dall'inizio dell'intervento Nato, ma per un motivo o per l'altro aveva accantonato l'idea, complice mia certa idiosmerasia nei confronti degli atti solenni. Ma i sondaggi che parlano di un paese tendenzialmente contrario allo guerra ed estraneo al problema dei profughi, le polemiche nel governo e nella maggioranza, il formarsi nell'opùiione pubblica di un movimento pacifista che inette insieme sinistra, cattolici e Chiesa, le conseguenze di qualche gaffe collezionata in questa settimana di passione, insomma, tutti questi fattori alla line hanno indotto D'Alema ad utilizzare il video delle grandi occasioni, buon ultimo tra i premier europei. Questa lunga incubazione ha fatto cadere il messaggio in un momento delicato delle trattative per la soluzione del conflitto, a poche ore cioè dall'incontro tra Milosevic e il primo ministro russo Primakov. Anzi, diciamoci la verità, D'Alema ha deciso per la giornata di ieri sperando che quel colloquio aprisse uno spiraglio alla ripresa delle trattative. Per dodici ore, infatti, il capo del governo ha aspettato che qualche buona nuova da Belgrado gli favorisse il compito. In assenza di notizie ad un certo punto della giornata il messaggio è stato addirittura in forse. «Aspettiamo di sapere - diceva alle 13 di ieri il vice-premier Sergio Mattarella a Montecitorio - cosa dirà Primakov o Schroeder. Poi decideremo. Il nostro è un paese talmente contraddittorio... Ma forse è bello per questo». E l'indecisione sul da farsi hu mandato in scena anche l'ultima commedia dell'assurdo a palazzo Chigi: nel giro di mezz'ora l'ufficio stampa della presidenza del consiglio prima ha smentito e quindi confermato l'intervento in Tv del presidente del Consiglio. A metà pomeriggio la prima dichiarazione di Primakov («c'è stato qualche risultato»), e qualche infonnativa giunta dal ministero degli Esteri che poi si è rivelata troppo ottimista, ha fatto stendere al nostro premier un tosto tutto improntato sulla ripresa della trattativa. Una versione che in serata il «no» della Casa Bianca e degli altri paesi europei alla mediazione russa ha fatto saltare. «Primakov - si è lamentato D'Alema, dopo che lo stesso Clinton gli ha spiegalo in una telefonata di giudicare quelle proposte inaccettabili - ha solo rivoltato la frittata». A quel punto, però, nello staff del premier tutti si sono resi conto che il messaggio non era più subordinato a valutazioni di opportunità, ma era diventato un obbligo. Tanfo che D'Alema non si e tirato indietro, è andato avanti lo stesso, modificando la prima parte del testo sulla base di appunti scritti appena pochi minuti prima di ondare in onda. Del messaggio scritto nel pomeriggio è rimasta solo la parte dedicato agli aiuti umanitari. L'imprevisto, però, ho offerto l'occosione a D'Alema per sganciarsi dalle contraddizioni della suo maggioranza, dalle polemiche ideologiche che la dividono, e per l'ore finalmente un discorso clùaro. Il premier, infatti, invece di rifugiarsi nel generico, ha voluto definire una volta per tutte la posizione dell'Italia, mettendo da parte il pendolarismo di certe prese di posizione di questi giorni: ha giudicato l'intervento Nato «inevitabile», ha purloto ih «genocidio» all'indirizzo della politica di Milosevic nel Kosovo, ha commentato positivamente l'operato delle nostre forze armate e degli alleati, hu definito l'accordo di Rambuillet «equo», ha rimarcato che la condizione «irrinunciabile» per la ripresa delle trattative è che «finisca la violenza» contro le popolazioni civili dei serbi. Un messaggio che ovviamente non gli ha attirato la simpatia di Cossutta e di Manconi, che ha lasciato perplesso anche buona parte del suo partito, ma che lo ha messo in sintonia con gli altri paesi alleati. Del resto in una situazione confusa come l'attuale, con l'intervento Nato che andrà avanti presumi - bilmenlo per giorni e con i tentativi di mediazione che languono, D'Alema non potevu non privilegiare il contesto intemazionale rispetto a quello interno. Non aveva scelto. Doveva mettere fine a quella lungo serie di contraddizioni e di paradossi di cui sono slati protagonisti il governo, lo maggioranza e, per alcuni versi, lui stosso in questa settimana di bombardamenti. Insomma, il nostro premier non poteva permettersi più il lusso dell'ambiguità dopo che una frase che gli ero stato attribuita («agli inglesi piace bombardare») nei corridoi del vertice di Berlino aveva indispettito Tony Blair. 0 ancora, dopo che come racconta il settimanale Panorama - sulla scrivania di Bill Clinton sono finite alcune intercettazioni dei discorsi di Milosevic, in cui il leader serbo individua nell'atteggiamonto dell'Italia o della Grecia le prime «crepe» nella Nato. Nè il premier poteva più accettare che il governo e la maggioranza continuassero a dare lo spettacolo di questi giorni, a cominciare dalle polemiche sull'operato dei nostri aerei tra Cossutta e il ministro della difesa SCognamiglio. Non per nulla ieri pomeriggio, prima di andare in Tv, il premier aveva confermato in un comunicato, sia pure usando un linguaggio tecnico (ha parlato di «difesa intogrota»), le dichiarazioni del ministro della Difesa Scognamiglio sulle azioni di guerra svolte dalla nostra aeronautica. «Non poteva fare diversamente - ha spiegato lo stesso ministro Folloni dopo aver parluto con Scognamiglio - dato che nelle decisioni della Nato e coinvolto il presidente del Consiglio, non ceno il ministro della Dilèsa. Ut verità è che Cossutta dice stupidaggini, non si può pensare di partecipare od uno guerra senza sparare, anche se si hanno compiti di scorto. I carabinieri che scortano un convoglio se si trovano alle prese con dei banditi sparano o no?». In poche parole, con il messaggio di ieri D'Alema si è tirato fuori, per quel che ha potuto, da tutto questo Ha cercato di guardare alla guerra del Kosovo dimenticandosi delle beghe interne, dimenticandosi di Tortorella che vuole lasciare la Quercia per la politica filo-Nato del governo o di alcune polemiche sotterranee che gli muovo Marini: «D'Alema - ha detto l'altra sera in una cena di partito il segretario del Ppi - con la scusa della guerra vuole confermare Scalfaro al Quirinale». Elecubrazioni e polemiche inter¬ ne che hanno ben poco a che veder con la guerra. Solo - ed e questo il punto - che per sposare una posizione del genere D'Alema dovrò giocare una punito diverso: anche se le minacce di uscire dal governo di Cossutta e Manconi sembrano scritte sull'acqua, il presidente del Consiglio d'ora in ovanti dovrà guardare più all'orientamento dell'intero Parlamento che non della sua maggioranza. Por chi non lo avesse ancora capito, siamo un paese in guerra. Augusto Minzof ini Telefonata di Clinton prima della diretta «Inaccettabili le proposte serbe» Intervento in sintonia con gli alleati ma che sconcerta la Quercia Il segretario dei Democratici di sinistra Walter Veltroni

Luoghi citati: Belgrado, Berlino, Grecia, Italia, Kosovo, Tortorella