Fini: discorso responsabile Bertinotti: un boomerang

Fini: discorso responsabile Bertinotti: un boomerang Fini: discorso responsabile Bertinotti: un boomerang ROMA. Un discorso «responsabile» per molti, da Veltroni a Fini passando per Mastella, ma non per chi si oppone alla guerra, dentro e fuori la maggioranza: «Parole sconcertanti, un boomerang clamoroso - attacca Fausto Bertinotti -. Credo che la comunicazione a reti unificate sia stata richiesta dal governo in un altro quadro, altrimenti non ha senso. Probabilmente D'Alema pensava a uno spiraglio, che poi non si è aperto per l'intransigenza degli Stati Uniti...». Un discorso che non accontenta i pacifisti di governo, che forse speravano in una presa di distanza nei confronti della Nato. Il leader dei Verdi Luigi Manconi parla di «impotenza» e dà peso più ai silenzi che alle parole del premier: «Con ciò che non ha detto - commenta D'Alema ha dovuto testimoniare un empasse drammatica rispetto agli sbocchi possibili». Imbarazzati soprattutto i Comunisti italiani di Armando Cossutta, gli ultimi a rilasciare un commento ufficiale sul D'Alema televisivo: «Il presidente del Consiglio chiede solidarietà - dice Cossutta quando ormai sono passate le dieci - ma non si può contare oltre sulla solidarietà, se ad essa non corrispondono atti concreti per la pace. Che finora sono mancati, anche da parte del governo italiano». «La politica - gli fa eco Marco Rizzo - deve venire prima dei generali». Parole dure. Meno concilianti di quelle pronunciate a caldo da Gianfranco Fini, che, dallo schermo di «Porta a Porta», si limita a ricordare al premier che la pulizia etnica non l'hanno inventata Milosevic e i suoi, ma i comunisti che mandarono nelle foibe «tanti italiani che vivevano in Istria e in Dalmazia». Meno dure di quelle che arrivano da Beppe Pisanu, il capogruppo di Forza Italia alla Camera, che invita al premier a rivolgere i suoi appelli alla maggioranza, perchè «l'opposizione ha già fatto anche troppo». Emozionato, nervoso, un po' impettito. Alle otto e mezzo di ieri sera, Massimo D'Alema è apparso così, dietro una scrivania di Palazzo Chigi. Nel primo messaggio alla nazione del suo mandato, il premier sembrava a disagio, in un'ingessata solennità smascherata dalle telecamere irriverenti di «Stri¬ scia la notizia», che subito dopo il collegamento a reti unificate lo mostreranno preoccupato di «non sprofondare» sulla «sedia floscia» impostagli dal cerimoniale. Quello di D'Alema è stato un intervento breve, volto a tranquillizzare un Paese che «non corre pericoli», a chiedere «la solidarietà di tutte le forze politiche, maggioranza e opposizione», a sostenere l'impegno dei militari e della protezione civile italiani che «per primi» si sono impegnati nel sostegno dei profughi, «in una missione che abbiamo chiamato Arcobaleno per dare un segno di speranza...». Ma alla fine, è stato chiaro che D'Alema hu usato la televisione soprattutto per ribadire la «necessità» della guerra, e per avvertire il Paese che «occorre essere forti, sereni e solidali», perchè le «ore difficili» continueranno, e «non è detto che il sereno ritorni domani». Il presidente del Consiglio haparlato per poco più di cinque minuti, scegliendo una li¬ nea ferma, destinata a non placare affatto le polemiche interne: «Vogliamo dirlo con chiarezza - ha detto -: c'è una condizione che consideriamo irrinunciabile, ed è che finisca la violenza inumana scatenata contro le popolazioni civili inermi del Kosovo». La guerra, ha insistito D'Alema, «non è cominciata la settimana scorsa». C'era già prima, «nelle notizie terribili che arrivavano dall'ex .Jugoslavia, nelle stragi, nelle violenze. Abbiamo dovuto persino imparare l'espres- sionc "pulizia etnica"... Tutto questo è inaccettabile. Abbiamo tentato di trovare una soluzione con il dialogo e con il negoziato. Non è stato possibile: Milosevic ha rifiutato di firmare un trattalo equo, che la comunità internazionale aveva condiviso e proposto...». D'Alema ha aperto e chiuso il suo discorso ribadendo che >'. 1 i italiani sono un «popolo che ama la pace», ha raccontato del colloquio telefonico con Rosa Russo Jervolino, che ieri era sul confine tra Kosovo e Macedonia: «E1 difficile trovare parole per raccontare tuttu l'orrore che il ministro degli Interni ha potuto vedere con i suoi occhi. Ma credo che abbiamo un motivo d'orgoglio: l'Italia è lì, dove arrivano migliaia di profughi disperati». Il premier, però, non hu fatto appelli per il cessate il fuoco: quello che si poteva fare, ha lasciato capire, è già stato fatto: «Abbiamo bussato a tutte le porte per arrivare a una sospensione dei combattimenti - ha spiegato per riprendere il negoziato. Per questo abbiamo seguito e seguiamo con attenzione il tentativo del primo ministro russo Primakov...». Le condizioni, però, sono chiare: Milosevic deve cedere per primo. Guido Tiborga

Luoghi citati: Dalmazia, Italia, Jugoslavia, Kosovo, Macedonia, Roma, Stati Uniti