«Vi chiedo di essere forti e solidali»

«Vi chiedo di essere forti e solidali» Esaltato il ponte umanitario attraverso rAdriatico: l'Italia è lì dove arrivano quei profughi disperati «Vi chiedo di essere forti e solidali» D'Alema in tv: purtroppo ci saranno ancora ore difficili LM ROMA m ABBIAMO chiamata missione Arcobaleno, dice il premier prendendo fiato. Sono le parole che introducono il peggio del suo messaggio alla nazione di ieri. E il peggio è questo: «Ci saranno ore difficili, non è detto che il sereno venga domani. Io perciò vi chiedo di essere forti, sereni e solidali: bisogna affrontare giornate nelle quali credo che il nostro Paese saprà mostrare le sue virtù». Il resto è un irrigidito fervorino sul popolo amante della pace, il nostro, che è molto preoccupato per un oggetto sempre meno misterioso: «Quella guerra che si svolge a poca distanza» da noi. Così ieri sera Massimo D'Alema, primo segretario generale di un partito ex comunista diventato capo del governo, si rivolgeva agli italiani in un discorso amaro, pronunciato con imbarazzata rigidità, per far capire ciò che non veniva detto esplicitamente: e cioè che l'Italia è in guerra, che il peggio deve venire, che ci aspettano giorni duri e amarissimi, ci aspettano con tutta probabilità perdite umane. Quando Massimo D'Alema stava per andare in onda, pochi minuti prima delle venti e trenta, seduto su una poltrona dallo schienale rosso e la bandiera europea che faceva sparire nell'inquadratura stretta la bandiera italiana, ha rinunciato a parlare con il cancelliere Schroeder che lo chiamava al telefono: «Ditegli che lo richiamo, a questo punto devo trasmettere il mio messaggio». Il messaggio che sarebbe durato sei minuti era stato programmato e incardinato su una speranza: che il primo ministro russo Primakov ce la facesse e che tornasse dall'ufficio di Milosevic con qualcosa in mano. Una speranza che, per la verità, fin dalla sera di lunedì aveva cominciato a cadere. E Primakov aveva tratto in inganno tutto il mondo occidentale dichiarando frettolosamente, prima di partire per la Germania, ieri pomeriggio, che «c'erano stati degli effetti del colloquio con Milosevic». Ed eranò le 18,30 di ieri. Poi si è visto che gli effetti erano soltanto chiacchiere: il presidente serbo era, bontà sua, pronto a un parziale ritiro dal Kosovo di là da venire e da verificare, se la Nato avesse sospeso le sue azioni militari immediatamente. D'Alema ha parlato direttamente con Primakov, ed erano le 19,30, un'ora prima del messaggio a reti unificate. Alle 8 meno 10, quaranta minuti prima del messaggio, ha parlato con Clinton, il quale confermava che non c'era stato alcun passo avanti, e che la guerra continuava e sarebbe continuata finché Milosevic non si fosse arreso ai diritti dell'umanità calpestati In Kosovo. Questa premessa al retroscena, al dietro le quinte prima che il discorso cominciasse, è necessaria per capire lo stato di profondo disagio di D'Alema: il collo incassato, le spalle curve, i pollici curiosamente all'insù, la manovra distraente dei fogli degli appunti che passavano uno dopo l'altro sotto il mucchio, sbirciati in modo appena furtivo, alcune smorfie del labbro, un disperato sospiro prima di «io voglio dirvi», un altro prima di ripetere per la seconda volta il sì di «Sì, da molti anni» noi vediamo, assistiamo alle stragi, alla pulizia etnica. C'era tutto il desiderio e tutta la capacità comunicativa di D'Alema di presentare l'operazione di polizia morale opposta alla pulizia etnica come una dolorosa e quasi indigeribile necessità, per un popolo e un Paese che «ha dovuto e deve fare la sua parte». La scelta dell'azione militare è stata naturalmente «dura» ed ha lo scopo di «spingere con la forza», una sorta di emetico, di medicinale amaro ma necessario da propinare al vicino geografico malato di incurabile crudeltà e disprezzo per le leggi internazionali e la decenza. Ma D'Alema ha voluto rassicurare gli italiani che se a tanto si è arrivati, dò è accaduto perché sono falliti tutti i negoziati. E qui notiamo una differenza di stile fra D'Alema che soffia e soffre dicendo con molte smorfie cantilenanti quanto «abbiamo cercato e stiamo cercando una soluzione non affidata alle armi per arrivare a una sospensione» dell'azione militare; e i modi tristi e tuttavia spicciativi con cui Bill Clinton parla ai suoi, annuendo con compunzione ma avvertendo che il cattivo sta avendo il fatto suo perché lo merita e seguiterà a riceverlo finché non griderà basta. D'Alema è stato tutto sommato bravo: sapeva di parlare a un popolo che in parte rifiuta la propria identità e che è in larga parte sensibile a un pacifismo un po' cattolico, un po' comunista, un bel po' antiamericano, e che sconfina tendenzialmente volentieri nell'immobilismo e che considererebbe alleile lo sbarco in Normandia del soldato Ryan una violenza da evitare e da subordinare al dialogo e a un dibattito su Auschwitz, dove la soluzione finale per la via del camino fu sicuramente accelerata daU'awidnarsi dei liberatori. Il presidente del Consiglio ha usato il racconto die gli aveva fatto po¬ co prima Rosa Russo Jervolino di ritorno dalla frontiera tra Albania e Kosovo, con misura e ricorrendo a un efficace espediente: rinunciando a raccontare, ma mostrando un sentimento di orrore indicibile. E ha usato bene il piiniato nei soccorsi su quella frontiera, sperando (li far digerire agli italiani una guerra guerreggiata esaltando un aspetto collaterale e importante, come il soccorso umanitario: l'operazione Arcobaleno dovrebbe annunciare die la tempesta è finita e che le ac- que del male cominciano a ritirarsi sulla terra intrisa di sangue, ma D'Alema sa die non è cosi. Sa che la terra è ancora assetata di sangue innocente e udrà ancora piangere i bambini in braccio a vecchi e donne, mentre padri e fratelli sono nel capace ventre delle fosse comuni. «Siamo un popolo che ama la pace, la vita e i diritti umani» ha ripetuto più volle il premier, sapendo che il suo pubblico questo vuole sentùe, per poter sopportare «l'azione militare», eufemismo che si usa per non dire guerra. Poi D'Alema ha chiesto l'aiuto del suo popolo e ha finito il discorso con una reazione fisica del suo corpo che si è inarcato come quello di un condannato, la schiena contro lo schienale, uno sguardo quasi disperalo verso destra, le lunghe dita rigide, liberato da un peso e disperalo allo stesso tempo Paolo Guzzanti fi fi Non voglio dirvi cosa mi ha raccontato al telefono il ministro Rosa Russo fervolino: è difficile spiegare l'orrore che ha potuto vedere oggi con i suoi occhi Il governo conta sulla solidarietà della maggioranza e dell'opposizione e sul sostegno del Paese ■■ L'Italia farà fronte alle sue responsabilità per la difesa della pace e dei diritti umani nel Kosovo Faremo quanto ci è richiesto per affermare questi valori (ìli italiani possono contare sulgoverno ■■ Il presidente del Consiglio Massimo D'Alema durante il suo appello in tv a reti unificate A sinistra, il ministro dell'Interno Jervolino e il leader serbo Milosevic

Luoghi citati: Albania, Germania, Italia, Kosovo, Roma