Khatami: o me o il Bordeaux di Enrico Benedetto

Khatami: o me o il Bordeaux I francesi rifiutano un banchetto ufficiale senza vino in tavola Khatami: o me o il Bordeaux // leader iraniano non va a Parigi PARIGI DAL NOSTRO CORRISPONDENTE Guerra a sorpresa tra Parigi e Teheran. Gli iraniani si dicono aggrediti. Ma con armi improprio: Hordeaux, Champagne, Bourgogne. La Francia ha insistito affinché i suoi grandi eros figurassero nella colazione ufficiale all'Eliseo per Mohammad Kliatarni, in programma il 12 aprile. Se il leader iraniano è astemio causa motivi religiosi, argomentava il protocollo cu Parigi, basterà die non libi il peccaminoso nettare. Ma Teheran domanda che il vino sparisca da tavola. Obbligando quindi alla virtù islamica anche i padroni di casa. Parigi l'ha presa male. In Francia il vino è una religione tricolore: rosso, bianco, rosé. Dunque, non si tocca. Al massimo, gli iraniani potevano sperare in bicchieri opachi. VA era già una significativa concessione: i sommelier eccepirebbero che schermando la vista si uccide il piacere, l'ero il compromesso tallisce naufragando sull'intransigenza dei visitatori. E Teheran annuncia che, per il momento, Khatami non arriverà. I francesi non se l'aspettavano. Doveva essere la prima visita a Parigi di un «numero uno» dopo la Rivoluzione islamica. All'odi; business, disgelo politico e. diplomazia. Il Quai d'Orsay ci lavorava da mesi. E Corse oggi rimpiange l'escalation enologica, In fondo, per una volta l'Italia suggeriva il buon esempio. Oliando Khatami venne a Roma poche settimane fa, la Farnesina scelse il profilo basso in materia enogastronomica. Menù vegetariano. E acqua minerale per i commensali, lasciando in fresco il barolo nell'attesa che qualche vip meno virtuoso lo apprezzasse «cornine il faut». Nondimeno, Parigi ha ragione. Se il principio che Teheran invoca e non contrariare Khatami conformandosi alle sue abitudini o credenze, la Francia potrebbe esigere una salomonica reciprocità. Ma quando i ministri francesi sbarcano sulle terre del khomeinismo, l'unico brindisi permesso è analcolico. Si rileva inoltre che nelle reception ufficiali per la famiglia saudita il vino circola senza turbare i diplomatici arabi. Terza riflessione difensiva: Parigi era persuasa che il nuovo corso non cercasse lo scontro provocando la Francia sul «made in France» per eccellenza che da Rabelais in poi e una gloria nazionale come, anzi più del Camembert. Ma non focalizziamoci, ana¬ lizzando lo smacco, esclusivamente sul vino. In definitiva, funge da alibi per un'impasse meno facile da spiegare. Teheran è apprensiva. Il caso italiano le ha insegnato che un Saiman Rushdie (lo scrittore viene spesso a Parigi) può avvelenare il dialogo con la sua presenza sul territorio nazionale. Infine, il rischio di manifestazioni ostili. L'establishment khomeinista si direbbe tema più le uova marce che Bacco. E tuttavia non l'ammetterà mai. Sposando questa interpretazione il capo dei «mujaheddin», Massud Rajavi, sostiene che oggi Teheran si muove sulla difensiva. E altri oppositori ne condividono l'analisi. Il «ritorno dell'integrismo» in chiave protocollare nasconderebbe cioè una debolezza endemica. Entrambe le capitali vogliono tuttavia disinnescare l'inedita crisi moltiplicando i segnali di apertura. Per la Francia, arenarsi nelle relazioni con l'Iran mentre Roma procede aggirando lo scoglio, fa male. Si attende quindi con impazienza un nuovo calendario per il rendez-vous e soprattutto la formula magica sul contenzioso bevande. Una soluzione, invero, ci sarebbe: rinunciare al banchetto. Ma la coreografia ne patirebbe. Donde un imperdonabile crimine di lesa grandeur. Enrico Benedetto Ma forse la disputa nasconde il timore di contestazioni Il presidente iraniano Mohammed Khatami

Persone citate: Bacco, Khatami, Massud Rajavi, Mohammed Khatami, Rabelais, Rushdie