Milosevic: non ci faremo mai asservire

Milosevic: non ci faremo mai asservire I nuovi raid non piegano Belgrado, divieto di lasciare il Paese per gli uomini abili alle armi Milosevic: non ci faremo mai asservire Ignorata la delegazione russa: è la feccia di Mosca BELGRADO DAL NOSTRO INVIATO A qualche centinaio di chilometri di distanza si muore e si fugge, ma qui nel cuore della capitale la guerra è happening. Passione patriottica in una Woodstock balcanica sulla piazza della Repubblica, con gli stessi giovani che tempo fa dimostravano contro Milosevic, adesso riuniti in concerto rock anti-Nato, ma soprattutto anti-americano. Grappoli umani pericolosamente in cima al monumento equestre di fine '800 al principe Obrenovic, eroe nazionale che indica col braccio i territori allora non ancora liberati dai turchi: quelli su cui oggi si sparge il sangue. Nessun sostegno a Milosevic, ma rabbia, derisione, contro Nato e Stati Uniti. Molti sfoggiano adesivi a indicare che sono essi stessi obiettivi come in un tiro a segno. Nei dintorni, vetrine infrante del centro culturale americano, di quello francese, di Air France. Un grande lenzuolo a terra davanti agli uffici americani sfoggia i cerchi del tiro a segno con la scritta: «Belgrado, ecco l'obiettivo». Nelle ore centrali della giornata, prima che arrivi l'oscuramento e diventi impossibile muoversi, l'atmosfera ò paradossalmente di festa in una città in guerra, proprio perché si sa che gli attacchi colpiscono altrove. Ciò, malgrado solo alle sette di ieri mattina sia risuonato il segnale di cessato allarme, iniziatosi alle 22 di domenica. L'abbattimento del caccia invisibile galvanizza una popolazione a cui radio e Tv danno selezionate notizie e immagini di distruzioni a Pristina e in altre località. 1 segnali di crisi ci sono. Lunghissime code fuori dei pochi chioschi che hanno ancora sigarette, rampogne televisive contro gli accaparramenti di qualsiasi genere, notizie di arresti e chiusura di negozi per rincari di prezzi. I pochi taxi in cir- colazione con carburante a borsa nera esigono tariffe d'oro. Nessuno abile alle anni può uscire dal paese. Al comando dell'armata, il generale Spassoje Smilianic, comandante dell'aviazione e della difesa aerea, in una conferenza stampa dà un quadro della situazione: la Nato ha lanciato 500 missili, alcuni dei quali, afferma, hanno colpito ospedali e asili. Perdite «minime» malgrado questo mostruoso attacco: «sette morti e e 17 feriti». Ma ingenti perdite materiali: «Ammontano a circa 300 milioni di dollari, che qualcuno dovrà pagare», perdite inflitte agli attaccanti: «Sette aerei, il caccia F-l 17 (quello invisibile), tre elicotteri, 30 missili da crociera, 3 aerei da ricognizione telepilotati». Morale dell'armata saldo e forte: «Si nasce e si muore una sola volta, entreremo nella storia con onore». Se non fosse per l'ululare delle sirene, ricominciato ieri sera tardi dopo una giornata di calma, un senso di surreale baldanza e sicurezza sembra pervadere la Belgrado politica e militare, con tutto il rispetto per il senso del dovere dell'esercito. Le gloriose memorie della lotta partigiana fanno volutamente ignorare il senso di isolamento. Oggi arriva il premier russo Primakov, sulla cui missione si appuntano speranze soprattutto da parte europea. Ma Belgrado non enfatizza la visita, che agli occhi europei è una sorta di ultima chance, e tratta letteralmente a pesci in faccia una delegazione russa di partiti democratici, rimandandola via senza degnarla di incontri ufficiali, senza un minimo di cortesia verso l'ex primo ministro Egor Gajdar, l'ex vicepremier Boris Nemtsov e altri ex-ministri che ne fanno parte. Milosevic si è rifiutato di incontrarli e non sono stati ricevuti da alcun esponente di governo federale o serbo. In un colloquio telefonico con il presidente bielorusso Lukashenko, il leader serbo ha detto: «Un popolo che lotta coraggiosamente per la propria libertà e dignità non può essere asservito». La delegazione russa a Belgrado è stata definita dai media di Stato come «feccia» del mondo politico moscovita «ed è qui alla vana ricerca di traditori». Giunto in auto con grande difficoltà da Budapest domenica pomeriggio, il gruppo ha incontrato nella stessa sera il vice premier Vuk Draskovic, l'esponente dell'opposizione entrato mesi fa nel governo di coalizione, e che sta cercando di mandare segnali diplomatici purché cessino gli attacchi. Ma la sua voce è ignorata dai media serbi, e l'incontro e stato di carattere privato, come i colloqui avuti con altri esponenti di settori e gruppi democratici. La delegazione russa ò stata ricevuta dal patriarca Pavle, che ha dato un messaggio per il Papa. Per tutto il pomeriggio, sperduti nel bar e nella hall dell'albergo, i russi hanno invano atteso l'udienza da Milosevic, ripartendo poi con un minibus per Budapest. Oggi sono a Roma, dal papa e da D'Alema, per andare domani a Bruxelles da Solana. «Belgrado è totalmente isolata da giorni - dicono sconsolati Gajdar e Nemtsov prima di partire - Primakov viene per qualche spiraglio che abbiamo aperto, ma il problema è che qui, in questo paese, comanda una sola persona». Fernando Mozzetti Nella capitale passióne patriottica in una Woodstock balcanica La folla nelle strade di Belgrado orgoglio patriottico al suono delle sirene che annunciano i raid