LA RIVINCITA DEL CREMLINO DOPO LO SCHIAFFO DI GORE

LA RIVINCITA DEL CREMLINO DOPO LO SCHIAFFO DI GORE IL MEDIATORE-ALLEATO LA RIVINCITA DEL CREMLINO DOPO LO SCHIAFFO DI GORE SE Primakov va a Belgrado significa che sa di trovarvi, come minimo, uno spiraglio. Questa è la prima considerazione da fare. Insieme alla seconda: Primakov è divenuto premier perché la Russia - da Eltsin all ultimo deputato della Duma - ha visto in lui una specie di «ultima spiaggia», di compromesso disperato. Adesso la storia si ripete su scala internazionale. Tutti i protagonisti di questa tragica impasse, la Nato da un lato, Milosevic dall'altro, hanno bisogno di lui, della Russia, per trarsi d'impaccio. Paradossale e ironico: tutti gli occhi d'Europa e d'America sono oggi puntati sulla Russia di Primakov, sette giorni dopo la telefonata-schiaffo di Al Gore che lo costringeva a fare una spettacolare virata di 180 gradi sull'Atlantico. E qui è la dimostrazione inconfutabile di un errore, americano in primo luogo: non si poteva pensarci prima? Può darsi che Primakov non riesca a cavare il ragno dal buco, ma ha già vinto prima di partire. Per questo, anche, è partito. Quasi tutti gli europei guardano adesso a questa sua missione con malcelata speranza. Sappiamo che, in qualche caso, c'è stata una sotterranea benedizione e un cauto incoraggiamento occidentale. Ma la «sotterraneità» e la «cautela» dicono che l'America di Clinton è di altro avviso. Al punto che gli alleati debbono temere le sue reazioni. Washington è parsa oscillare tra linea dura a oltranza e appoggio verbale alla missione mediatrice. A parole accolta con qualche favore ieri, ma smentita dal singolare comportamento verso un'altra «missione», quella dei tre moschettieri «riformatori» russi Boris Nemtsov, Egor Gaidar, Boris Fiodorov. Non si era mai visto il caso di una missione così «privata», così improvvisata, che trova immediato appoggio da parte del maggiore dei belligeranti. E' possibile che Washington non sapesse che i tre non avevano - come ha detto ieri l'irritato Igor Ivanov, ministro degli Estori russo - «né poteri, né istruzioni, né da parte del Presidente, né da parte del governo»? Eppure è bastato che i tre partissero per far muovere verso Budapest, non casuale luogo d'incontro, niente meno che il mediatore per eccellenza, Holbrook. «Strano incontro» ha ironizzato ancora Ivanov. Ora non restano che poche ipotesi per spiegare un tale atteggiamento. La prima è che in questa fase le relazioni tra le due capitali ex nemiche della guerra fredda siano scese a un tale, infimo livello, da far sì che Washington non sapesse nulla dell'iniziativa di Mosca. Che il livello dei rapporti sia infimo non c'è dubbio. Però che Washington fosse all'oscuro è da escludere, se non altro per ragioni «elettroniche», cioè perché non è nemmeno pensabile che le comunicazioni Mosca-Belgrado non siano sorvegliate in permanenza. Rimane dunque il sospetto che tanta attenzione per i tre «nessuno» fosse un altro tentativo di schiaffo nei confronti di Primakov. Preventivo, questa volta. Quanto lungimirante lo diranno le prossime ore. Né sembra valere il linkage tra missione a Belgrado e concessione a Mosca del prestito di 4,8 miliardi di dollari, confermato ieri da Camdessus: la prima vista come condizione per ricevere il secondo. Il default eventuale della Russia, infatti, non conviene in primo luogo all'America che, evitandolo, fa un regalo a se stessa. Resta da chiedersi da dove Primakov comincerà a discutere con Milosevic e quali argomenti, pressioni e concessioni egli abbia nella sua borsa. Alla prima domanda credo non sia difficile rispondere: si ripartirà dal terreno che permise di convocare Rambouillet, anche perché la Russia vi contribuì e non pare disposta a rinnegarlo. Un terreno che, opportunamente modificato, può offrire a Milosevic una via d'uscita onorevole, e alla Nato l'occasione - attesa ormai con ansia dagli europei - per fermare i bombardamenti. Per quanto concerne le pressioni, Mosca non ha nessuna possibiltà di farne. Ma ha un forte argomento, che Milosevic può apprezzare: la fine definitiva della Jugoslavia e lo specchio in cui la Russia vede se stessa. Aiutare Belgrado a salvarsene significa, per la Russia, salvare se stessa. Mosca è così un mediatore sui generis, un mediatore-alleato. Milosevic si può dunque fidare e, per questo, può concedere. Infine le concessioni: si guardi alla delegazione che accompagna Primakov e Ivanov. C'è Igor Sergeev, ministro della Difesa, e ci sono i capi dei servizi segreti e di controspionaggio. Nel pacchetto c'è dunque, per Belgrado, anche qualcosa di importante per difendersi. Giuliette Chiesa