«La Francia lavora per la pace» di Enrico Benedetto

«La Francia lavora per la pace» «La Francia lavora per la pace» Chirac: tregua se si ferma la repressione PARIGI DAL NOSTRO CORRISPONDEN IE Chirac accusa Milosevic di «barbarie», «assassinii» e «massacri» attribuendogli «200 mila vittime» nell'ex Jugoslavia da (piando Lubiana abbandono Belgrado, ma difende la «soluzione diplomati ca» promettendo fra le righe una tregua occidentale qualora la Serbia «formi la 1 epressione». Nel suo primo discorso televisivo dopo l'offensiva euroamericana, 1 Eliseo voleva rassicurare una francia ove l'inquietudine dilaga e gli stessi militari (a partire dal gen. Morillon) ormai criticano la strategia Usa per invocare «truppe e non solo aerei». Appari /.ione breve, nonché tono dimesso. Jacques Chirac tiene alla pedagogia della nazione, e non voleva un approccio troppo magnilo quente l'allarmasse oltremisura. Ma le parole sono, comunque, ferme. Spiega che il dispositivo in corso richiederà «tempo e determinazione». Si dice ^preoccupato, come ciascuno di noi», ma rivendica il «ricorso alla forza». La j'rancia «ricerca insieme ai partner europei, americani, russi» uno «sbocco non militare» cui l'intransigenza serba non sembrerebbe tuttavia lasciare, per ora, alternative. E Chirac si guarda bene dall'evidenziare la «pista russa», malgrado le quotidiane telefonate con Primakov più l'impegno che la diplomazia transalpina profonde in direzione Mosca. Un doppio messaggio, in somma. Senza temere la contraddizione, l'Eliseo è allarmista sulla guerra denunciando con grande vigore i crimini serbi, ma speranzoso versili la pace. E personalizza la crisi. Il suo è un attacco frontale a Slobodan Milosevic. «L'Europa non può convivere insieme all'uomo che da 10 anni pratica l'epurazione etnica». Citerà il Kosovo, beninteso, ma anche - rievocando le stragi - una Slovenia la cui secessione pure fu relativamente indolore. Il bilancio globale, lo fornisce senza esitazioni. «Duecentomila cadaveri, e profughi a milioni». La centenaria tradizioni; filoserba di Parigi tramonta in un durissimo «l'accuse». Washington apprezzerà. «Ora basta» dice Chirac. Condannando senza remissione «pratiche di un'altra epoca» e il «barbaro ingranaggio» attraverso cui Belgrado reprime i civili kosovari, l'Eliseo proclama che «bisogna sottrarre; al regime i mezzi» per gli eccidi. Non entrerà nei dettagli. Evita di spiegare se, dopo quasi una settimana, la stratsgia Clinton-Solana paga. Ma gli preme che Parigi non segua acriticamente i modelli altrui. «La Francia lavora senza posa alla pace». Come, non lo preciserà. Ne fissa tuttavia le indispensabili condizioni. «Occorre che Milosevic accetti le regole morali ed umane su cui poggiano le democrazie odierne». Gli chiede, infine, d'interrompere la campagna repressiva in Kosovo. «Tocca a lui» conclude. Ma pur citando i «gesti necessari» li lascia nel vago. Finora a Belgrado si chiedevu di sottoscrivere il piano che già reca la firma albanese. Ma Parigi non lo menziona. Si evince che la Francia suggerisca quale condizione per un eventuale armistizio un semplice disimpegno serbo nella guerra civile. In tal caso, ci troveremmo di¬ nanzi a un cedimento significativo. Ma forse è involontario. Parigi guarda con orrore alle uccisioni generalizzate. Neutralizzarle diviene quindi l'imperativo cui subordinare principi e tattiche. Nondimeno, Chirac ribadisce l'«obiettivo» iniziale euro-Usa. Limitando a Slobodan Milosevic la «capacità di nuocere», l'Alleanza segue un cammino ragionevole benché non ancora fruttuoso. E il dramma umanitario? Chirac propone ai partner di affrontarlo «assieme», con iniziative «ampie» che «allevino la sofferenza». Chiuderà preannunciando un suo prossimo ritorno televisivo, giustificandosi: «la situazione muta ogni giorno». La Francia, che vive con il tv acceso, lo sa fin troppo bene. Enrico Benedetto