Fate tacere i poeti di Mario Baudino
Fate tacere i poeti Da Andrea Chénier a Rushdie bersaglio dei totalitarismi Fate tacere i poeti FORSE non leggeremo mai tutti i versi di Din Mehmeti, poeta di lingua albanese assassinato ieri a Pristina dalla polizia serba neba grande mattanza del Kosovo. Il «Centro di crisi», dice che era un poeta famoso e molto amato dalla sua gente. C'è da crederci, anche perché lo stesso gesto dei suoi aguzzini ne è una conferma: ammazzando un poeta, soprattutto in aree di scarsa alfabetizzazione o comunque dove la cultura orale è molto viva, si colpisce un linguaggio, un sogno di futuro, un popolo. Nel quadro fosco della «pulizia etnica» nei Balcani l'uccisione di uno scrittore può sembrare un assassinio come troppi altri, ma la storia deba modernità dice che non è così. Le rivoluzioni divorano i poeti. E anche i regimi totabtari, repressivi, le utopie di morte divorano i poeti. Ne riconoscono l'importanza. Li prendono talmente sul serio che b uccidono. Accade daha «grande rivoluzione» (queba francese) in poi. An- drea Chénier, che per alcuni è solo il protagonista di un'opera lirica, sali suba ghigbottina nel 1794, due giorni prima deba caduta di Robespierre. Aveva denunciato le atrocità del Terrore. Ed è U capostipite d'una grande famiglia assassinata dai poteri «moderni», che arriva fino a Garda Lorca, fucilato dai franchisti nel 1936, in piena guerra curile spagnola, e ai poeti della speranza bolscevica finiti suicidi (come Majakovskij) o in un gulag staliniano, a morire chi di stenti come Mandelstam chi fucilato come Babel'. Il potere non sparava nel mucchio: tra i molti oppositori pobtici e le vittime innocenti, sapeva di dover eliminare anche i custodi della lingua. Non c'è dittatore che non ne abbia almeno uno sulla coscienza, né una rivolli- zione che non si sia macchiata di questo crimine. A parte la condanna a morte (emessa ma speriamo non eseguibile) contro Saiman Rushdie, che è romanziere e non poeta, e neppure iraniano, gb ayatollah non sono andati per ù sottile con gb i n tei leu u a li laici. Si è appena spenta l'eco di una serie di uccisioni a Teheran, alla Ime dell'anno scorso, commesse dai pasdaran super-integralisti agitando lo slogan «taglieremo le lingue e le gole»: fra gli strangolati Mohammed Moktari, ma il numero degb scrittori eliminati è alto. Si è invece del tutto spenta, e sarebbe il caso cb riaccederla, un'altra eco che viene dalla Nigeria. Là il regime militare impiccò nel '95 Ken Saro-Wiwa, che dbendeva la sua gente, gli Ogoni, e ne era U cantore, il poeta. E un poco più a Est il congolese (di Brazzavihel Sony Labu Tansi (tradotto in Itaba per Einaudi) si è lasciato morire, per protesta contro il regime, in modo atroce, contraendo volontariamente l'Aids. L'elenco potrebbe allungarsi ancora. Ma non deve far pensare che il poeta-martire sia tipico del Terzo Mondo o di situazioni comunque arretrate. Certo, è difficile immaginare che un occidentale in vena di golpismo abbia tra i suoi bersagi immediati gli scrittori. Ma è vero che nella «rivoluzione cb velluto» contro il totalitarismo comunista furono scrittori e poeti a emergere tra i nuovi leader, dai Paesi Baltici alla (abora) Cecoslovacchia. Ed è altrettanto vero che i generab cileni di Pinochet, dopo il golpe del '73, assassinarono il cantautore e poeta Victor Jara dopo avergli tagliato le mani. «I poeti sono i non riconosciuti legislatori del mondo», scrisse all'inizio dell'800 un grande romantico come P. B .Shelley. I dismeantati intebettuali d'Occidente non nascondono un certo scetticismo verso un'affermazione cosi esplicita. Dittatori e tagliagole, invece, tendono a prenderla alla lettera. Mario Baudino Le dittature prendono sul serio l'affermazione che sono loro i veri legislatori del mondo
Luoghi citati: Cecoslovacchia, Kosovo, Nigeria, Teheran
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