«Era tutto un rogo, siamo scappati»

«Era tutto un rogo, siamo scappati» REPORTAGE TRAI IN «Era tutto un rogo, siamo scappati» «Chiediamo solo che ci lascino seppellire i morti» LAg-OYWSAC (Albania) DAL NÒSTRO INVIATO Il camion spunta dal buio, dietro a una curva. E' mi piccolo decrepito Tarn cecoslovacco, un tempo, forse, verde. Procede lento e incerto su mia strada che pare una mulattiera ma che per questa gente rappresenta la via della speranza, primo di un convogho di quindici, più quattro auto senza targa. Nella cabina, oltre al guidatore, siedono tre donne, la più anziana col velo bianco sul capo; nel pianale altri 19, ancora donne, e bambini, e uomini dall'età indefinibile. Seduti o accucciati, tentano di dormire. Quando mi arrampico in mezzo a loro non un lamento, una protesta: chi ha camminato per un giorno intero o ha visto la morte girarsi dall'altra parte all'ultimo momento non ha voglia di contestare, non ha voglia di niente. E poi, il viaggio da Kukes a Durazzo a questa gente non sembra un sacrificio. L'avanguardia del popolo esule pare una piccola cosa, ma lassù, alla porta Nord-Est d'Albania, c'è un oceano in .movimento, e oltre l'orizzonte segnato dalla sbarra del confuie quell'oceano è ancora più vasto. La mezzanotte è passata da tempo ma il cielo rimane di pece e gb occhietti di Sinan Pulkaj ti guardano curiosi. Lui è un visetto rotondo con le efeudi, incorniciato in una frangetta lunga sulla fronte. Ha 11 anni. Siede accanto aUa madre, Hysnja, e al fratello Argjento, tredicenne. Nel gruppo degb uomini c'è il padre. Come si fa a chiedere di ricordare a un bambino di 11 anni? Ma lui è uno che dà l'impressione di aver capito che la vita va presa di petto: «Ho un altro fratello, Léonard, di 18 anni, che sta in Italia da un mese». E sorride. «E un altro di 16, rimasto in Kosovo», dice, e il sorriso si spegne. «Casa nostra è a Studenchan ma noi eravamo andati via sette giorni fa perché una bomba aveva colpito casa. Siamo andati dai turchi, là, a Mannutsh, poi sono arrivati loro, gb "shka", i serbi, e hanno sparato per quattro giorni. Noi eravamo nelle cantine, e poi siamo usciti». Lui non lo racconta che i serbi, quelli col viso nascosto dal passamontagna, hanno ucciso un ragazzo di 22 anni, appena lo hanno scorto sulla soglia di casa. Lo dice sua madre. Sinan sorride. Lo sai cos'è successo? «Sì, lo so». E ora, che cosa ti manca? «Niente». Ma non è vero E' strano come la gente ti si stringa attorno. Ti guardano, ti sorridono, le donne con dolcezza e con amicizia i loro uomini che hanno volti scavati sui quali non riesci mai a leggere l'età. Ti raccontano le loro storie e sono tenibili. Hamz Kapash ha 48 anni, viene da Rahojez, dove lavorava in una fabbrica di composti diimici. Sette mesi fa il villaggio è stato trasformato in un rogo, loro son rimasti, ma la settimana scorsa han dovuto cedere: «Siamo scappati con mia moglie e i tre fìgh. Io verso il bosco, loro dall'altra parte, per non farci prendere. Non li ho più visti. So soltanto che lei è tornata dove c'era la nostra casa e qualcuno l'ha riconosciuta. Ma poi è scomparsa un'altra volta e io son disperato». Murati Kapash è suo fratello e di anni ne ha 55. «Ho la famigli a in Austria, come faccio ad andarci?». «Anch'io ho un figlio, in Austria», fa eco Rrexhep Kapaci, avvocato. «Chissà, se lo rivedrò». Dopo le forche caudine della frontiera, dove i serbi ti tolgono tutto, compresa l'identità, c'è questo lungo viaggio finalmente tranquillo, perché nessuno cerca di colpirti alle spalle. Si fa tappa al punto di smistamento di Mamiiias, dove opera un'equipe albanese di medici senza frontiere. Quando il convoglio si arresta a fianco della scuola trasformata in dormitorio, sono le 7. C'è bisogno di tutto, dice il dottor Beqir Gelaj, 35 anni: • «Aspirine, antibiotici, bende, insomma di tutto». Alle 13 si erano fatti visitare in 20, a sera il doppio. «Ma aspettiamo una colonna con 500 persone e un'altra con 1000». Per fortuna, la situazione sembra buona, c'è chi come Fidan Kabshi, che ha 16 anni ed è piombato da un dirupo per scivolar via dalle unghie serbe e si è ferito ad una gamba: ha la caviglia destra fasciata rigidamente. Volto magro, capelli biondi, l'espressione triste, perché alla sua età certe cose ti piagano l'animo e non hai più voglia di giocare come fanno Sinan e gli altri bimbi, felici di scalare un grande e inutile bunker, come un fungo sorto dietro alla scuoia negli anni bui di Enver Hoxha. Noi, racconta Fidan Kabasbi, «siamo scappati sette mesi fa perché avevano bruciato tutto, 11 a Rauvetz». Lui parla e il padre, Fetali, 51 anni ma gbene daresti venti di più, sembra appoggiarsi a quel figlio. Anche loro son finiti nel villaggio turco, han passato giorni sotto terra. E poi l'arrivo dei serbi. «Credevamo a un macello, io son scappato. Eccoci qua». Fidan, che cosa vorresti chiedere? «Che almeno ci lasciassero seppellire i nostri morti». A Kukes le strade sono affollate come per la fiera. Ogni esule si porta dietro i suoi ricordi strazianti e ! labi Kelmendi, 38 anni, insegnante n Metregja, racconta come i serbi puntassero i mitra a tutti: «0 paghi, o muori». Ha visto quelli del suo villaggio dare tutto quello che avevano. Ma ha visto anche un'altra cosa, lassù: «Mia moglie e i miei figli, ammazzati in casa, da una bomba serba». Nessuno, ormai, conta più quelli che arrivano e dicono che siano già 80-90 mila, e questa città di 12 mila abitanti pare scoppiare: anche se i serbi aprono lo frontiera a singhiozzo, son molto più numerosi quelli che arrivano di quelli penati nei campi di raccolta di Tirana, Kruja, Shkozer e Durazzo. E poi, ci sono quelli dell'Uck, quelli dell'Esercito di liberazione nazionale kosovara, a farti sentir male con quel manifesto incollato sui muri delle case: «Questa fuga è una grande disgrazia. Dimostrate di amare la vostra patria e il vostro Paese e tornato nel Kosovo». All'Albania loro chiedono di «non incentivare il flusso al di là dell aiuto che state offrendo». E aggiungono: «Fratelli che avete accompagnato le famighe fuori dal confine, avete commesso un gra¬ ve errore nazionale La Serbia sta cosi realizzando il suo sogno. Dovete tornane al più presto possibile nella vostra terra e arruolatevi neU'Uck. Ogni albanese capace di portare le anni, ma che abbandona il Kosovo, compie un tradimento verso la nazione per il quale non può esserci nessuna giustificazione». Ma nessuno avrebbe voluto abbandonare la proprio casa e quando gliel'ho chiesto, il bimbo Sinan Polka] ha detto: «Quello che vorrei di più è tornare a casa». A Durazzo, nel suo ufficio il prefetto Martin Cukalla ha tracciato su cinque fogli il disegno dell'organizzazione di soccorso e ostenta sicurezza perché, sostiene, «per fronteggiare la difficile situazione croata per i nostri fratelli kosovari, lo Stato ha mobilitato tutto l'apparato e c'è grande disponibilità anche da parte dei cittadini». Poi, ironico: «Quando penso che in Italia, per 20 mila albanesi, è scoppiato mi casino, bè! noi possiamo ospitare 15 mila persone senza problemi». E invece non è così, i problemi ci sono e sono grandi. Perché l'onda anomala dei disperati nessuno sa quanto sia vasta, e poi c'ò bisogno di tutto, a cominciare dalle tende, almeno 20 mila, e razioni di cibo. Per il momento hanno calcolato che si riuscirebbe a sfamare 100 nula persone per un muse: ma alla lunga il meccanismo potrebbe rompersi. Patrizio Ciu, presidente dalla fondazione Skanderbeg, ora si chiede: «L'Europa e l'Italia si dichiarano pronte c preparate a ricevere migliaia di profughi, ma dove sono finiti i progetti di emergenza in Albania? Non erano stati spesi fondi per la prevenzione degb eventi di questo scontro bellico, programmando una vera struttura assistenziale in questo Paese?». Si vive col fiato sospeso, insomma, perché questa non è un'invasione, è l'esodo di un popolo deportato. Dal Kosovo cercano di fuggire, dappertutto, anche dui Montenegro, dove ieri, a Mani i Hot i son passati in dieci. «Ma di là aspettano in 2000». Vincenzo Tessandorl Ecco l'avanguardia del popolo esule. E un manifesto dell'Uck: «Questa ruga è una grande disgrazia. Ogni albanese capace di portare le armi ma che abbandona il Kosovo compie un tradimento» Un gruppo di profughi fugge da villaggi del Kosovo attaccati dal serbi

Persone citate: Enver Hoxha, Kukes, Martin Cukalla, Patrizio Ciu, Sinan Polka, Sinan Pulkaj, Vincenzo Tessandorl