COME AI TEMPI DI TITO di Enzo Bettiza

COME AI TEMPI DI TITO COME AI TEMPI DI TITO L<j ARRIVO improvviso di Primakov a Belgrado non può non evocare, in chi abbia un minimo di memoria, fantasmi e situazioni di un'epoca ormai remota. Come non ricordare i tempi in cui certe acute crisi intercontinentali ed europee spingevano prima Kruscev, poi Breznev, a sbarcare precipitosamente a Belgrado o all'isola di Brunii per incontrarvi il maresciallo Tito? Come non tornare col pensiero al contenzioso cino-sovietico degli Anni 50 e G0, al dramma cecoslovacco del 19G8? Allora i capi supremi dell'Urss e del Pois usavano recarsi a consulto dal grande eretico riabilitato, il vecchio kominternista che aveva sfidato e resistito a Stalin, il saggio capofila dei «non allineati» che sapeva trarre vantaggi politici e premi economici dalle sue oscillazioni acrobatiche tra Oriente comunista e Occidente capitalista. L'incontro fra i due massimi esponenti del postcomunismo europeo, il poslcomunista ruggente Milosevic e il postcomunista vellutato Primakov, sembra stagliarsi in effetti su uno sfondo non molto dissimile da quello che vedeva Tito abbracciato da Kmscev o da Breznev. Ma la similitudine comincia e finisce qui: nell'abbraccio fra due ex comunisti slavi, nel loro sorriso, nella loro stretta di mano. Per il resto, lo scenario ó radicalmente mutato. Non c'è più il muro di Berlino, anche se se ne percepiscono le rovine spettrali dietro le sagome dialoganti del presidente belgradese e del primo ministro moscovita. La Russia amputata territorialmente, sconquassata economicamente, declassata internazionalmente, non è che la pallida ombra della muscolosa e aggressiva Unione Sovietica. La piccola Jugoslavia di Milosevic non rappresenta che un terzo della grande Jugoslavia di Tito: perdi più un terzo destabilizzato dalle guerre perdute in Croazia e in Bosnia, dalla guerra in corso con la Nato, dallo scontro militare con i partigiani dell'Uck in Kosovo, dalle pulsioni secessionistiche del Montenegro. C'è, inline, lo scarto storico fondamentale. Come Primakov non ha più i poteri negoziali che avevano un Molotov e un Gromyko, cosi il totalnazionalista Milosevic non ha più il prestigio internazionale e il carisma nazionale che avevano circondato il moderato comunista Tito. Milosevic e un paria della società europea, un recidivo destabilizzatore dei Balcani, riconosciuto per tale dagli stessi pacifisti che invocano la cessazione dell'intervento contro il suo regime sanguinario e il suo Stato dispotico. Anzi, il nazicomunista ultraserbo, che in queste ore sta mettendo in atto la «soluzioni? finale» della questione kosovara, sembra deciso a percorrere fino in fondo, fino all'estremo obbrobrio genocida, la strada inversa percorsa a suo tempo da Tito. La costituzione titoista riconobbe nel 1974 l'autonomia regionale del Kosovo, abolita dalla costituzione serba nel 1989. Il titoismo elargì ai kosovari l'università di Pristina, l'uso della lingua albanese nei pubblici uffici, l'autogoverno delle municipahtà, l'assistenza sanitaria alle partorienti. Dopo aver cancellato tutto questo, Milosevic, oggi, fa massacrare gli uomini albanesi, fuggire le loro donne e i figli, incendiare i loro villaggi, marcare col gesso le loro abitazioni come le SS marcavano quebe ebraiche di BerUno e di Vienna. Certamente Milosevic parlerà con Primakov di tregue e di ripresa dei negoziati. Ma a quattr'occhi, da comunista a comunista, da slavo a slavo ortodosso, gb dirà sottovoce: lasciami portare prima a termine la pulizia etnica nel Kosovo, poi costringimi, magari alzando la voce, al negoziato con la canagba americana. Enzo Bettiza