LA FARINA d

LA FARINA d La rivista americana «Atlantic Monthly» elegge un mulino delle Langhe a santuario degli alimenti naturali LA FARINA d ei dsemi perduti COSSANO BELBO DAL NOSTRO INVIATO Noè ha dodici anni, una camicia di jeans e lo sguardo sveglio degli adolescenti di oggi. Frequenta la seconda media e vive a Cessano Belbo tra colline fitte di vigneti, ricordi pavesiani e campi di mais. Sono questi a dar da vivere alla sua famiglia che da mezzo secolo macina cereali nel mulino su un salto d'acqua del fiume Belbo, ormai sovrastato da bianchi condomini e antenne tv. E lo fa seguendo tecniche antiche, con le ruote di pietra e i setacci d'un tempo. Così in un mondo in cui c'è chi pensa al mais transgenico, la famiglia Marino cura la ricerca e la semina d'una specie di granturco che cresce solo su queste colline e si è conquistata un posto d'onore nell'Arca dei Sapori. L'Arca è un'invenzione dello Slow Food d'associazione di Caribi Petrilli che ha organizzato il Salone del gusto di Torino) per la salvaguardia dei cibi e degli alimenti a rischio di estinzione. La fama delle farine Marino ha da poco varcato l'Oceano. Sull'ultimo numero della rivista americana The Atlantic Monthly il giornalista Corby Kummer, guru del mangiar bene, dedica loro un ampio servizio. «E se lo Slow Food - scrive - ha recentemente imbarcato la polenta dei Marino nell'arca dei sapori, io chiamerò Fulvio il nuovo Noè». Fulvio è infatti il vero nome dell'erede dodicenne della dinastia Marino. «Ricordo - dice lui - quando è venuto qui il giornalista americano, era alto e curioso, ha girato per la valle e assaggiato la nostra polenta. Ma non credevo scrivesse di me». Sei contento di essere paragonato a Noè? «Sì, ma forse sarebbe più giusto dare questo nome a mio nonno Felice». Felice è il patriarca della famiglia Marino, «quella delle sei f» come la chiamano da queste parti, perché tutti i maschi hanno il nome che comincia con questa lettera e sei sono anche le farine che escono dal loro Mulino. Settantasei anni, occhi ciliari e berretto in testa, Felice racconta con orgoglio la sua storia: «Sono venuto a Cossano da Mango, cinquant'anni fa, la mia famiglia aveva terre e gestiva un emporio di sali e tabacchi e faceva commercio di bestiame; mia sorella aveva sposato un mugnaio e così ho deciso di provarci anch'io». Allora c'era ancora la grande ruota di legno a dare energia alle macine «ma se l'è portata via l'alluvione del '61, così abbiamo messo una piccola turbina». C'è ancora la sagoma della grande ruota su una parete del mulino, di fronte a quella che un tempo era la ghiacciaia. «Fino a non molti anni fa - spiega Ferdinando, che ha quarantotto anni ed è il papà di Fulvio - qui di fronte d'inverno si allagava un grande prato e poi si tagliavano le lastre di ghiaccio e si conservavano in ghiacciaia sotto la paglia». E viene in mente l'inizio di Cent 'anni di solitudine, con il colonnello Aureliano Buendia che ricorda la prima volta che vide il ghiaccio. Ma Cossano Belbo non è Macondo, anche se il imi lino Marino ha qualcosa di magico: il profumo intenso del mais e del grano quasi stordisce quando entri nello stanzone dove i chicchi rossi delle pannocchie diventano farina. E chi ha vissuto in campagna o dormito almeno una notte in un granaio o girato per i paesi del Sud d'Italia dove fino agli Anni 60, a settembre, le donne stendevano sulla strada sacchi di juta con il mais ad essiccare è catapultato in un tempo lontano. Ma a riportare al presente è la voce di Fulvio che dice che vorrebbe una pagina su Internet per far conoscere in tutto il mondo i prodotti del mulino. L Prodotti che sono segnati con il gesso su una lavagna nera, davanti all'ingresso, tra una bilancia e un albero d'alloro. «Farina di mais otto file, farro, segale, farina di ceci e castagne, polenta taragna (con grano saraceno), farina per pizza e per dolci»: ce n'è da impazzire per chi va alla ricerca dei sapori perduti. «Il mais a otto file - spiega Ferdinando - è la nostra specialità: è un tipo di mais che cresce solo sulle colline della Langa Albese, già verso Nizza Monferrato non lo trovi più. Si chiama così perché ha solo otto file di chicchi, mentre le pannocchie di granturco possono averne anche 30 o 40. Non lo coltivava quasi più nessuno, noi abbiamo convinto molti contadini a seminarlo e senza usare diserbanti. Il difficile è farlo crescere, perché se non lo semini per tempo rischi che nella stagione dell' impollinamento si incroci con altre specie e vengano fuori pannocchie con più ciuc¬ chi». Così la semina si fa a fine aprile e il raccolto a metà settembre. Il risultato sono pannocchie, una sola per pianta, dai chicchi grandi e d'un arancione che quasi vira al rosso. «Si dice - spiega Ferdinando - che questo pigmento arancione sia afrodisiaco. Ne era convinto anche Vittorio Emanuele II che nel secolo scorso coltivava questo mais nella sua tenuta di Pollenzo. Da allora è anche chiamato "del re"». La sua farina si può usare per far la polenta («deve cuocere molto, a fuoco lento, "borbottando piano piano" e assorbe più acqua ed è un po' più grassa») o per le paste di meliga o per i dolcetti con la marmellata che Ferdinando fa assaggiare insieme con un moscato di queste colline. Prima di diventare farina però i chicchi devono passare tra le due ruote di pietra: non devono essere triturate ma raschiate. «Le machie arrivano - in- terviene Fulvio - da una cava vicino Parigi. Sono d una pietra particolare. Vanno periodicamente scalpellate a mano». A farlo, come mostra una fotografia che campeggia su una parete, è il nonno Felice. «Guarda questi segni rossi indicano dove bisogna battere». Le macine per il mais vanno intagliate a punta, quasi a trasformare la pietra in un grattuggia, mentre quelle per il grano devono avere lunghi solchi a raggiera. «Una macina di pietra dice ancora Ferdinando - dura più o meno quanto la vita d'un uomo. Adesso siamo in pochi ad usarle, perché sono comuni i cilmdri d'acciaio. Solo che questi si riscaldano e i chicchi subiscono uno choc termico di 50 o 60 gradi che ne altera le caratteristiche». E il gusto della polenta non è più lo stesso. «Il nostro problema - interviene Flavio, quarantadue anni, tuta da lavoro e faccia "sporca di farina", figlio di Felice - è far conoscere il nostro lavoro e anche lo ricerca die abbiamo fatto per ritrovare semi e tecniche naturali. Tra l'altro proprio utlizzando semi che si credevano perduti si possono ottenere farine che riescono a risolvere i problemi di chi soffre di alcune allergie o intolleranze alimentari». Il paradosso dei Marino è che tanto Ferdinando quanto Flavio hanno un'intolleranza a certe farine, per cui non possono mangiare tutto ciò che esce dal loro mulino. «Noi cerchiamo - spiega Flavio - semi che un tempo crescevano solo in Mesopotamia, in quella "mezzaluna tra i fiumi" che fu la culla dei cereali». La «ricerca» dei Marino sembra andare in direzione opposta alle manipolazioni genetiche che portano a quel mais transgenico di cui alcuni Paesi hanno già chiesto il bando. «Certo - dice Ferdinando - le manipolazioni genetiche possono creare piante che danno una maggior quantità di prodotto, mo poi non sai quali siano gli effetti. Se alteri certi cicli naturali aumenti i rischi. Un tempo le mucche mangiavano granaglie, mais e avena. Poi si è iniziato a dar loro le farine animali ed esploso il morbo della "mucca pazza". Oggi la sperimentazione genetica è in mano alle multinazionali che hanno già il monopolio delle sementi in tutto il mondo Qualsiasi cosa tu voglia coltivare, i semi devi comprarli da loro». Chissà se negli inverni che verranno mangeremo la polenta dei Marino o quella fatta con i mais transgenici. Per il momento in questo sperduto paese della Langhe arrivano richieste anche da ristoranti americani e giapponesi. E fa piacere pensare che il piccolo Fulvio, magari utilizzando Internet, riesca a traghettare, come Noè. il sapore della polenta langarola sulle tavole del nuovo millennio. Rocco Moliterni Nell'era del mais transgenico la saga di una famiglia di mugnai all'antica // patriarca si chiama Felice e lavora da cinquant'anni con macine di pietra , , ,Koinu l.imd II) rami» Neil A sinistra l'articolo di «Atlantic Monthly che parla dei Marino. Sotto, da sinistra. Federico, Fulvio, Fausto, Flavio, Ferdinando e Felice Koinu l.imd II) rami» Neil Fulvio Marino e il nonno Felice

Luoghi citati: Cossano Belbo, Italia, Mesopotamia, Nizza Monferrato, Parigi, Torino