«Non andremo con le truppe in Kosovo»

«Non andremo con le truppe in Kosovo» Ma i comandi Nato già pensano alla fase tre: attacchi alle truppe serbe in tutta la Jugoslavia «Non andremo con le truppe in Kosovo» Da Parigi e Bonn secche smentite a una escalation BRUXELLES DAL NOSTRO CORRISPONDENTE La Nato mette in opera la «fase due» del suo intervento, preparandosi ad attaccare le forze armate serbe, ma gli Alleati assicurano che non ci sarà un intervento di truppe terrestri in Jugoslavia. Con l'ordine di esecuzione dato sabato sera dal segretario generale Javier Solana al comandante supremo delle forze Nato in Europa, il generale Wesley Clark, è scattata l'autorizzazione per gli Alleati a colpire, oltre ad impianti di difesa antiaerea, centri logistici e di comunicazioni, anche le truppe serbe, i loro mezzi e i loro armamenti nel Kosovo e nelle aree confinanti. «Stiamo cominciando la transizione alla "fase due" e ci indirizzeremo a più obiettivi in Kosovo», ha detto ieri a Bruxelles il commodoro britannico David Wilby, che funge a portavoce militare della Nato, prima che gli aerei par- Ussero per un nuovo raid notturno. Nella missione di sabato notte sembra però che gli obiettivi - sui quali non sono stati forniti molti dettagli - siano rimasti solo quelli della «fase uno». Wilby ha spiegato che i 66 aerei dell'Alleanza hanno effettuato 253 missioni colpendo 17 obiettivi: undici nei dintorni di Belgrado, due in Kosovo e altri quattro nel resto del Paese. La maggior parte dei bersagli facevano parte del sistema di difesa antiaerea jugoslavo o quartier generali dell'esercito e delle forze speciali di polizia serbe. Per far partire la «fase due», che prevede l'impiego di elicotteri e bombardieri a bassa quota, la Nato dovrà avere prima la ragionevole certezza di aver eliminato la difesa antiaerea jugoslava. Una certezza ancora difficile da raggiungere, visto che finora Belgrado ha preferito usare pochissimo al sua contraerea e in particolare i missili terra-aria SAM. Lo stadio successivo dell'ai- tacco, la «fase tre», prevede attachi contro le forze armate serbe non solo nel Kosovo, ma in tutta la Jugoslavia, con la possibilità quindi di colpire le truppe anche a Belgrado, Per passare eventualmente a questa fase Solana avrebbe però bisogno di un'esplicita autorizzazione del Consiglio atlantico, che riunisce gli ambasciatori dei diciannove Stati membri. Ma a tenere banco, più che un passaggio a un'ulteriore escalation dei bombardamenti, è la prospettiva di un intervento delle truppe di terra Nato in Kosovo per frenare gli attachi ai civili. Proprio ieri il presidente albanese Rexhep Meidani, che sta affrontando l'esodo dei profughi kosovari nel suo Paese, ha chiesto ufficialmente «un intervento delle truppe di terra» della Nato. Un'eventualità che per il momento tutti gli intessati smentiscono decisamente, nonostante da Washington siano arrivate indiscrezioni realtive a contatti su que¬ st'argomento tra la Nato e l'amministrazione Clinton. Lo stesso Solana ha ribadito ieri la posizione ufficiale dell'Allleanza, cioè che al momento non ci sono progetti per un intervento di questo tipo. Una spiegazione che non esclude però successivi cambi di rotta. E due dei grandi Paesi dell'Alleanza dicono chiaramente di no all'ipotesi di un intervento con le truppe. La Francia, sostiene il premier Lionel Jospin, «non si lascerà trascinare là dove non vuole andare», cioè all'intervento terrestre. Il suo ministro degli Esteri Hubert Vedrine, scartando l'ipotesi «di una guerra terrestre» aggiunge addirittura che i raid aerei dureranno «giorni, non settimane». Sulla stessa lunghezza d'onda anche il ministro della difesa tedesco Rudolph Schaqring, per il quale l'invio di truppe in Kosovo «è fuori discussione» visto che creerebbe una situazione «insostenibile». If. ma.] Una pattuglia della polizia serba si ripara dietro una jeep su una strada del Kosovo Sotto il maresciallo Tito insieme con i suoi ufficiali durante la guerra partigiana