Il tragico sbarco dei marines 34 anni fa di Aldo Rizzo

Il tragico sbarco dei marines 34 anni fa Il tragico sbarco dei marines 34 anni fa Costò la vita a milioni di viet e a 60 mila americani IERI E OGGI DUE GUERRE A CONFRONTO PER la guerra della Nato contro la Serbia «c'è un precedente drammaticamente significativo», ha detto Norberto Bobbio nell'intervista alla «Stampa» di ieri. «Un precedente di cui nessuno parla: la guerra del Vietnam... E' un precedente terrificante. Si sono usati mezzi spaventosi, si sono bruciati 1 territori con il napalm, alla fine gli americani sono stati costretti a ritirarsi. Mi auguro che abbiano imparato la lezione». Il filosofo non poneva una questione di legittimità, ma di «efficacia» dell'intervento della Nato. E alla domanda esplicita se la guerra in Jugoslavia possa diventare un altro Vietnam, rispondeva: «Questo non lo chieda a me». Dunque il Vietnam, il mito negativo di una e ormai due generazioni, l'emblema di una guerra sbagliata, e più che sbagliata, perduta, e perduta da quella che anche allora era la massima potenza mondiale, di fronte a un piccolo Paese, motivato, prima ancora che dal comunismo, da un nazionalismo disperato. E allora ricordiamo in sintesi che cosa fu la guerra, la tragedia, del Vietnam. Sapendo, è ovvio, che durò almeno dieci anni, mentre l'attacco della Nato alla Serbia è cominciato solo cinque giorni fa. Ma l'esperienza del passato è, o dovrebbe essere, un monito («una lezione», dice Bobbio) per il futuro. La guerra vietnamita, la guerra «americana», cominciò realmente nel 1965, con lo sbarco massiccio dei «marines» sulla spiaggia di Danang. La crisi durava in pratica dalla fine della seconda guerra mondiale, da quando, con la fine dell'occupazione giapponese, i francesi avevano cercato di rientrare in possesso della loro antica colonia e si erano trovati a fare i conti col movimento nazionalcomunista di Ho Chi Minh (il Vietminh). Dopo la disfatta di Dien Bien Phu, ad opera del generale Giap, la Francia si era acconciata, grazie al realismo di Mendès-France, alla pace di Ginevra, che divideva «provvisoriamente» il Vietnam in due, lungo la linea del 17" parallelo. Era il 1954, nasceva un Vietnam del Nord, comunista (capitale Hanoi), e uno del Sud, anticomunista (capitale Saigon), ma già insidiato dai guerriglieri «vietcong», favoi ll rii revoli alla riunificazione. Allora, per gradi, cominciò il coinvolgimento degli Stati Uniti, prima con Kennedy e poi, piii esplicitamente, con Johnson, per «salvare» il Vietnam del Sud. Gli americani cercarono dapprima di procurarsi i favori della popolazione su- dvietnamita, con promesse democratiche, isolando i vietcong, poi decisero di fare essi la guerra «per» Saigon contro Hanoi. Ciò significò spietate azioni terrestri nel Sud (500 mila soldati Usa nel 1967) e, via via, attacchi aerei violenti, sempre più violenti, sul Nord, per rompere i rifor¬ nimenti del Sud e per fiaccare la determinazione politica della centrale comunista di Hanoi. Tutto andò a finire come sappiamo. Nel 1968 (e fu un grande spunto per le manifestazioni anti-sistema di molta gioventù occidentale) l'offensiva comunista del Tet dimostrò che il controllo del territorio sudvietnamita era ormai un miraggio. Più tardi rivelarono la loro inefficacia anche i massicci bombardamenti sul Nord, finché agli americani (nonostante una strategia del ritiro predisposta da Nixon e Kissinger) non restò che l'abbandono plateale, umiliante, della sanguinosa partita. Era il 1975, erano state lanciate più bombe che in tutta la seconda guerra mondiale, erano morti centi¬ naia di migliaia di vietnamiti e 60 mila americani. E aveva vinto un regime totalitario, solo ora in fase (relativa) di liberalizzazione. Dove possono essere le somiglianze l l gcon la Jugoslavia di oggi? La forza americana viene impiegata di nuovo a difesa di una «provincia» del Sud contro 1 egemonia, chiamiamola così, di un irriducibile Stato (postcomunista, ma fino a un certo punto) del Nord. Ancora una volta si tenta di fiaccare, con attacchi aerei massicci e ad alta tecnologia, la determinazione politica di questo Stato, che però mostra finora di essere sorretta, se non dal consenso, da un sentimento nazionalistico e antioccidentale. Continuare i bombardamenti ad oltranza potrebbe di nuovo innescare una reazione di rigetto delle opinioni In 10 anni sono state lanciate contro gli uomini di Hanoi più bombe che in tutta la seconda guerra mondiale Poi il plateale abbandono Usa Oggi come allora, continuare i bombardamenti a oltranza potrebbe di nuovo innescare una reazione di rigetto nell'opinione pubblica pubbliche democratiche. Un ipotetico intervento terrestre potrebbe impantanare le forze antiserbe... Ma sono moltissime le differenze. Intanto l'America non agisce da sola, sono i diciannove Paesi della Nato, compresi i tre ex comunisti, ad aver deciso d'intervenire. Il contesto internazionale è profondamente cambiato, la Russia grida la sua amicizia con Belgrado ma negozia vitali aiuti economici dell'Occidente. Il regime debole e alla fine corrotto di Saigon non è paragonabile al popolo kosovaro, nonostante gli autonomisti o separatisti più accesi non disdegnino azioni violente. La violenza di gran lunga maggiore, spropositata, è quella che esercitano i serbi ai danni dei kosovari albanesi, che sono il 90 per cento della popolazione locale. Insomma qui non c'è discussione su chi abbia ragione e chi torto. C'è infine il punto delle forze di terra, che potrebbero essere intrappolate dalla temibile, certo, guerriglia serba, come quelle americane dai vietcong. Ma tali forze sono di là da venire e, se mai verranno, sarà per garantire un armistizio, se non un accordo, in un ambiente che non è comunque la giungla vietnamita. Detto tutto questo, ha fatto bene Norberto Bobbio, con la sua straordinaria esperienza (di filosofia della politica ma anche di osservazione della storia) a ricordarci il Vietnam. In un duplice senso. Primo, perché l'uso della forza non può mai essere disgiunto da una chiara visione degli obiettivi politici, e questa visione non è ora molto evidente (capitolazione di Milosevic o compromesso e in che termini), come non lo era, dopo le illusioni iniziali, in Vietnam. E poi perché, in assenza di risultati immediati, è grande il pericolo di un'insistenza ossessiva, che si autoalimenta, nella pressione militare, per cui il prestigio, la credibilità, di un Paese o di un'alleanza, possono diventare alla fine carte perdenti. Dunque, ricordare il Vietnam per evitarlo. Aldo Rizzo

Persone citate: Bobbio, Johnson, Kennedy, Kissinger, Milosevic, Nixon, Norberto Bobbio