«Tu non sei più serba, vattene via»

«Tu non sei più serba, vattene via» REPORTAGE IL CONFINE DELL'ODIO «Tu non sei più serba, vattene via» L'odissea di Laudia costretta a scappare in Albania KUKES (Albania) DAL NOSTRO INVIATO Tutto l'orrore del mondo si riflette negli occhi di Laudia Krashniqi. Lei è arrivata sabato, poco prima delle tenebre che prendevano il posto di un giorno assolato e terribile, avanguardia di una moltitudine di disperati che nessuno sa dire quanto grande. Forse 20, o 50 o magari 500 nula: mai come stavolta i numeri paiono privi di significato. Lei non ha più niente, né una casa, né un soldo, né un'identità perché quando è arrivata alla frontiera i serbi le hanno strappato il passaporto. Come ormai fanno con tutti. E hanno detto: «Tu non sei più serba, sei un'albanese. Vattene con la Nato, vattene in Albania, Questa terra è nostra». Ora è qui, con i suoi nove compagni di viaggio, compreso Léonard, suo figlio, che ha un anno e mezzo e non ride mai e giureresti che ha capito in quale tragedia sia piombato. E poi ci sono altri due bimbi, nel gruppo: Leudrim e la sorella Fitore, gemelli di 9 anni. Son tutti nella casa di Dashmira Selimi Mushia, al terzo piano del palazzo 12, quartiere n. 6, alle spalle del posto di polizia di Kukes che è una città nata nel 76, in pieno «periodo cinese», quando venne decisa la diga idroelettrica sul Fierzes e l'acqua inghiotti il vecchio paese. E' uno snodo importante, questo, dal tempo dei Romani e forse da prima, ma guardando tutte quelle costruzioni a quattro piani, tranne quella laggiù, di sei, ti sembra una città fuori del tempo. Case in pietra, col tetto spiovente, un po' fuori luogo, quassù, fra queste gole. Di certo Tirana è assai più distante delle otto ore d'auto che richiede il viaggio su una strada sconnessa e tortuosa che percorre gole profonde in mezzo a boschi di querce nane. Sono stati gli italiani, nel '20, a tracciarla. Laudia Krashniqi ti guarda e per un istante interminabile sembra riflettere a quella domanda semplice che le hai appena fatto: che cosa è successo? Lei si volta indietro, osserva le due stanze che sono il suo rifugio, le brande e i materassi in ordine. Ci son solo donne, ora, in questa casa: gli uomini del gruppo, «tre vecchi», sono nella piazza Scanderbeg a cercare «gli altri». Che cosa è successo, Laudia? Lei volge ancora il capo verso le altre che hanno gli occhi gonfi perché non sono riuscite a dormire, e sui bimbi che a ogni rumore sussultano e ti guardano con gli occhi sgranati, come in cerca di protezione. «Venerdì scorso quelli dell'Uck sono arrivati nel nostro villaggio, Meterc. "Dovete andar via, subito", hanno detto. E noi abbiamo capito. Ho avvertito mia suocera, Senile, che ha 55 amù, e mia cognata, Hida, che ne ha 32. Abbiamo preso i ragazzi. E c'era anche Teuta, la più disperata di tutti, che di anni ne ha 22 ed era già scappata dal suo villaggio, Stademucan, quando i serbi lo hanno bruciato, e perché nell'Uck, nell'esercito di liberazio- ne, ci sono suo marito e suo suocero e lei non sa dove si trovino e teme di restar vedova e piange e ripete: "Se me li ammazzano, mi uccido anch'io". Ci han portato a Mannusha, che è un villaggio turco, perché, ci han detto, lì saremmo stati più protetti. Quando mi son voltata a guardare Meterc, da lontano, ho visto che bruciava. La gente, i turchi, ci han nascosto nelle cantine. E' passato tutto il giorno, ore interminabdi, di paura, e noi raccomandavamo ai piccoli di non piangere, di non fiatare. Poi, a sera, sono arrivati i serbi ed è stato un assedio durato tutta la notte. Sabato mattina siam dovuti uscire. Loro hanno preso gli uomini, si udivano le loro urla, mentre li torturavano. Quattro li hanno uccisi. Noi, con i vecchi e i ragazzi, siamo stati riuniti sulla strada dov'erano in attesa tre o quattro autobus. «Chi ha l'automobile, la usi», hanno ordinato. Noi avevamo una Yugo, mi son messa al volante, al fianco mia suocera, dietro Hida con i ragazzi. Si andava piano, e man mano che ci si avvicinava alla frontiera superavamo gruppi sempre più grossi di gente a piedi. Poco prima di Molina, erano una colonna continua. All'una e mezzo del pomeriggio abbiamo visto la sbarra bianca e rossa. E' stato allora che i serbi, soldati in divisa, ci han detto di scendere dall'auto e di consegnare i passaporti. Poi li hanno strappati». Forse per la collera di non riuscire a catturare tutti quelli dell'Uck, ieri la mano degli jugoslavi si è fat¬ ta più pesante. E così son le donne a subire la vendetta. Si parla di sequestri, c'è chi racconta di esser stata derubata di tutto, della fede, di una collana, un braccialetto. Per prenderle un orecchino, a una ragazza hanno strappato il lobo, proprio li, dietro la sbarra della frontiera, sotto gli occhi degli altri che parevano indifferenti e invece eran terrorizzati. «Si accalcavano in tanti, e qualcuno diceva che appena avessimo superato la sbarra ci avrebbero sparato. Ma non si poteva far altro, non si poteva tornare indietro. Così ci siamo incamminali, ho ritrovato Teuta e i tre vecchi. Neppure lo sapevamo, dove saremmo finiti, eravamo tanti, su quella strada, e appena entrati in Albania, dalle case ci chiamavano, ci invitavano». 1 piii stanchi si son fermati, prima di aver percorso i Ili chilometri fino a Kukes. Erano le 18,30 quando il gruppo di Laudia Krashniqi si e imbattuto in Erma! Mushia, che ha 22 anni e fa il cameriere in un caffè, e alla prima notizia che dalla frontiera stavano scendendo fratelli ). dovari è coreo «ad aiutare». «(Venite cor, me», e li ha guidati nella sua casa. E ora, Laudia, che cosa farete? «Dicono che andremo tutti in Italia, ma che cosa falerno, proprio non lo so». Ben felici di sloggiarli, i serbi accelerano le formalità, chiamiamole cosi. Alle 22 ne avevano fatti passare 5000, poi han deciso che poteva bastare. Ma altri 3000 eran lì, a pressare, così, a mezzanotte, hanno di nuovo tirato su la sbarra E poi, ieri, ancora 8000 e altn 10 mila, o Dio solo sa quanti, aspettano il proprio turno, con l'angoscia nel cuore. Secondo Jim Worram, responsabile a Tirana dell'Unhcr, l'altro commissariato per i rifugiati, «ufficialmente ora sono 5000, ma parlano di 20 mila e la pressione stimata è di SO mila. Il problema più grave è che questo paese è piccolo e male organizzato». La fragile intelaiatura che dovrebbe fronteggiare l'emergenza rischia il collasso. Anche se molti fanno l'impossibile per non iasciarsi prendere dal panico. Come il prefetto Qemal Klezi che sottolinea: «Non posso dire con certezza il numero dei profughi, non sono stati contati. E d'altra parte, bisogna ammettere che noi siamo preparati soltanto per un centinaio di persone. In ogni modo, cercheremo di organizzarci, soprattutto come zona di accoglienza e di passaggio». E c'è già la mano lunga della mafia degli scafi, si dice, su questa tragedia infinita. Da Valona i gommoni han ripreso a salpare, proprio ieri, prora alla Puglia. Per ora i passeggeri sono kosovari in attesa da mesi o settimane, ma presto sarà il turno degli altri, di quelli che stanno superando la frontiera in queste ore. E poiché in molti sono senza passa|x>rto, c'è chi prevede che fra i profughi si mimetizzeranno che i peggiori arnesi della malavita di qua. Vincenzo Tassandoti «Sono arrivati quelli dell'Uck e ci hanno detto "Dovete andarvene"» «Senza casa, soldi né passaporto probabilmente andremo in Italia»

Persone citate: Jim Worram, Kukes, Molina, Qemal Klezi, Selimi

Luoghi citati: Albania, Italia, Puglia, Tirana