«La Gucci va bene per me» di Enrico Benedetto
«La Gucci va bene per me» Il proprietario della Vuitton avverte il rivale Pinault: questa sarà una battaglia a colpi di Opa «La Gucci va bene per me» Arnault: non è roba da supermarket PARIGI DAL NOSTRO CORRISPONDENTE «Francois Pinault non s'illuda. Per impadronirsi di (Jucci dovrò lanciare un'opa. Ila rastrellato il 40% e forse più, ma ci vuol altro per un efficaci; controllo azionario. Aspettiamo dunque le sue mosse. La nostra opa sul 100% del capitale è, credo, l'unico progetto davvero valido per Ciucci. E con una sentenza che riteniamo non sfavorevole alla nostra causa, il tribunale olandese ne riconosce il valore. Ma Pinault, beninteso, può rilanciare. Sappia, in ogni caso, che non lo seguiremo oltre misura nella corsa verso il rialzo». Bernard Arnault soppesa le parole. Ricevendo nel suo bunker a due passi dall'Ktoile alcuni corrispondenti italiani per uno scambio informale, sa che deve farsi perdonare diversi errori psicologico-tattici sull'intrica^ issimo dossier (lucci, il patron Lvmh ci prova con garbo e fermezza. Non ammetterà, per esempio, l'obiettivo di monetizzare un eventuale scacco nella scalata scucendo al nemico Pinault un bel gruzzolo per vendergli il 35% che Arnault possiede. «Sbaglia chi ritiene che l'operazione l.vmh avesse un meni lini! contabile. Stimiamo al contrario di rappresentare la chance più ambiziosa per Gucci. Sarebbe formidabile ritrovarci un futuro comune». Per offrirsene i mezzi, Arnault precisa ciì aver venduto il 4% della sua quota in Diageo, il un. 1» planetario nel settore bevande alcoliche. Dovrebbe fruttargli un tremila miliardi. Ma bisognerà aggiungerne il doppio per scalare Gucci, impresa comunque ardua giacché Pinault attraverso le stock options può superare in souplesse il fatidico 50%. E tuttavia il «boss» Lvmh sorvola, trincerandosi dietro il top secret - fino alla settimana ventura - della sua avance. Monsieur Arnault, nel feuilleton Gucci il suo rivale recita il Cavaliere Bianco. Domenico De Sole lo chiama in extremis per contrastare il suo arrembaggio e lui obbedisce. Non le va strettina la parte del cattivo? «Peggio, ò inesplicabile. Non ho mai voluto fare un boccone di Gucci. E in Italia lo sanno benissimo. Gucci che non è solo italiana, per inciso: lo provano la sede a Londra, gli interessi Usa e più in generale un'estesa internazionalizzazione. C'interessava entrare, ma non da padroni. Diciamo un 30%. L'ideale per coltivare le sinergie, sperimentando una collaborazione proficua. E poi - dopo 3-4 anni, intendo - avremmo tirato le somme per l'avvenire. Vi sembra un piano irrispettoso? Morale, giudicavo praticamente in tasca raccordo con Domenico De Sole. Non prendetemi per naif, ma che il management Gucci sconfessando lunghe trattativeannunci all'improvviso l'iniziativa Pinault mi ha sorpreso. Avrà i quattrini, ma qui serve anche il mestiere. E noi l'abbiamo». Appunto. Per Gucci, Vuitton è un tradizionale concorrente. Rischioso farsene inglobare. Oppure no? «Al nostro interno c'è già concorrenza fra i diversi marchi. Ma ciò non pregiudica le loro fortune, anzi. Nella vicenda Gucci, aggiungerei che per il nostro settore pelletteria gli artigiani qualificati di Firenze e dintorni costituireb¬ bero una bella risorsa. La manodopera non tema: Lvmh ne riconosce appieno il valore. Pensiamo inoltre che si profilino economie di scala particolarmente significative. Il nostro gruppo spende in promozione 1500 miliardi annui. Appoggiandosi a noi Gucci, strapperebbe tariffe pubblicitarie favorevoli. Infine, vorrei rassicurare Tom Ford. Nessuno ignora che Gucci gli deve la magnifica ripresa Anni 90. Tenterò l'impossibile per farlo rimanere». Ma allontanerebbe il presidente attuale De Sole... «E' lui a sostenere che andrà via. Ma le nostre relazioni rimangono buone. Quantomeno in termini personali». Dicono che Gucci sia la marca più appetibile e redditizia per l'industria di lusso. E' la sua unicità che l'attrae? «Ancora un malinteso. Bilanci alla mano, Vuitton rende meglio. Però è indubbio che Gucci ha ottimi livelli. Lvmh potrà contribuire a ottimizzarli espandendo, nel contempo, le sue fortune». Francois Pinault v'insidia anche sul fronte Yves Saint Laurent, sborsando quasi 2000 miliardi per acquistarne la griffe al polo Sanofi Beauté. Ysl figurava tra le vostre ambizioni. Lo smacco fa male? «No. A quel prezzo non avrei mai comprato. Pensavamo di offrirlo noi, ma solo prima che ci autorizzassero a spulciarne i libri contabili. Un esame approfondito. Poi emettemmo il responso: di mi¬ liardi, Sanofi Beauté ne vale 1200. Aspettavamo che la domanda scendesse. Ed ecco sbarcare Pinault a tariffa intera. Strano». Dicono giochiate a rimpiattino anche nel settore televisivo. Lui ha il 16% in Bouygues («Tfi», telefonia, costruzioni), Lvmh il 4. Duello bis? «Manno. Quelli sono i miei risparmi. Lvmh non c'entra. Certo, in Gucci la coabitazione fra noi sarebbe impossibile. Ma personalizzare il conflitto significa forzarne i termini. Pinault ha una bella esperienza imprenditoriale nel commercio. Gliela riconosco volentieri, però tra i Grandi Magazzini e Gucci corre un abisso». Enrico Benedetto i RSONA L'IMPERATORE DEL LUSSO Francois Pinault e Domenico de Sole, I rivali di Bernard Amault (a sinistra, sono il titolo) «Non ragioniamo da contabili, lavorare con la griffe italiana sarebbe formidabile»
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