«Ho visto solo ossa, dappertutto»

«Ho visto solo ossa, dappertutto» Un vigile del fuoco: «Mi sono dovuto fermare al rifugio 22, è intatto ma assomiglia a un forno ed è vuoto» «Ho visto solo ossa, dappertutto» Nel tunnel della morte l'aria brucia ancora TUNNEL MONTE BIANCO DAL NOSTRO INVIATO «Mi sono fermato al rifugio 22». Adesso ci saranno cento gradi. L'aria brucia ancora. E' una trappola di morte, la si vede appena arrivati sul piazzale del traforo, quel buco vuoto nella montagna illuminato da luci gialle che si allungano in fila fino al fondo di questo imbuto nero. Laggiù non c'è più niente. La morte è niente. Ci sono le due sbarre alzate prima del traforo. I camion dei vigili del fuoco. Da qui si viaggia verso l'orrore. Quando sei dentro, è come se il buco si chiudesse alle tue spalle. Dionigi ha guardato l'ora. Sono le 17. Il rifugio numero 22 è intatto: le mura bianche, le porte di vetro, le finestrelle che bucano la parete. Ma è come un forno. Dionigi ha scattato una foto. Non c'è nessuno nel gabbiotto. Sentiva un fuoco sul volto. «Cosa facciamo?», gli ha chiesto l'autista dell'autobotte. Si va avanti. E quando sono andati avanti e sono arrivati al rifugio 20 hanno trovato quelli che potevano essere due corpi senza vita. Erano vicini, forse rannicchiati. «Erano così intatti che abbiamo chiamato un medico: pensavamo di poterli salvare». Da fuori non riuscivano ad aprire la porta per entrare. Troppo caldo. C'erano più di cento gradi. Il fumo nero bruciava la pelle. La strada si era spaccata, la galleria del Bianco minacciava di sprofondare, il tunnel poteva seppellire tutti. Il soffitto era sceso. Solo un grande buio copriva la morte e spegneva le fiamme. E' questo che ci ha raccontato Dionigi. E lì, dove il tunnel del Bianco continuava a divorarsi nelle fiamme un giorno e mezzo dopo l'incidente, lì, dove Gilbert Degraves è scappato via lasciando scoppiare il suo camion, hanno trovato ancora dei resti, chiusi in questa trappola di fuoco scavata nella montagna della neve, hanno trovato l'orrore della morte, l'orrore del fuoco e'l'orrore delli'prigione. Dionigi Glarey, da Aosta, caposquadra dei vigili del fuoco, quasi piange, con la sua faccia da Steve McQueen: «Io ho visto solo ossa. Solo ossa dappertutto, sulle macchine, sulla strada». Adesso, la volta del tunnel è un imbuto nero di fumo e di vapori, che un'vento di fuoco spinge verso una luce lontana, quasi inesistente. Cominciamo da qui questo viaggio nella trappola della morte scavata nel Bianco, cominciamo dal rifugio 22, ore 17. Quando Dionigi Glarey era arrivato qui, dovevano ancora incontrarlo l'orrore della morte. Ha scattato le foto. «Ho provato ad andare avanti. E' tutto nero attorno. Anche l'acqua è nera». Il calore avrà spaccato gli idranti. Sopra, non c'è nessuno spazio, ma solo una coperta di fumo che schiaccia e soffoca. E piccole fiamme sparse resistono ancora. Sono barbagli che illuminano l'inferno. Forse bisogna fermarsi, ha detto l'autista. Dionigi dice: «Vado avanti». E avanti, il rifugio 21 non esiste più, avanti l'aria brucia più forte, avanti l'asfalto si spezza, il mondo ti inghiotte. La strada che si è aperta, ha lasciato una crepa di 30 centimetri lunga 5 metri. Quando sono tornati indietro, i pompieri hanno chiesto che fare: «Se andiamo avanti con i mezzi forse crolla tutto, in quel tratto, potrebbe sprofondare la galleria». Hanno domandato: quant'è profondo il buco? Il vigile del fuoco ha fatto un segno con le mani per spiegare che aveva la forma di una V. «Ma non saprei dire quant'è. Non si vede niente, non si può capire». Anche l'acqua è scivolata dentro. La strada è riempita di detriti, spiega Glarey, e il tetto del tunnel non esiste più. Però, bisogna andare avanti. Entrando, nella trappola di morte, ci sono ancora le luci sulla testa, e gli estintori che spuntano dalle pareti del tunnel. Spariranno tutti quando ci si avvicina al disastro, divorati dal fuoco. Il primo garage, sul versante italiano, ha il numero 36. E' fatto a forma di elle, con le porte ai due lati estremi. All'imbocco delle piazzole, ogni 300 metri, ci sono le te¬ lecamere di sorveglianza. L'altro ieri avevano inquadrato il camion di Gilbert che fumava, ma nessuno ha fatto in tempo a fermarlo. Il vento spingeva indietro, verso la Francia e anche il camionista non ci ha fatto caso. Pure il Tir che stava dietro non si è preoccupato: che sarà mai un camion che fuma? Come spiega Claudio Lyverulaz, avvicinandosi alla zona dell'incidente, all'altezza del rifugio 22, che si trova proprio al confine fra l'Italia e la Francia, al centro del tunnel, «la prima cosa che si vedono sono i camion. Fa effetto perché ormai sono carcasse piccole, sono poltiglie di lamiere alte non più di un metro. Nessuno riuscirebbe a pensare a dei Tir guardando quei resti». Adesso sono mucchi spenti. Ce n'e solo uno che fa un po' di fumo. Il rifugio 24, quello utilizzato dai pompieri, all'inizio delle operazioni di soccorso, è in buone condizioni. 11 primo camion incendiato lo si incontra cento metri dopo il garage 23. Qui comincia l'inferno. Si vedono solo i cerchioni e i ferri del Tir E' tutto grigio e nero. I cavi sono a penzoloni. Anche quello fessurato del sistema radio, spesso 5 centimetri, scende dal soffitto come un serpente senza vita. Altri due sono per terra. Quelli dell'illuminazione invece non sono venuti giù perché sono sostenuti da travi di metallo. Pero, le luci non esistono più. Le pareti, in alcuni tratti, si sono aperte e seno cadute. Si sono formati dei crateri. Qualche bolla. 11 fumo nero sale dal basso, si alza per un metro come una palude che si allunga per chilometri Sopra, la volta lascia un colore giallo paglierino che sembra sospinto in alto dai vapori. C'è la roccia, pivi in su, ma in realtà non si vede La si intuisce solo II rifugio numero 21 era una rientranza chiusa con una vetrata ed è crollato, coperto dalle macerie. Ora e sparito. Si va. Lamiere e focolai Hanno trovato i resti di tredici camion e cinque macchine. 1 cento gradi del garage 22 adesso qui chissà quanti sono. Effetto forno. La volta di cemento e un'altra prigione che copre il destino di quelli che annaspano dentro al tunnel. Le pareli hanno mattonelle, lastre di glasal, che il fuoco ha quasi sciolto. Le porte ermetiche dei rifugi, invece, hanno tenuto tutte. L'asfalto è ricoperto d'acqua. Cola verso l'Italia, perché Ja strada è in discesa. Al rifugio 20 sono arrivati nel pomeriggio bucando le nuvole nere che salivano dall'asfalto e passando sulla strada spezzata in due. Dionigi quand'era più indietro, aveva scattato dieci foto con il flash, Sono immagini di un incubo senza bagliori Non ti portano l'odore di questa trappola, che è un odore acre, terribile, di plastica bruciata che ti s'appiccica al volto, sulla tuta, nelle scarpe. Lo senti già salendo da Courmayeur, prima di arrivare nel piazzale del traforo E' un po' come una guerra guardare le facce nere dei vigili. E qui davanti, il tunnel è solo un buco nero che vorresti cancellare. Pierangelo Sapegno «La prima cosa che si vede sono i camion. Fa effetto perché ormai sono carcasse piccole, poltiglie di lamiere alte non più di un metro» Un'immagine dell'interno del tunnel del Monte Bianco In primo piano uno dei camion divorati dal rogo che ha raggiunto i 1200 gradi

Persone citate: Bianco, Claudio Lyverulaz, Dionigi Glarey, Gilbert Degraves, Glarey, Pierangelo Sapegno, Sono, Steve Mcqueen

Luoghi citati: Aosta, Courmayeur, Francia, Italia