Depardieu il cinema c' est moi
Depardieu il cinema c' est moi Le leggende, la carriera, le ambizioni: l'attore si racconta attraverso gli amici Depardieu il cinema c' est moi RIVOLTA, precoce, veloce: queste tre parole attraversano tutti i racconti sull'infanzia di Gerard Depardieu. In venticinque anni, questa storia continuamente riscritta è divenuta leggenda. Con le sue costanti: uno sfondo di provincia, Chàteauroux e la base americana; un contesto sociale, il «lumpenproletariat»; un ambiente familiare, sei figli e poche parole; una adolescenza borderline, con traffici, furti, violenze, alcol. Cosi Gerard Depardieu, che sfoggia due tatuaggi stampati da alcune prostitute sul braccio sinistro, avrebbe sfiorato un avvenire da delinquente. Gerard Depardieu smentisce: la sua adolescenza e stata romanzata, niente di tutto questo è vero. «E' vero, invece, che a quell'epoca, in una piccola città di provincia, quando non si sapeva né leggere né scrivere e qualche volta si cadeva nei canali, come mio padre, si era emarginati. In effetti, la sola cosa che poteva tradire la mia origine era il linguaggio grossolano». L'INDIGNAZIONE DELLA MOGUL Elisabeth Depardieu ricorda di avere affrontato questo argomento con suo marito: «Ero indignata quando parlava della sua famiglia. Non si rendeva conto che poteva ferire quella gente cosi umile. Gerard non aveva questa nozione. L'ha imparata a proprie spese». Una storia che lo ha colpito come un boomerang. Era il 1991. Un anno fortunato sul piano dei riconoscimenti: «Green Card», di Peter Weir, gli vale il Golden Globe come miglior attore, e «Cyrano», girato con Jean- Paul Rappeneau, ha cinque nomination all'Oscar. Su «Time» del 4 febbraio, Gerard Depardieu dice di aver partecipato, a nove anni, a una violenza sessuale. Le femministe lo attaccano. Lui smentisce. Dimenticando che nel novembre del 1980, su «Lui», parlava già di violenza, in modo molto chiaro. Eccolo rileggere l'intervista di «Lui». Si ricorda dell'adolescenza, delle atmosfere azzurrine delle sale da ballo, dietro le palizzate. «C'era una ragazza, faceva parte della banda. Mai avrei pensato di forzare una ragazza. In ogni caso, non c'erano grida. Era così». Conclude che sarebbe stato meglio tacere. «E' stato fatto un miscuglio tra la mia personalità e i miei personaggi. Soprattutto dopo "I santissimi"». PARIGI E WHISKY. «I santissimi» (girato nel '73 da Blier) hanno anche fatto dimenticare il mondo che l'ha fatto nascere: il teatro. Un periodo molto ricco, che oggi sembra lontano, se non cancellato. Tuttavia, è là che Depardieu ha preso la parola. Al suo arrivo a Parigi, è come uno Stradivari mal accordato. Invaso dall'emozione. Un professore, Jean-Laurent Cochet, sa ascoltarlo. Lui scopre i libri, se ne appropria - «Mi ha educato Giono, sapeva rispondere al mistero del silenzio» - interpreta le prime parti. Nel 1971, incontra il regista Claude Régy. Passano insieme tre anni, lavorando su Nathalie Sarraute, David Storey, Edward Bond o Peter Handke. Ricorda Claude Régy: «Arrivava da me prestissimo, oppure andava dalla Duras. Beveva una bottiglia di whisky, ma voleva soprattutto parlare. Aveva un istinto favoloso, un modo immediato di prendere e comprendere. Era diverso da tutto. Portava le incertezze di Chàteauroux, un'altra idea di virilità, di morale, di bellezza. Mandava in frantumi i nostri codici». Allo Spazio Pierre Cardili, nel 1974, Depardieu recita nella «Cavalcata sul lago di Costanza» di Peter Handke, con Jeanne Moreau, Delphine Seyrig, Michael Lonsdale, Samy Frey... Tre anni dopo, il pubblico elegante cammina nel fango che circonda il centro drammatico di Nanterre per andare a vedere «Esseri irragionevoli in via di estinzione», altra opera di Handke. Depardieu interpreta il personaggio di Quitt, un uomo d'affari alla testa di un impero che, contro ogni aspettativa, si mette a parlare di sentimenti. Alla fine, si lancia con la testa contro il muro. Depardieu ci va giù con tale foga che bisogna imbottire la scenografia. GENTILUOMO E TEPPISTA. La testata segna la fine della collaborazione con Claude Régy. Altri progetti abortiscono: Depardieu è già altrove. Bertrand Blier, col quale farà cinque film forti, è il testimone del suo ingresso nel cinema: «Quando ci fu il casting dei "Santissimi", veniva tutti i giorni in ufficio per essere sicuro di essere preso. Si vestiva ogni volta in modo diverso, con una cravatta o da teppista, per convincermi che poteva recitare in qualunque cosa. Lo mettevamo alla porta e lui rientrava dalla finestra. Il mio produttore era terrorizzato. Diceva che con quella faccia avrebbe spaventato le donne. Gerard era una ca- Spettacoli 'attore si racconta ra attraverso, naglia, nel senso nobile, melvilliano». Depardieu può girare su tutti i terreni: Marguerite Duras («Vera Baxter», «Il Camion»), Bernardo Bertolucci («Novecento»), Claude Sautet («Tre amici, le mogli e (affettuosamente) le altre»), Marco Ferreri («L'ultima donna»), ecc. Sul piano artistico, Depardieu non ha fatto nulla di meglio che in questa fine degli Anni 70. «Rubava il mestiere - ricorda Elisabeth Depardieu -. Poiché ha una capacità straordinaria di ingerire e digerire, faceva tutto contemporaneamente. Niente lo disturbava. Alcuni entrano nel cinema, lui lo mangiava». Riassume Claude Berri: «Non lavora, non recita, lui è il personaggio». E' un modo, rapido per l'arte, di confermare l'evidenza, tanto rapido che Gerard Depardieu dice della sua attività: «So¬ no un lavoratore. Faccio l'operaio». All'inizio degli Anni 80, l'«operaio» lavora sia con Truffaut, Pialat, Blier, Veber, Resnais, sia con Francis Girod, Jean-Jacques Beineix o Philippe Labro. Gerard Depardieu potrebbe offrirsi una filmografia da enciclopedia. Fa un'altra scelta: accumula. Nel 1986 mette insieme 16 milioni di spettatori in Francia con «Lui portava i tacchi a spillo» di Blier, «Jean de Florette» di Berri e «Due fuggitivi e mezzo» di Veber, che conferma la sua dimensione di attor comico. Nel marzo '91 tocca i 4 milioni di spettatori con «Cyrano», il film di Rappeneau che farà il giro del mondo, «Cyrano» segna l'ingresso di Depardieu in un altro mondo: quello dei personaggi storici, figure e eroi che lo occuperanno moltissimo e lo porteranno a recitare per la televisione. Se «Cri- stoforo Colombo», girato in inglese, esce sul grande schermo, «Monte Cristo» e «Balzac» si fanno con TF1. «Che ci fa Gerard in televisione? - si chiede Blier -, Non è neanche una bella tv. Fa audience. Nient'altro». VIVA I FOTOROMANZI. Gerard Depardieu ascolta il rimprovero. Una volta di più, non arriva sul terreno in cui l'aspettano. «Le mie prime letture erano fotoromanzi. Storie d'amore. Mi commuoveva quell'immagine ferma, quella piccola bolla, quegli sguardi. Nella storia dei miei sogni, il fotoromanzo si è fissato su personaggi storici. Vedo a lampi i loro gesti, i loro tentativi frustrati, i loro desideri, le loro insoddisfazioni. Non c'è pretesa, lì dentro. Se fossi geniale, forse direi altro». Gli attacchi contro Depardieu non si fermano. Alle lodi genera - li dei media s'aggiungono i rimproveri dei professionisti. Dice Bertrand Blier: «E' il prototipo dell'attore che ha fatto una carriera straordinaria e la gestisce malissimo. Ha Disogno di essere contemporaneo. Lo è stato in modo formidabile. Non lo è più». E, ancora più duro: «C'era un immenso attore di teatro in lui. Aveva un registro doppio e raro: un senso del quotidiano e un immaginario vicino al lirismo. Il suo percorso indica la sconfitta dell'arte». Firmato Jacques Lassalle. NON SONO UN MOSTRO. Di tutto ciò, che sa molto bene, forse troppo bene, Gerard Depardieu dice di «infiaschiarsene». «Non ho voglia di essere un mostro sacro, né di essere un mostro, né di essere un genio alla Marion Brando, né di essere quel che tutti gli altri vorrebbero. No, io sono semplicemente normale. Fare l'attore è forse la cosa che conta di meno pel- me. E' soltanto un mestiere che so fare. Quasi un dono. Vado fino al fondo di questo mestiere, fino al ri, senio di essere un cattivo attore, e quando lo sono, tanto meglio. Si tratta di un vero mestiere per canaglie. Puoi fregare chi vuoi, compreso te stesso e il tuo talento. Pazienza se non giro un film con Scorsese e se non recito con Chéreau. Non ho un progetto di carriera, non ho una missione da compiere, e soprattutto non cerco di piacere. Io vivo. Col mio ritmo, con i miei errori, con i miei eccessi, con i miei equivoci. La mia arte, è il quotidiano, l'istante attuale. Faccio film con degli amici, perché per loro è vitale e perché hanno bisogno di me. Che importa se non sono grandi film? Li faccio perché mi piace farli, perché sono vivo e felice di vivere. A volte, fuori del lavoro, questa vita è faticosa. Il lavoro mi toglie la fatica». Michel Guerrin Brigitte Salino Copyright «Le Monde» «La Stampa» «La mia giovinezza è stata romanzata: non ho mai rischiato di diventare un delinquente, non ci sono stati né furti né violenze, ero semplicemente emarginato perché sono nato povero e in provincia» «Questo è un mestiere da canaglie, non ho un progetto di carriera, non ho missioni da compiere, penso soltanto a vivere: con i miei errori, i miei eccessi, i miei equivoci» Alcuni momenti della carriera di Depardieu: da sinistra In Cyrano e Colombo e nel film «Ciao Maschio»
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