Romano, dall'Asinelio all'Europa

Romano, dall'Asinelio all'Europa Romano, dall'Asinelio all'Europa Bici, pullman e treno con meta finale Bruxelles L'ANTITALIANO ARCITAMANO LO hanno dipinto come un parroco, una mortadella, un tortellone, un ciclista sempre in salita, in perenne allenamento per la corsa che deve ancora venire, e alla fine si trova là dove aveva messo la barra del timone quando formò il suo governo dopo soli due giorni di consultazioni, e cioè in Europa. In quell'Europa delle monete ma non dei cuori (suo rammarico e grido d'allarme) in cui l'ItaUa veniva finalmente accettata con i conti risanati da una cura da cavallo cominciata col governo Prodi. Italianissimo, anzi Arcitahano, Prodi si ritrova di nuovo a recitare il suo ruolo di Antitaliano. Con i piedi in due scarpe: una di chi si sforza di non sembrare italiano pensando e parlando in inglese, e l'altra di chi più italiano di così non si può. Prodi l'Emiliano vince un'altra tappa del cursus honorum, anche se è complicatissimo calcolare le conseguenze italiane e arcitaliane della sua scalata europea che Un po' lo esilia e un po' lo promuove, scollandolo dall'armata dei nuovi democratici a cavallo di un asinelio disegnato negli anni Trenta da Walt Disney. Ma il suo simbolo, la vera trovata che ha introdotto un elemento antitaliano nella politica dello stivale, è stato il pullman. La grande corriera con cui ha corso l'Italia come Trotzkij batteva le Russie sul treno blindato a caccia di cosacchi. Lui aveva aperto la più grande battuta di caccia al voto di sinistra e insieme moderato con Walter Veltroni, suo futuro vicepresidente del Consiglio che da tempo accarezzava l'idea di presentarsi come la versione arcitaliana dell'ultimo dei Kennedy, oppure un clone italiano di Al Gore. E i due avevano vinto con quel veicolo: lo ricordiamo il giorno dell'ingresso trionfale del Pullman dell'Ulivo (il famoso «Olive Tree Party» di Bologna) in piazza del Popolo gremita di folla, e quel Prodi che scendeva dal predellino dava un'immagine tanto Antitaliana (il politico itinerante, il nomade delle idee in mobilità) quanto Arcitaliana: fare della demagogia simbolica, fingere di essere francesi, inglesi e per ultimo scimmiottare il partito democratico americano adottando un asinelio scalciante come simbolo dei democratici ' italiani. L'ultimo Prodi, quello di queste settimane, aveva adottato il simbolo di un altro semovente: il treno. E il suo partner nell'avventura, Tonino Di Pietro, aveva scelto il camper, sicché l'ultima versione rivista e corretta di Romano Prodi nato ciclista senza neanche un motorino applicato alle gomme, è quella di un ossessionato dalla motorizzazione, dalle rotaie, dai parcheggi del voto, dei programmi. Prodi ò un sessantenne giovane, di ciucili che si sentono assestati definitivamente sui quarant'anni. Ed è convinto di poter evitare la cravatta tutte le volte che si può, atteggiamento molto antitaliano, per mostrarsi in confidenza estrema con golf, giacche a vento, casacche. Eppure, non è stato sempre così: l'iconografia delle foto d'archivio ce lo consegnano come un bravo giovanotto cattolico progressista cresciuto nella regione più rossa d'Italia, un accademico che ha studiato alla «Cattolica» di Milano dove si è laureato in economia politica con Siro Lombardini. Geograficamente e anche antropologicamente, Prodi è un uomo di pianura, nato a Scandiano in provincia di Reggio Emilia. Dunque, un ciclista nato col fiato da ciclista, i capelli da ciclista, la giacca a vento da ciclista, la sosta al bar da ciclista e anche un modo di rispondere agb attacchi e di affrontare le curve da ciclista. Uomo soltanto apparentemente calmissimo e serafico, è dotato in realtà di un caratteraccio. E' simpaticamente convinto di poter nascondere la sua visibile iracondia dietro un ossessivo e dunque sospetto Inno alla Calma, un birignao da meditazione buddista con voce atona per ripetere che noi, Prodi, siamo calmi, calmissimi, praticamente sonnolenti, in grado di affrontare i problemi con la soluzione empirica migliore (dunque serena, procedendo laicamente per tentativi, errori e correzioni) e lo facciamo con pedala- ta lunga da vecchi ciclisti che sanno amministrare l'ossigeno con respiro profondo, sciarpa sul naso e sorriso da una ganascia all'altra. Da un punto di vista arcitaliano, questo comportamento appare pretesco, parrocchiale, serico, tonacale e quindi Giorgio Forattini lo disegna come un parroco ipernutrito. Romano Prodi è un falso calmo come ci sono i falsi magri. Avendo studiato con eccellenti risultati alla London School of Economics e poi ad Harvard, ed avendo animato con la rivista «Industria» il panorama della cultura economica italiana, è imo di quegli italiani che si sono fatti molto rispettare all'estero, specialmente nel mondo anglosassone, del quale hanno in cambio subito il fascino e l'atteggiamento mentale. L'inglese che parla Prodi non è affatto pessimo, anche se ha un accento discretamente italiano, ma il suo vocabolario è vasto, la sua eloquenza è corretta, l'organizzazione del pensiero è adatta a quella lingua. Ama presentarsi come un uomo informale, un amico che ha studiato nel vostro stesso campus, uno studioso convinto che la cultura economica è alla base del ragionamento politico, ma anche sicuro che non si fa politica se non si butta il cuore oltre la siepe, non lo si va a riprendere e poi lo si butta ancora pivi lontano. La sua vita può essere divisa in due parti: quella del professor Prodi che si occupava di concorrenza e sviluppo delle piccole imprese, di rapporti fra Stato e mercato e delle sorti del capitalismo dopo la fine del comunismo; e la la vita del leader Prodi che comincia nel febbraio del 1995 quando «scende in politica» anche lui, preceduto da un battage di RaiTre molto ben diretto, tutte intervistine sulla strada del genere «non so, potrebbe darsi vedremo», sempre in bici, sotto i portici bolognesi, un clima informale, con un furore appena celato sottopelle e visibile soltanto usando le lenti adatte. Cerca di essere simpatico abbassando la voce e cercando di imporsi come il simbolo vivente della devozione al ragionamento, al raziocinio, alla decenza delle idee chiare e distinte come i cartesiani d'Oltralpe. In realtà può essere irrimediabilmente duro, proprio quando abbassa la voce in modo insopportabile, rallentando anche il bioritmo e probabilmente riducendo la temperatura corporea. Ma in poUtica il professor Prodi non è un esordiente: alia poltrona di governo era già arrivato da tecnico negli Anni Settanta quando fu per breve tempo ministro dell'Industria. Poi era tornato alle aziende di Stato, sua passione che era osservata con ansiosa curiosità dai russi che vedevano nell'Ili italiano la prova del funzionamento possibile di ciò che non è privato. La sua voce da training autogeno antitaliano fa a pugni con la voce del Prodi cui saltano i nervi quando a Bologna grida stizzito la sua serie di no, no e poi no dopo la sua defenestrazione dal governo e alla nascita del governo D'Alema, che diventa in cuor suo una sorta di Jago e che imbarca senza pensarci due volte una pattuglia lanzichenecca di uomini di destra guidati da Francesco Cossiga il quale a sua volta aveva tentato e fallito una conquista della leadership della destra moderata. Prodi, che aveva recitato una parte da Antitaliano sfidando il Parlamento a contarsi e che rifiuta sdegnosamente di trattare con Rifondazione Comunista puntando i piedi e che con calma quasi isterica assiste alla propria esecuzione con una sola pallottola nella nuca, un solo voto che ribalta la fiducia in sfiducia il 9 ottobre del 1998: quel Prodi calvinista e nordico, scompare, l'antitaliano cede ormai alla mutazione, gb crescono lunghi peli lupesclii nelle notti di luna piena e la sua voce al tortellino, la voce di pedalata lunga, diventa un urlo. Siamo al Prodi-Due, la vendetta, che trova come compagno d'archibugio per la sua ronda di notte il cittadino Di Pietro, l'ex procuratore di ferro che aveva già imbarcato nel suo governo e cui aveva dovuto rinunciare a causa delle rogne giudiziarie che l'ex magistrato doveva ancora sbrogliare. La mutazione dell'Antiliano avanza, nuovi caratteri fuori controllo sembrano manifestarsi in lui e anche Di Pietro sembra percorrere la via della mutazione, pronto alla riconquista, alla vendetta, alla filibusta, per chiamare a raccolta il popolo della nuova sinistra, che non è più ex comunista, ma è giustizialista, sedotto dai sindaci eletti dalla «gente», obeso di nuove parole d'ordine eh una borghesia frastornata e progressista. In questa fase di raccolta delle truppe, la chiamata all'Europa gli e arrivata, non proprio fra capo e collo, perché alla fine era stata largamente accettata, assorbita, anzi gradita, anzi mollo gradita, alla fine di un processo in grazia del quale si può ammettere che Bruxelles vai bene una messa. Secondo la destra moderata, Romano Prodi diventa a questo punto un politico da sponsorizzare: è l'uomo che è stato privato con un colpo di mano dalla legittimità di governo, sostituita da un governo di dubbia legittimità, e poi convinto con le buone o con le cattive a fare armi e bagagli, perche in patria dà fastidio, rompe gli equilibri, disturba il manovratore. Insomma, spedito in Europa, come dire alla Caycnna, dove già lo voleva spedire Cossiga fin dall'inizio della sua scalata verso il governo D'Alema e al quale Prodi aveva risposto di no, sdegnosamente: non gradiva un «contentino», l'Europa non può essere data come un lecca lecca a mi bambino picchiato dai ragazzi più prepotenti per farlo smettere di piangere. Quando era stato estromesso dal governo che ha portato la lira italiana in Europa, Prodi rifiutò di fare un nuovo giro di consultazioni e di accettare mi nuovo incarico di governo destinato a finire male. Poi, quattro giorni dopo, aveva assestato la sua legnata sul successore D'Alema dicendogli che la sua coabzione gli faceva orrore: «Le modalità e la forma con cui si è aggregati! la nuova maggioranza che sostiene il governo, rappresentano una battuta d'arresto nel processo di costruzione di un sistema bipolare basato sulla competitizione fra programmi e idealità». Traduzione: siete dei magliari, venditori di tappeti. Da allora D'Alema ha intensificato le azioni di persuasione per rilanciare la candidatura del professor Prodi, l'illustre Antitaliano che sa fare bella figura anche all'estero. Paolo Guzzantl Colpito da un solo voto di sfiducia nell'ottobre '98 è arrivato ora là dove puntava Un po' esiliato un po' promosso Anche la destra moderata adesso lo sponsorizza La lunga carriera del Professore bolognese dall'industria alla politica