Una tempesta di bombe sulla Serbia

Una tempesta di bombe sulla Serbia Molte vittime, i missili hanno aperto la strada a ondate di bombardieri Usa, inglesi e tedeschi Una tempesta di bombe sulla Serbia Colpiti obiettivi in sette città, proclamato lo Stato di guerra PRISTINA DAL NOSTRO INVIATO Aspettare un bombardamento è come guardare i passanti da una finestra d'ospedale. Tu sei dov'è la tua casa, dove i tuoi figli ti chiedono cosa succederà, dove speri che il responso di un medico - o un politico che vive lontano - dicano che il tuo futuro ancora esiste. Poi in un attimo un referto e il boato di un jet spalancherà le brume del cielo, farà in modo che manchi l'acqua, che si stacchi la luce, e verrà a dirti che il futuro non c'è. A Pristina, l'energia elettrica è venuta meno alle 20,10. Da quel momento, solo buio, boati, angoscia. Nella prima ondata di attacchi sono stati colpiti obiettivi a Pristina, Kursumlija, Uzice, Danilovgrad, Novi Sad, Sombor, Pancevo e Podgorica, la capitale della repubblica federata del Montenegro. Nel mirino: difese aeree, radar, aeroporti e caserme di esercito e polizia. Bombe sugli aeroporti militari di Nis. Colpita una fabbrica di armi a Kragujevac. Esplosioni sono state avvertite anche alla periferia di Belgrado. Nel Montenegro sarebbero state prese di mira Bar, Badovici e Ivangrad. Molte le vittime, tra cui un gruppo di donne e di bambini, profughi e congiunti di ufficiali dell'ex esercito popolare jugoslavo. In questa prima missione sarebbero stati abbattuti alcuni aerei jugoslavi Mig-29 levatisi in volo per fermare i caccia della Nato. Secondo la tv belgradese anche un aereo Nato sarebbe stato colpito e abbattuto sui monti Cicavica, nei dintorni di Pristina. La Jugoslavia ha dichiarato lo stato di guerra dopo i primi attacchi aerei e missilistici della Nato. L'ha annunciato l'agenzia ufficiale «Tanjug», che non ha fornito dettagli. Lo stato di guerra.prevede normalmente la mobilitazione generale, la chiusura delle frontiere, e altre misure per la difesa dèi Paese. Questo è il Kosovo di oggi, questa è la Jugoslavia. Questa la gente che, da quando s'è scatenata questa folle guerra, si rivolterà contro i suoi modelli, smetterà d'inseguire un Occidente ormai irraggiungibile e nemico, tornerà a sprofondarsi nel mito slavo, nella retorica dell'isolamento, del sacrificio. «Vietnam d'Europa» Il «Vietnam d'Europa» - come qualcuno già profetizza - comincia a costruirsi su dinamiche così evidenti da far immaginare una sceneggiatura. Il Kosovo è piombato nella devastazione, ormai non esiste giorno in cui la prossima mossa non risulti prevedibile, quasi scontata. Parliamo allora di Pristina, la bocca eruttiva, la città in cui la desolazione ormai sembra superare gli odii etnici: qui la sola differenza col resto del Paese sta nel fatto che i nemici si stanno acquattando nel medesimo modo. Le bombe della Nato hanno colpito l'aeroporto della città, la base dell'aeronautica nei pressi di Malisevo, alla periferia di Pristina. In fiamme la raffineria accanto alla caserma. Molti i feriti. Sarebbe stato anche distrutto per errore un palazzo di civili a 70 km. dalla capitale kosovara. Dopo mezzanotte a Belgrado e Pristina le sirene dell'allarme aereo hanno rotto il silenzio surreale della notte. Ieri sera la tv statale aveva trasmesso un messaggio di Milosevic, e immediatamente dopo le istruzioni su come sopravvivere alla guerra. Il Grande Capo appariva tonico, anche se i toni del discorso erano gravi. Con la presenza di truppe straniere - diceva Slobodan Milosevic - la Jugoslavia passo dopo passo perderebbe la libertà, l'indipendenza. Impedire che questo accada è la sola decisione giusta... Noi restiamo a favore di una soluzione pacifica della crisi kosovara, ma punto cruciale resta quello del diritto all'uguaglianza di tutte le comunità che abitano la provincia... Nel momento in cui siamo esposti agli attacchi della Nato, invito tutti a fare il proprio dovere per la difesa della patria. «Damovina», cioè Patria. «Dostojanstvo», ovvero dignità. «Nesivisnost», indipendenza. «Sloboda», che significa libertà/Queste sono le parole che adesso escono dalle labbra inutilmente turgide del satrapo. Quale capolavoro stiamo compiendo: Slobodan Milosevic da oggi è in grado di presentarsi alla sua gente come l'ultimo Patriota, il Grande Padre burbero, un po' carogna ma co¬ munque pronto a difendere la casa comune dall'invasione dei barbari. L'uomo più odiato di Serbia oggi può pretendere dai suoi il rispetto, ed è nuovamente in grado di rimuovere ogni critica sull'onda delle pulsioni più profonde ed antiche. Anche le peggiori. Qui è caduto il tramonto, le sirene degli allarmi continuano a suonare. Era già successo due volte in mattinata, intorno alle 11 e poco dopo mezzogiorno. «Esercitazioni», avevano spiegato le autorità. E ad ogni «esercitazione» del mattino la poca gente in giro aveva risposto con fughe disperate, auto che schizzavano fuori dalle file dei semafori e partivano sbandando verso chissà dove. Adesso, mentre cala la notte, Pristina è rinserrata nelle case e nei rifugi. Le vere dimensioni del dramma si potranno distinguere solo domani mattina. Quei pochissimi che dopo un anno di tragedie ancora mantenevano un certo equilibrio stanno per perderlo del tutto. Anche i cronisti. Ieri pomeriggio, d'un colpo l'albergo in cui tutti stazioniamo, il centro e riparo dei giornalisti stranieri, ha cominciato a svuotarsi. La guerra nella guerra - quella fra governo jugoslavo e televisioni anglosassoni - miete le prime vittime. E' il momento in cui i conti vengono presentati a tutte le parti in causa. Quella del Kosovo - come in parte accadde anche in Bosnia - è stata anche una guerra mediati- ca, la Jugoslavia più volte ha protestato contro «esagerazioni» o «distorsioni» dei grandi networks, mentre dall'altra parte proteggeva i teatri di operazione da incursioni sgradite. L'altra sera è accaduto che un «reportage» della Ccn abbia scatenato il conflitto aperto. Chris Burnes, uno degli inviati a Pristina, ha raccontato al mondo che i quattro poliziotti serbi ammazzati l'altra sera alla periferia della città erano caduti vittime non di terroristi albanesi ma di «estremisti serbi». Il governo ha reagito: «La Cnn dimostri quel che dice o abbandoni subito il Paese». Ieri a Belgrado la polizia si è recata all'albergo Intercontinental ed ha sequestrato le attrezzature della «Ubi», che diffonde all'estero i filmati delle grandi tivù internazionali, «Cnn» per prima. Privati degli strumenti d'espressione, preoccupati per le minacce degli estremisti moltissimi giornalisti stanno lasciando Pristina. Il giro di vite del regime prosegue su tutti i fronti. L'altra notte, sempre a Belgrado, quattro auto e due jeep della polizia hanno circondato la sede di Radio «B 92», l'ultima emittente libera del Paese. E' la stessa radio che ai tempi delle dimostrazioni popolari il regime di Milosevic aveva tentato di chiudere. Ma se allora le proteste fioccarono anche dalla Serbia, oggi l'imbavagliamento dell'unica voce dissonante viene accolto dai serbi con fatalismo, e talora con soddisfazione. Il pretesto è ridicolo: i funzionari del ministero delle Comunicazioni che all'alba hanno invaso lo Studio, pretendendo che il lavoro cessasse immediatamente, contestano a «B 92» di lavorare sulla frequenza di 92.500, e di usare trasmettitori troppo polenti. In qualsiasi altro momento l'iniziativa avrebbe provocato proteste e lazzi dei giornali indipendenti, magari una delle feroci vignette di Dudik, una sorta di Forattini serbo un po' più feroce. Non c'è reazione invece, un po' perché i giornali e le emittenti d'opposizione sono stati costretti a chiudere, molto perche il fatto che «B 92» venisse finanziata da «Radio Free Europe» si è trasformato da fattore di progresso in prova di intelligenza col nemico. E' su variazioni come queste che l'Occidente dovrebbe ineditare. La corsa verso i rifugi In Serbia oggi l'animo popolare è serrato in attesa del peggio, pronto ad ogni possibile rivincila. La televisione trasmette istruzioni che in qualsiasi altro luogo d'Europa, in qualsiasi altro momento parrebbero tratte da un documentario sulla Seconda Guerra Mondiale. «In caso di incursioni aeree diceva la prima rete statale - non cedete al panico, chiudete a chiave il vostro appartamento e dirigetevi in fretta verso il rifugio più vicino. All'interno dei sotterranei è severamente vietato fumare e consumare alcolici...». A questa gente possiamo raccontare fino alla nausea che la Nato sta colpendo solo caserme, centri radar ed altri obiettivi militari. Complice il progressivo imbavagliamento delle fonti straniere, il serbo medio saprà soltanto che il resto del mondo attacca il Paese, come un tempo accadde coi nazisti, e prima con l'Austria-Ungheria, e prima ancora con gli Ottomani. La Jugoslavia raccomanda intanto ai Paesi vicini di «restare fuori» dal conflitto. Se dall'Albania, o dalla Macedonia, piuttosto che da romeni, bulgari o ungheresi giungessero segnali di collaborazione col nemico, Belgrado si dice pronta a ritorsioni belliche. Da Bruxelles Javier Solana, segretario generale alla Nato, rassicura i Balcani: «Ogni Paese sarà protetto». Appena incominciala, questa guerra già minaccia di espandersi come un virus attraverso i Balcani. Un solo passo ancora, e l'effetto-domino potrebbe scatenare reazioni imprevedibili. E' vero, attendere un bombardamento era proprio come osservare il mondo attraverso la finestra di un ospedale. Adesso li vedi rinchiudersi, correre, muoversi, e da qualche parte della tua mente pensi che tutti, prima o poi, saranno raggiunti dal medesimo senso di morte che in questo momento attanaglia la Jugoslavia. Giuseppe Zaccaria In questa prima missione sono stati copiti alcuni Mig-29 jugoslavi La Nato smentisce l'abbattimento di un aereo sui monti vicino a Pristina Milosevic in tv «Con la presenza di truppe straniere la Jugoslavia passo dopo passo perderebbe libertà e indipendenza Impedire che questo accada è la sola decisione giusta» L'ATTACCO NATO FORZE INGLESI SONO COINVOLTE NELLA PRIMA PARTE DELL'ATTACCO NATO CONTRO OBIETTIVI DI SERBIA, KOSOVO E MONTENEGRO ALLE ORE 19,10 ESPLOSIONI VERIFICATESI I A NOVI SAD ESPLOSIONI TUTTO INTORNO A BELGRADO COLPITA UNA FABBRICAI DI ARMI A KRAGUJEVAC I I ESPLOSIONI VERIFICATESI A NIS llì IL CAPOLUOGO DEL KOSOVO, PRISTINA, E' STATO CENTRATO DA NUMEROSI MISSILI CHE HANNO COLPITO LE INSTALLAZIONI MILITARI MISSILI CRUISE COLPISCONO INSTALLAZIONI RADAR ALLA PERIFERIA DI PODGORICA IL PRESIDENTE CLINTON HA CONFERMATO CHE LE NAVI AMERICANE HANNO PARTECIPATO ALL'ATTACCO MACEDONIA Un bombardiere americano B52 decolla dalla base di Fairford, in Gran Bretagna, diretto in Jugoslavia: poche ore dopo, i primi bombardamenti

Persone citate: Chris Burnes, Forattini, Giuseppe Zaccaria, Javier Solana, Milosevic, Slobodan Milosevic