La politica ostaggio delllnformazione di Filippo Ceccarelli

La politica ostaggio delllnformazione IL PALAZZO =1 La politica ostaggio delllnformazione sedoE la E domande, ah, le domande... A un certo punto Romano Prodi non ce l'ha fatta più. Con la consueta muta di giornalisti alle calcagna, stava inaugurando i nuovi stabilimenti dell'Aprilia a Scorze. Prodi era lì per tagliare il nastro, voleva parlare dell'Italia che tira, al limite farsi fotografare accanto alla nuova moto. Ma quelli, invece, taccuini, microfoni e telecamere, guitavano con le solite mande: e il Quirinale? Ciampi? E Manconi? E candidatura europea? Prodi scuoteva la testa, con aria di disapprovazione. Ma i giornalisti insistevano. Una, due, dieci domande: prima timide, poi insinuanti, poi più concitate, poi di nuovo caute, oppure camuffate da flebili giochi di parole. Lui voleva solo elogiare il modello imprenditoriale veneto, loro volevano solo due parole sul Quirinale, e si sarebbero placati. Forse. E' a questo punto che, in un estremo ribaltamento di ruoli, Prodi ha reagito spostando il confronto tra politica e informazione là dove mai finora era arrivato: «Ma perché fate queste menate di domande che servono solo a mettere in difficoltà la gente?». Quel che ha detto poi suona già meno spontaneo: «Ragazzi, il giornalismo è una cosa seria, facciamo le domande sul futuro, sui problemi, e allora risponderò». Sul Quirinale, niente. Se parlo, sembrava dire, è la fine, lasciatemi stare, non rovinatemi con le vostre domande. E viene da dire: quanto tempo è passato dal tempo in cui Berlinguer invitava i giornalisti a rivolgersi all'ufficio stampa per conoscere qualunque dato; o da quando Gava sanzionò la propria superiorità di politico sulla comunicazione con una civetteria addirittura metafisica: «Io parlo, ma non dico». La reazione esasperata di Prodi illumina meglio di tante analisi lo stato di tensione micidiale in cui vivono i politici e l'autentico terrore che hanno di sbagliare. La corsa del Quirinale ha senz'altro I intensificato il cortocircuito I rendendo i media ancora più carnivori. Di domande e risposte, di nomi indicati e bruciati, ormai si muore. E se la parola latita, se il ragionamento politico non funziona più, beh, adesso è la chiacchiera che uccide, e con la chiacchiera ci si può anche suicidare. Vero è che la gestione del silenzio o della risposta sta diventando la principale virtù del Principe post-moderno. Nelle stesse ore in cui Prodi veniva inseguito, in un briefing a Milano Massimo D'Alema replicava a un giornalista con l'abituale simpatia: «Le sue due domande sono errate nelle premesse, dunque cadono entrambe». Si capisce. Per come si sono messe le cose è praticamente impossibile essere sempre efficaci, concisi, spiritosi. Per cui i leader sono obbligati a risultare odiosi, oppure ambigui, sibillini, reticenti, noiosi. Inoltre parlano troppo, devono rispondere a nove tg, più i gr, più le agenzie, più i quotidiani. L'incidente comunicativo grava costantemente sulla loro testa, come un martello. E le domande possono far partire il colpo in qualsiasi luogo del mondo. Fini ha visto le brutte perfino ad Auschwitz; Scalfaro sull'aereo che lo portava in Australia e a notte fonda ha dovuto riconvocare tutti per aggiustare una frase che poteva essere interpretata in un modo tale da far scoppiare in Italia una confusione pazzesca. «Quell'apocalittica Bestia chiamata Informazione» ha scritto una volta Guido Ceronetti. Il sospetto è che l'animalone abbia preso prigioniera la politica, e non abbia nemmeno fissato il prezzo del riscatto. Filippo Ceccarelli .mj

Luoghi citati: Auschwitz, Australia, Italia, Milano, Scorze