Ma quel «salotto buono» fu una diga anti-raiders di Alfredo Recanatesi
Ma quel «salotto buono» fu una diga anti-raiders F OLTRE LA LIRA Ma quel «salotto buono» fu una diga anti-raiders NA coincidenza imprevedibile, ma proprio per questo ancor più significativa, si è verificata alla fine della settimana scorsa. Mentre nelle assise confindustriali di Modena gli imprenditori ed i leader politici si confrontavano sul tema del futuro del Paese, in altri luoghi si andavano definendo decisioni che con tutta probabilità sconvolgeranno l'assetto bancario italiano fino ad investire la chiave di volta del capitalismo italiano, ossia Mediobanca. Mediobanca, merita di ricordare, è una banca che ha svolto ima funzione politica assai rilevante. Fino a pochi anni fa è stata l'unica banca d'affari italiana. Ancorché di proprietà statale - formalmente era controllata dalle tre banche di interesse nazionale a loro volta controllate dall'Ili Mediobanca, la Mediobanca di Cuccia, si era data carico della storica debolezza del capitalismo italiano tessendo tra i grandi gruppi nazionali un sistema di sostegno reciproco con la protezione del quale ciascuno di essi, anche con risorse relativamente limitate, poteva ritenersi al riparo dal rischio di scalate o acquisizioni. Il termine di «salotto buono» nasce da questa funzione di una Mediobanca protettrice di quanti chiedevano il suo padrinato, ovviamente accettando di rispondere con solerte disponibilità se e quando Mediobanca avesse chiesto un loro impegno a favore di qualche altro frequentatore di quel salotto. La proprietà di Mediobanca èra divisa tra le tre Bin - Comit, Credit e Banco (ora Banca) di Roma - che. erano anche i canali attraverso i quali raccoglieva le risorse, talvolta ingenti, delle quali aveva bisogno per assicurare le occorrenze finanziarie di quanti erano stati ammessi al suo salotto e per intervenire acquissendo colpose partecipazioni. Ora, le notizie di queste ore aprono uno scenario che vede la Banca di Roma attratta dal polo Imi-Sanpaolo il quale, come banca d'affari, è il maggiore concorrente italiano di Mediobanca. E vede la Comit, la più amata delle tre banche, oggetto di una acquisizione da parte di Unicredito, ovvero del Gruppo formato dal Credit e da alcune fondazioni bancarie. Tutte queste banche ora hanno azionariati variegati che comprendono capitali privati, fondazioni e consistenti presenze straniere. In breve: se questo scenario si realizza, Mediobanca vedrà il suo azionariato disperdersi a disposizione di chi avrà la voglia e l'abilità di acqui¬ sicatoddifeddstpralupdptopepnfiDpnpmlossndsnrlqtvcdlmspdpgpcd sirne il controllo; perderà ogni canale privilegiato di reperimento delle risorse finanziarie; e perderà di conseguenza la possibilità di svolgere il molo politico di difesa del capitalismo, o almeno della parte di esso che, in cambio della sua protezione, fosse disposto ad accettarne le regole. In ima paiola, perderà il potere che finora ha esercitato, che era in primo luogo quello di difendere buona parte del capitalismo dai rischi del mercato e dagli scalatori. Mentre questo scenario proprio negli ultimi giorni si e andato concretando, a Modena gli imprenditori hanno presentato un ennesimo conto di ciò che, proprio guardando al futuro, continua ad inquietarli: rigidità, inefficienze, pensioni, cose ben note. Destinatari sono in primo luogo i politici, i sindacati (anche se meno che un tempo), lavoratori, pensionati e pensionandi, insomma tutti gli italiani; tutti tranne loro i quali, nei confronti del resto del Paese, ritengono di avere solo crediti. Molte loro analisi sono certamente condivisibili, e dunque lo sono molte loro richieste. Ma lo sarebbero ancor più se, nelle preoccupazioni per il futuro, inserissero anche la loro debolezza di capitalisti i quali ora, con quel salotto buono ormai decaduto e forse in vendita, rischiano di venire scalzati, e con costi neanche tanto elevati, dal controllo delle loro aziende. Niente di male, anzi; come sempre, vinca il migliore e più capace. Se non fosse, pero, che il controllo di una parte crescente del sistema produttivo italiano rischia così di passare in mani straniere come è già avvenuto in diversi settori un po' per dissennate scelte politiche degli Almi 80 (come nel caso dell'alimentare), un po' per difetto di iniziativa del nostro capitalismo (come nel caso della tanto decantata moda). Il che costituisce un danno netto per il Paese che, almeno nel campo dell'economia produttiva, con l'eccezione di pochi, pochissimi casi, si troverà sempre più confinato in un ruolo di esecutore di decisioni prese altrove. Alfredo Recanatesi BsJ
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