Nomadelfia, l'utopia compiuta di don Zeno di Renato Rizzo

Nomadelfia, l'utopia compiuta di don Zeno Grosseto, oggi i festeggiamenti alia presenza di Scalfaro e delie 50 famiglie che vi abitano Nomadelfia, l'utopia compiuta di don Zeno Cent'anni fa nasceva il fondatore della comunità NOMADELFIA DAL NOSTRO INVIATO Il sogno della rivoluzione compiuta è chiuso in quattro chilometri quadrati: terra scabra, da strappare alle pietre e al vento. Buona per chi voglia inseguire con ostinazione fatica e speranza. Buona per chi voglia piantarci e farci crescere, sfidando il controsenso, le radici dell'utopia. Nomadelfia è il nome di quest'angolo di Maremma grossetana nato da uno scandalo e cresciuto per dare scandalo. E' luogo, come dice il nome greco, dove «la fraternità è legge»: 320 persone, un popolo di volontari cattolici che s'impegna a costruire una civiltà osservando una Costituzione basata solo sul Vangelo. Tutti i beni sono di tutti, non esiste proprietà privata, anche i cognomi sono aboliti: il denaro è sconosciuto, nessuno è disoccupato, nessuno paga, nessuno guadagna, nessuno opprime, nessuno serve, nelle famiglie non esiste differenza tra figli naturali e figli accolti. Il sogno che permea questa «città di fratelli» è nato quando, in Cina, Mao non aveva ancora inventato le Comuni e in Israele non erano ancora sorti i kibbutz. A sognarlo e, via via, a concretizzarlo sin dal 1931, don Zeno Saltini, uno di quei preti con l'ardore di chi insegue l'eroismo e uno spirito anarchico che la fede alimenta e rende ancor più integrale e caparbio. S'iniziano, oggi, alla presenza del Capo dello Stato, le celebrazioni per il centenario dalla nascita di questo sacerdote modenese che ha sollevato le stesse tensioni evangeliche rilanciate da altri grandi «disobbedienti» come don Mazzolari e don Milani. E a Nomadelfia ci si concede uno sguardo all'indietro. Si ricorda, e si festeggia, in particolare Irene, «la prima mamma». Quella che, a 18 anni, nel '41, si presentò a don Zeno dicendo d'essere disposta a fare da madre agli orfani accolti dal sacerdote. Un esempio di «maternità virginea» che, nel corre- re del tempo, è stato seguito da tante altre giovani nubili pronte ad occuparsi «degli orfani dei morti e dei vivi». La storia di Nomadelfia è un romanzo le cui vicende s'intrecciano con quelle dell'Italia degli anni più bui. Le prime, concrete strutture del sogno sorgono nel 1947 nell'ex campo di concentramento di Fessoli: accanto alle famiglie di «mamme per vo¬ cazione» si formano quelle di sposi che chiedono «di poter accogliere i bimbi abbandonati, decisi ad amarli come i propri». Due anni dopo i Nomadelfi sono 1150, dei quali 800 figli accolti. Appesantita dai pregiudizi, dalle calunnie e dai debiti (una voragine, 300 milioni di allora) la comunità è una nave nella tempesta: la gerarchia ecclesiastica è turbata da certo fumo di «promiscuità», i politici guardano con apprensione ad un comunitarismo che assomiglia troppo al comunismo. Nel febbraio del '52 il Sant'Uffizio ordina al prete di lasciare i «figli»: le «famiglie» sono smembrate, disperse in quella che ancora oggi e ricordata come «la strage degli innocenti». Don Zeno ottiene d'essere ridotto allo stato laicale, i Nomadelfi che non si sono arresi scendono nel Grossetano in un fondo regalato dalla contessa Alberami Pirelli. Mesi ili filine e di tende e eli orizzonte nero. Arrancando arriva, pero, il tempo della rinascita: il sacerdote riprende la veste e torna alla comunità. Nell'HO la benedizione di Giovanni Paolo lì: «La vostra regola è un preavviso e un preannuncio del mondo futuro dove tutti siamo chiamati». Il fondatore non ha molto tempo per assaporare questa frase che assomiglia tanto ad una vittoria: muore il 15 gennaio dell'81. Il suo funerale diventa, come egli stesso ha chiesto, una festa di bimbi che cantano e ballano. Ma che cos'è, oggi, Nomadelfia? «Per lo Stato ò un'associazione civile - spiega don Enzo, che ha condiviso successi e tribolazioni di Zeno e ora ne e il successore -. Per la Chiesa, una parrocchia ed un'associazione privata tra fedeli». E per voi? «E' la realizzazione d'una rivoluzione senza schioppo». Dalla sua nascita la comunità ha ospitato circa quattromila bambini. Centoquaranta vivono qui oggi: scuola obbligatoria sino a 18 anni impartita dagli stessi «famigliari» con esami di Stato al termine d'ogni ciclo di studi. Per chi raggiunge la maggiore età, s'aprono due strade: quella del inondo, chi! si perde oltre gli ulivi dell'ingresso, e quella che conduce ad un'accettazione totale delle leggi di Nomadelfia. Se si sceglie la seconda si devono superare tre anni di prova. «Qui vige una democrazia diretta - spiega Sandro "e basta", nomadelfo da 26 anni -. I cittadini costituiscono un'Assemblea che esercita il potere legislativo ed elegge le cariche istituzionali. C'è un presidente, un consiglio di anziani, un collegio di giudici, Le famiglio, di "mamme per vocazione" e di sposi, sono una cinquantina divise in gruppi di 4 o 5. Il "cuore" di questa "borgata" è un prefabbricato centrale con sala da pranzi., cucina, laboratori, mentre le stanze da letto sono in costruzioni separate». Di giorno, a casa, restano i più piccoli con due o tre donne che preparane il pranzo, lavano, stirano pei tutti. La sera è il tempo dello studio o della ricreazione. Magari guardando la tv che, via cavo, trasmette da un'emittente interna programmi scelti seguendo il principio che «la televisioni serve, ma non deve asservire». Non esistono negozi, a Nomadelfia: i generi alimentari vengono assegnati dal magazzino viveri ni base alle necessità. Stessa procedura per gli abiti. ! E' una società nella quale non si I fa carriera: tutti sono corre| sponsabili delle aziende e disponibili a qualsiasi attività. Non ci sono ricoveri perché nessuno va in pensione: «Gli anziani, circondati dal rispetto e dall'amore, continuano a lavorare quanto e come possono». Domandiamo: perche il numero degli abitanti di Nomadelfia, da tempo ormai, è stabile mentre esistono comunità che in un soffio d'anni si sono sviluppate in modo esponenziale?: «Il nostro è un monachesimo sociale: richiede impegno assoluto, rinuncia al mondo. Don Zeno diceva: apparteniamo alla specie delle querce che impiegano decenni a crescere, non a quella delle zucche che crescono e muoiono in una stagione». Renato Rizzo Ragazzi a Nomadelfia In basso, don Zeno Saltini

Persone citate: Giovanni Paolo, Mao, Mazzolari, Scalfaro, Zeno Cent'anni, Zeno Saltini

Luoghi citati: Cina, Grosseto, Israele, Italia