MANO, OCCHIO E SILICIO

MANO, OCCHIO E SILICIO MANO, OCCHIO E SILICIO L'ipertesto nelle profetiche «Variazioni» semiologiche di Barthes: come l'elettronica sta mutando il nostro modo di leggere e scrivere A relazione alla scrittura è la relazione al corpo», scrive Roland Barthes in Variazioni sulla scrittura, testo redatto su proposta dell'Istituto Accademico di Roma nel 1971 e rimasto inedito sino all'uscita nell'edizione delle opere complete. Il saggio, uno dei più belli dello scrittore e semiologo francese, delinea una personale storia della scrittura, dai gesti agli strumenti, dai sistemi di scrittura ai segni grafici e pittorici e come segnala con intelligenza Carlo Ossola, che ne ha curato l'edizione italiana per Einaudi, è parte integrante del suo progetto che muove dalla scrittura per arrivare al Piacere del testo, saggio sulla lettura e il suo godimento che venticinque anni fa apparve come un avvenimento. Barthes ha una vera e propria passione per l'atto materiale della scrittura di cui esplora gli aspetti fisici ma anche quelli mentali, le implicazioni concrete come le inevitabili astrazioni che lo precedono e lo seguono. L'idea che si scriva con il corpo è legata a quella del corpo come prodotto delle singole civiltà : come esistono modi differenti di dormire, mangiare e fare l'amore, così ogni cultura possiede propri codici di scrittura. Barthes, con un gesto icastico ma illuminante, differenzia tra due grandi tradizioni dello scrivere: l'Occidente e l'Oriente. Mentre l'Occidente doma i corpi scriventi, l'Oriente li padroneggia affidandone il godimento; e se in Occidente l'innovazione pedagogica degli ultimi due secoli - si pensi alla Montessori - è basata sulla liberazione del corpo e sulla libera espressione della personalità, in Oriente è tutto il contrario: arte nobile, magica, simile al tiro con l'arco, la scrittura presuppone una padronanza psicosomatica trasmessa di generazione in generazione. La cosa più affascinante del saggio, distribuito in lemmi, è che la scrittura è strettamente legata alla sessualità e al ritmo, tanto che un giorno, dice Barthes, bisognerà interrogarsi su questi due aspetti (arrivati alla pubertà, i bambini cambiano calligrafia come cambiano voce, e le attività cadenzate sembrerebbero inscritte nella parte più arcaica delle nostre strutture encefaliche). Ossola insiste giustamente sul fatto che per Barthes la scrittura è legata alla mano («è un gesto manuale, opposto al gesto vocale», scrive il semiologo), contrapponendo la mano che traccia, incide o accarezza con il pennello ed il pennarello, alla mano che traduce ed esegue ciò che appare sul video: «non c'è che visione e muto invio», così come sto facendo in questo istante. Ma è davvero così? Nella scrittura, come ricorda altrove Barthes, non c'è solo la mano, ma anche l'occhio che partecipa all'atto in modo complesso, interagendo con i nostri arti superiori (in Occidente s'impara prima a leggere che a scrivere, l'occhio raggiunge una finezza biologica più rapidamente della mano). Ma c'è dell'altro. Con le sue riflessioni sulla scrittura testuale, Roland Barthes è oggi uno dei profeti riconosciuti dell'ipertesto, parola magica a cui è dedicata la nuova edizione del libro di George P. Landow, L'ipertesto. Tecnologie digitali e critica letteraria , autentica stimma sul tema. Se l'ipertesto è una scrittura non sequenziale, come ha affermato negli Anni Sessanta il creatore della parola, Theodor H. Nelson («testo che si dirama e consente al lettore di scegliete qualcosa che si fruisce al meglio su uno schermo interattivo», in modo tale che «un ipertesto è una serie di brani di testo tra cui sono definiti dei collegamenti che consentono al lettore differenti cammini»), Barthes con la sua teoria del testo è senza dubbio uno dei teorici del nuovo spazio della scrittura, dove si tende a superare la barriera tra autore e lettore. Quello su cui il semiologo ci ha invitato a riflettere è il fatto che ogni supporto della scrittura modifica lo stile, ma anche il modo di pensare di chi scrive, modo che nella scrittura col computer diventa più mobile e fluido rispetto alla stessa macchina da scrivere (traggo queste considerazioni da Lo stile del Web di F. Carlini, Einaudi ). Chi scrive col computer è portato ad elaborare la frase direttamente sul visore, mentre chi usa la macchina tradizionale deve formularla prima mentalmente; l'immagine la suggerisce Jacopo Belbo, il personaggio del Pendolo di Focault: «le dita fantasticano, la mente sfiora la tastiera, via sulle ah dorate...». Dalle mani alle dita: il godimento dello scrivere scivola sempre più verso le punte estreme del nostro corpo. Ma anche la lettura nell'età elettronica è mutata: sincopata, a balzellone l'occhio percorre il visore seguendo la diagonale ed è più veloce del mezzo stesso. Quello che è diventato più evidente, scrive Jay David Boiler in uno dei più importanti volumi dedicati alla scrittura nell'epoca del computer, Lo spazio dello scrivere (Vita e pensiero, pp.323, L. 41.000), è che l'atto dello scrivere è sempre più un atto di pensiero e ciò su cui scriviamo, sia una pergamena o papiro o un foglio di carta cellulosa, è sempre la mente umana. E non si tratta di una ipotesi nuova, dal momento che Walter J. Ong e Jack Goody, due acuti studiosi della scrittura, hanno già descritto come sia accaduto che con l'alfabetizzazione dell'umanità la mente umana abbia mutato «forma»: l'artefatto modifica a sua volta l'artefice. Oggi la mente umana si presenta, afferma Bolter, come un vero e proprio testo costituito di segni collegati tra di loro, proprio come avevano ipotizzato ir Nabokov, Queneau, Butor, Calvino, Perec; gli ipertesti esistono da almeno cent'anni; e prima ancora che il computer diventasse un oggetto d'uso quotidiano, l'uso non sequenziale, discontinue, discreto del testo era già un fatto usuale per almeno due generazioni di lettori e scrittori, anche se è evidente che la scrittura elettronica mette a disposizione di chiunque lo voglia una fluidità di scrittura e una relazione interattiva tra testo e lettore al di là delle previsioni. Ma già nell'atto di scrivere l'autore entra in una relazione riflessiva con la pagina scritta, tale che questa dà forma ai suoi pensieri e diventa davvero «difficile dire dove finisca il pensiero e dove cominci lo scrivere, dove termini la mente e dove inizi lo spazio della scrittura». Tutte le forme di scrittura, ci ricorda Bolder, sono spaziali: il rotolo continuo, la superficie bianca della pagina, lo schermo del computer, e per quanto quest'ultimo possa dare l'impressione di una fonna immateriale, sottratta all'esperienza sensibile, il visore è comunque uno spazio fisico, per quanto animato visivamente complesso e sorprendentemente malleabile. In realtà, quello che la videoscritlura modifica non è tanto la nostra idea di spazio, ma quella di tempo. E' almeno dall'epoca tardo antica che le mnemotecniche tendono a trasformare la mente stessa in una superficie di scrittura, dice Boiter. Il computer non porta alla scomparsa delle antiche tecniche della memoria, semmai alla loro riconfigurazione: «la scrittura elettronica contemporanea è l'arte di racchiudere le idee e disporle entro uno spazio di scrittura». Sono certo che se Roland Barthes fosse vivo ci insegnerebbe molte cose su questa nostra nuova condizione scrittoria. Marco Belpoliti Cambia l'idea di tempo la parola d'ordine è fluidità: tutto scorre iiìWdo discontinuo, con infiniti collegamenti VARIAZIONI SULLA SCRITTURA Roland Barthes Einaudi pp.150, L.28.000 L'IPERTESTO G.P. Landow bruno Mondadori pp.407, L.42.000 Roland Barthes. scrittore e semiologo francese

Luoghi citati: Ossola, Roma