CON FIRPO A INSEGUIRE IL SENNO DI CAMPANELLA di Luigi Firpo

CON FIRPO A INSEGUIRE IL SENNO DI CAMPANELLA CON FIRPO A INSEGUIRE IL SENNO DI CAMPANELLA RENT'anni fa, in occasione del IV centenario della nascita ( 15GB), Luigi Fiqio ricordava su questo giornale Tommaso Campanella come «un raro esempio di tempra morale» impegnato in una lotta per il sa|)cre contro le barriere della superstizione, e della miseria «che ha dell'eroico». di pQuesta immagine eroica di Campanella ò forse il tema centrale degli studi che Firpo condusse per cinquantanni cercando sempre di collegare l'opera alla vita. Parte di quegli studi sono ora raccolti, e corredati da importanti documenti, nel volume / processi di Tornrnar.u Campanella curato da Eugenio Canone. Campanella, scrive Firpo, visse e compose la sua opera sterminata ispirato dalla «volontà senza cedimenti di comunicare ai propri simili ogni singola formulazione di un messaggio sterminato e globale». Era del resto la promessa enunciata dal simbolo che Campanella trasse dal suo no¬ me, ovvero una campanella che risveglia l'umanità dal sonno dell'ignoranza e dell'accidia, con il motto «Non tacebo», che Firpo giustamente propone di tradurre «Non riusciranno a farmi tacere» Ip. 18). Campanella non tacque neppure quando i giudici dell'Inquisizione lo seppellirono, dopo il processo del 1600 per eresia e lesa maestà (lo accusarono di aver fomentato una rivolta antispagnola in Calabria, nel 1599), nella «fossa del coccodrillo», un orrido vano cieco del Castel Sant'Elmo a Napoli, e lo tengono per quattro anni con i ferri alle mani e ai piedi; per letto un giaciglio di paglia fradicia, e per cibo dei rifiuti disgustosi. Eppure, anche in quella «continua notte e inverno», senza «vedere mai cielo, né luce, né persona umana», come scrive nel 1607, Campanella annota, su lembi di carta che i carcerieri corrotti gli passano, liriche e saggi politici indirizzati ai potenti della terra che gli amici devoti, fuori dal carcere, si incaricavano poi di copiare. La medesima eroica volontà gli dà anche la forza di simulare la pazzia al fine di evitare la condanna a morte. Campanella sapeva che un tribunale ecclesiastico non può condannare a morte un pazzo perché un pazzo non può pentirsi e quindi l'anima sarebbe perduta per sempre. Inizia la simulazione ai primi di aprile del 1600, e riesce a non tradirsi neppure quando i pii prelati del tribunale gli infliggo-no, il 4 e 5 giugno, il tormento crudelissimo della «veglia». Per trentasei ore resta appeso alla corda con le braccia slogate, e quando cade in deliquio per il dolore gli aguzzini lo pongono a sedere su un legno tagliente che gli sega le carni. Ma non si tradisce, e quando lo riportano in cella ha addirittura un moto di scherno: «si pensavano che io era coglione, che voleva parlare?». La simulazione gli salva la vita, ma non gli restituisce la libertà, che arriva solo nel 1620, dopo quasi ventisette anni di detenzione. Per Firpo, che vede a ragione nella biografia la chiave necessaria per restituire concretezza umana ai miti, la lunga prigionia costrinse Campanella a indirizzare il suo pensiero verso la metafisica, e a mettere da parte la passione giovanile per la ricerca sperimentale. Eppure, a Padova, Campanella aveva studiato l'anatomia e la funzionalità visiva dell'occhio; aveva enunciato la tesi rivoluzionaria che la febbre non è la malattia bensì il sintomo della reazione dell'organismo alla malattia; aveva ingadato il magnetismo, la telepatia, la medianità. «Io imparo più dell'anatomia d'una formica e d'un'erba», scrive Campanella, «che non da tutti i libri scritti dal principio del mondo». Ma Campanella cercava nell'anatomia d'una formica e di un'erba l'unità del mondo sostenuta da «vincoli occulti, rispondenze, parallelismi, influssi reciproci». Diversamente dal Galilei - di cui fu amico per tutta la vita al punto di scrivere una coraggiosa Apologia prò Galileo - Campanella credeva che la scienza fosse «magia buona», ricerca di segni cifrati del disegno di Dio. Come la sua filosofia, anche la sua concezione politica andava in direzione opposta rispetto a quella verso cui andava il mondo: gli stati nazionali affermavano prepotentemente la loro autonomia rispetto all'Impero e alla Chiesa, e Campanella auspicava la «riunione di tutte le genti nell'unico ovile e sotto un solo pastore», la dottrina della «ragion di stato» aveva proclamato la separazione della politica dalla morale e dalla religione, ed egli teorizzava nella Città del Sole un'utopia comunista e teocratica. Firpo proclamò sempre, fin dalla tesi di laurea discussa nel 1937 a Torino con Gioele Solari, l'unità del pensiero politico, filosofico e religioso di Campanella. Ed era altrettanto convinto che anche nella vita Campanella si muoveva guidato da una passione o da una vocazione dominante. Basta leggere l'inizio del saggio «I primi processi campanelliani in una ricostruzione unitaria»: «Sullo scorcio di luglio del 1598, Tommaso Campanella, non ancora trentenne, ritornava albi nativa Calabria: lo attendeva colà il suo tragico destino che, dopo un anno intenso di azione drammatica, tra presagi avvampanti di universali sommovimenti e traine segrete di ribellione, lo doveva gettare in preda ai processi, alle torture, a sei lustri di severa prigionia. Ma la congiura di Calabria non è se non il logico sbocco, la conclusione ineluttabile, di una ribellione tutta intima e spirituale, né per questo meno violenta ed indomita, che fin dall'adolescenza si era ordita nell'animo dello Stilese contro tutti i sofismi, le tirannidi e le ipocrisie» (p. 44). Negli ultimi anni della sua vita, lo ricorda Enzo Baldini in un saggio su Luigi Firpo e Cam panello: cinquantanni di ricerche e di pubblicazioni, Firpo, dopo aver ottenuto un nuovo permesso por svolgere ricerche negli archivi del Sant'Uffizio, aveva in animo di lavorare a due volumi su Campanella, uno biografico e uno documentario. E' un vero peccato che Firpo non sia riuscito a realizzare il suo progetto perché sarebbe stato sicuramente una ulteriore, preziosa dimostrazione di una verità tanto ovvia quanto trascurata negli studi contemporanei, ovvero che non si può intendere né presentare in maniera adeguata il pensiero di un autore senza intenderne la vita e l'animo. Maurizio Viroli Luigi Firpo La passione per Tommaso Campanella accompagno lo storico lungo l'intero arco della vita Fin dalla tesi di laurea con Gioele Solari sostenne l'unità del pensiero politico, filosofico e religioso I PROCESSI di Tommaso Campanella Luigi Firpo a cura di E. Canone Salerno pp XVI - 348 s.i.p.

Luoghi citati: Calabria, Campanella, Città Del Sole, Napoli, Padova, Salerno, Torino